Credits: immagine di Davide Barbini

Formazione

FRANZ ROSENZWEIG SUL FRONTE DEI BALCANI

Filosofi dinanzi alla Grande Guerra nel ciclo promosso dal Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Ateneo

18 novembre 2014
Versione stampabile
Massimo Giuliani
di Massimo Giuliani
Professore associato presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Negli ultimi mesi del 1917 il giovane filosofo ebreo-tedesco Franz Rosenzweig, in veste di sottoufficiale, è ancora appostato sul fronte dei Balcani, in Macedonia, in un’unità di difesa anti-aerea. Vi si trova da quasi due anni, ma, ironizzerà in seguito, di aerei non ne ha mai avvistato uno. Eppure sta vivendo un evento che cambierà per sempre la mappa dell’Europa, i destini del Medio Oriente e, soprattutto, il modo di fare e di pensare la guerra. Ne è pienamente consapevole e in quei mesi scriverà due saggi di storia miliare e alcune riflessioni geo-politiche nelle quali, con lucidità, esplora la dimensione globale del conflitto in corso da considerarsi “un punto di passaggio da un’epoca europea ormai passata ad una futura epoca planetaria”.

E tuttavia nell’opus magnus che scriverà dall’agosto del ’18 al febbraio del ’19 (cinquecento pagine, cui darà il titolo Der Stern der Erlösung ovvero La stella della redenzione pubblicate nel 1921) la dura esperienza al fronte, gli orrori delle trincee e il sacrificio delle giovani vite falcidiate a difesa degli antichi confini sembrano scomparsi, sebbene l’autore ne fosse stato testimone oculare. Una certa mitologia che avvolge le origini di quest’opera vorrebbe che essa sia stata abbozzata su cartoline postali militari, scritte su letti di ospedale o durante le marce nei boschi, poi spedite ai famigliari… Tutto ciò farebbe de La stella “un libro di guerra, la protesta di una persona che non vuole morire e che rifiuta lo scandalo della morte” (così Salomon Malka). A ben vedere non è così. La Grande Guerra è per Rosenzweig non un tema su cui discettare ma l’occasione e il contesto delle sue elaborazioni filosofiche e semmai la loro conferma: gli stati, come soggetti della storia universale, “non possono deporre per un solo istante la spada – scrive – anzi la devono brandire daccapo in ogni momento della vita dei loro popoli”, e la violenza che ne deriva è connaturata al loro essere appunto stato, che cresce proprio grazie a guerre e rivoluzioni, in una parola, in virtù della violenza: “Nell’atto violento il diritto diventa costantemente nuovo diritto; lo stato è così, allo stesso titolo, stato di diritto e stato di violenza”.

Ma queste pur acute riflessioni – in chiaro debito verso Hegel – occupano ben poche pagine nel capolavoro rosenzweighiano, che invece appare dedicato a tutt’altro. Esso infatti esplora il mistero ovvero la natura metafisica del popolo ebraico sulla scena (hegelianamente intesa) della storia del mondo, un mistero intuito già prima della guerra, a Berlino, nell’autunno del 1913, quando trascorre il giorno di Kippur, massima solennità del calendario religioso ebraico, nel digiuno e nelle preghiere tradizionali di una piccola sinagoga ortodossa. In quella parentesi dallo spazio e dal tempo, vera mandorla di eternità, Rosenzweig comprende che ciò che cerca di essere, in realtà lo è già; così come nella verità e nell’eternità vive il popolo ebraico, da secoli estraneo ad eventi bellici perché privo di uno stato e di confini da difendere.

Nel Balcani, poi, aveva incontrato e conosciuto gli Ostjuden, gli ebrei dell’est Europa, ancora immersi nell’atmosfera di un medioevo fatto di studio della Torà e osservanza quasi ingenua di leggi e costumi antichi. Un po’ fuori dal mondo (occidentale), diremmo. Proprio quest’essere fuori-dal-mondo e fuori-dal-tempo divenne la chiave della sua personale ricerca esistenziale, con la quale Rosenzweig prende le distanze dalla logica e dall’ideologia della guerra e, soprattutto, conferma la decisione di non convertirsi al cristianesimo (cosa che aveva meditato di fare) ma tornare piuttosto allo studio e alla pratica del giudaismo.

La stella della redenzione è uno straordinario documento di questo percorso interiore che le vicende belliche vengono a temprare, non a mutare, restando però sullo sfondo; è un’eccezionale elaborazione della dignità teologica del popolo ebraico la cui a-storicità lo eleva a sentinella della pace messianica; è un documento del “nuovo pensiero” che Rosenzweig teorizza e incarna, oltre Hegel e oltre le ideologie della guerra. E’ noto, la storia degli ebrei, grazie alla Dichiarazione Balfour proprio del 1917, prese un’altra strada, opposta a quella a-storica e a-temporale celebrata da Rosenzweig. Nondimeno, La stella resta un documento emblematico della complessa evoluzione del giudaismo negli anni della Grande Guerra.

La riflessione riprende quanto discusso lo scorso 13 novembre durante l’incontro sul filosofo Franz Rosenzweig, nell’ambito del ciclo “Filosofi dinanzi alla Grande Guerra” (1914-1918), una serie di conferenze promosse dal corso di laurea in Filosofia dell’Università di Trento.
Il ciclo prosegue ogni giovedì, nella stessa sede, alle ore 16. L'ultima lezione, su Sigmund Freud, sarà tenuta il 4 dicembre dalla dottoranda Giulia Corvo nell'aula 004.