F. de Angelis, A. Campagna, B. Rossi, J. Velasco, P. Bouquet. ©Alessio Coser, archivio Università di Trento.

Sport

LA LEZIONE DELLO SPORT: IMPARIAMO DALLE CRISI

Insegnanti d’eccezione i campioni Julio Velasco, Alessandro Campagna, Francesco de Angelis insieme a Bruna Rossi, ospiti dell’Ateneo

18 gennaio 2018
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di Marinella Daidone
Lavora presso l'Ufficio Web, social media e produzione video dell'Università di Trento.

“Siamo abituati a pensare alla parola crisi in un’accezione negativa. In realtà già nell’etimologia (dal greco krino, il momento della separazione del grano dalla crusca), il vocabolo ha il significato di scelta, mutamento, crocevia.” È la psicologa Bruna Rossi, ex-olimpionica di tuffi, a introdurre l’argomento dell’incontroImparare dalle crisi: la lezione dello sport” promosso dall’Ateneo con ospiti pluri-medagliati che hanno portato la loro esperienza e le loro riflessioni sulla vita e sulla pratica sportiva. Julio Velasco, ex allenatore delle nazionali maschili e femminili di pallavolo e attuale CT (commissario tecnico) dell’Argentina; Francesco de Angelis, velista ed ex skipper di Luna Rossa; Alessandro Campagna, allenatore della nazionale maschile assoluta di pallanuoto, il famoso Settebello italiano. Senza dimenticare la moderatrice (la “coach” della giornata) Bruna Rossi, psicologa di squadre olimpiche di diverse discipline e di atleti come Federica Pellegrini.

La crisi è una condizione inevitabile nello sport agonistico. Può essere causata da un calo di rendimento, da una sconfitta, da un periodo di transizione (per cambio di squadra, di allenatore), da motivi personali (affettivi o psicologici) o da un infortunio. Lo sa bene Alessandro Campagna, che nel 1984 a causa di un incidente ha dovuto interrompere la sua carriera di pallanuotista. “Ho subìto tre interventi chirurgici. Avevo poco più di vent’anni e la mia carriera era appena iniziata. Ho superato la crisi tenendo la mente impegnata. La fiducia e la speranza non mi sono mancate: pensavo di poter tornare ai livelli di prima, anche meglio di prima”. E senza dubbio ci è riuscito: nel 1986 fu giudicato il miglior giocatore del mondo nella sua disciplina.

“Nella vela l’imprevisto fa parte della gara perché le variabili da tenere presente sono tante: dal mezzo che usi, alle condizioni meteo, all’arbitraggio. Diventa fondamentale la capacità di interpretare la gara, essere pronti ad affrontare le crisi deve entrare a far parte del tuo DNA e di quello della squadra.” Sottolinea Francesco de Angelis, che continua: “L’obiettivo deve essere ambizioso, ma raggiungibile. Se l’asticella viene messa troppo in alto, cioè se l’obiettivo non è realistico, sarà solo fonte di frustrazioni”.

“Nello sport competitivo” aggiunge Julio Velasco “non è sufficiente fare le cose bene e neppure benissimo, bisogna farle meglio degli altri e questo crea stress. Sconfitta però non è sinonimo di crisi: alle olimpiadi di Atlanta abbiamo perso per due palloni e la squadra non è implosa. Arriva la crisi quando subentra l’emotività e la squadra va fuori controllo”. Velasco ha anche parlato dei passi da fare per rialzarsi: la crisi va circoscritta e va fatta una diagnosi. Si tratta di capire qual è la chiave che apre la porta giusta, darsi delle priorità (non più di tre) e abituarsi a non mollare. Velasco è stato il primo in Italia a parlare della “cultura dell’alibi”, ossia l’abitudine a non assumersi la responsabilità della sconfitta, a darne la colpa all’arbitro, alle circostanze, al meteo…

La cultura dell’alibi non riguarda solo lo sport ma è applicabile a molte situazioni della vita quotidiana. Allo stesso modo le “regole” per fare di un atleta un vincente sono le stesse per affrontare le sfide personali e professionali: la passione deve essere il motore principale, ma quando la passione cala deve intervenire la tenacia e la dedizione; la responsabilità, che si deve a sé stessi e agli altri; l’onestà dell’analisi delle proprie performance e, per finire, lavoro, lavoro, lavoro… 

Lo sport insomma diventa una metafora della vita, come ha sottolineato Paolo Bouquet, il delegato dell’Ateneo per lo sport, che ha parlato del progetto sperimentale "Sport diffuso" (Sport4Skills) per gli studenti UniTrento volto a sviluppare tutte quelle abilità che il corso di studi non insegna. Il progetto si inserisce nelle politiche per lo sport che hanno fatto dell’Università di Trento un apripista nel coniugare sport e percorsi universitari, perché, come ha messo in evidenza il rettore Paolo Collini, “la pratica sportiva, nei suoi diversi modi di essere, è un modo per crescere e per formarsi, per vivere bene e per rialzarsi dopo le difficoltà”.