Cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico. Foto di Romano Magrone, archivio Università di Trento

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AVEVAMO IL NOSTRO SOGNO DAVANTI

L’inizio di una nuova esplorazione dell’universo. Intervista all’astrofisica Marica Branchesi, ospite dell’Università di Trento

15 febbraio 2018
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di Marinella Daidone
Lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

Tra le 10 persone più influenti del 2017 (Nature's 10), nella classifica stilata della prestigiosa rivista scientifica Nature, c’è una giovane astrofisica italiana: Marica Branchesi.
Laureata in astronomia, dopo il dottorato di ricerca lavora per alcuni mesi negli Stati Uniti  al California Institute of Technology; in seguito rientra in Italia e attualmente lavora al Gran Sasso Science Institute. Fa parte del progetto internazionale LIGO/Virgo nell'ambito del quale si occupa di fisica delle onde gravitazionali e dei segnali elettromagnetici associati alle sorgenti di segnali gravitazionali.

Marica Branchesi è stata ospite dell’Università di Trento in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico, dove ha tenuto la prolusione. L’abbiamo incontrata poco prima della cerimonia.

Marica, la sua prolusione s’intitola “L’inizio di una nuova esplorazione dell’Universo”. Può dirci di cosa tratta?
Parlo delle scoperte avvenute negli ultimi anni e della rivelazione delle onde gravitazionali. Osservare le onde gravitazionali significa aprire un nuova finestra sull’Universo che ci permette di vedere oggi quello che prima era invisibile. Con le onde gravitazionali noi siamo riusciti ad abbinare alla luce il suono, e quindi è come passare da un film muto in bianco e nero a un film con il suono e i colori. 

Come sono, e come saranno in futuro, gli esploratori e le esploratrici del terzo millennio?
Io penso che questo sia un momento d’oro, perché è l’inizio di una nuova esplorazione, di un nuovo modo di osservare l'Universo. Questo esploratore, rispetto all'esploratore del passato, per superare le sfide tecnologiche, osservative e teoriche, ha bisogno di lavorare in grandi comunità. Quindi è un lavoro globale, internazionale, dove scienziati di tutto il mondo collaborano insieme.

Il 17 agosto 2017 è ormai una data storica, che sembra confermare, a 100 anni di distanza, quanto ipotizzato da Albert Einstein. È stato catturato il segnale generato dalla fusione di due stelle di neutroni. Lo hanno ascoltato e visto i rivelatori di onde gravitazionali LIGO e Virgo e molti telescopi terrestri e spaziali. Lei l’ha vissuto in diretta, cos’è accaduto e cosa ha provato quel giorno? 
È stato un giorno estremamente emozionante. Subito dopo pranzo è arrivato un alert sul cellulare. Come al solito quando arrivano gli alert, noi ci colleghiamo immediatamente in teleconferenza con gli esperti che sono ai siti dei telescopi, dei rilevatori di onde gravitazionali e con gli esperti del data analysis. Abbiamo visto un segnale nei dati gravitazionali di 100 secondi e ci siamo subito resi conto che era un segnale diverso da quelli che avevamo visto prima, che avevamo il nostro sogno davanti. Subito abbiamo saputo che c’era stato il satellite Fermi della NASA che aveva visto un lampo gamma, confermato anche dal satellite Integral dell’ESA, a quel punto eravamo tutti emozionatissimi. Racconto un episodio molto carino. Il capo della pipeline che aveva rilevato l’evento era talmente emozionato che non riusciva a battere con le mani sulla tastiera e ha chiesto al suo post-doc di scrivere. 
Eravamo tutti emozionatissimi, però al contempo dovevamo rimanere concentrati perché c’erano dei dati con del rumore che andavano ripuliti, e sapevamo che avevamo un goal. Quest’oggetto si trovava a sud, ma noi dovevamo dare una localizzazione precisa. I telescopi più importanti sono quelli posizionati in Cile. Quindi dovevamo essere in grado di riuscire a dare una localizzazione per fare in modo che i telescopi cileni l’osservassero. Ci siamo messi tutti a lavorare tantissimo e in 5 ore siamo riusciti a dare una localizzazione: era un segnale vicino, un segnale localizzato in una piccola regione di cielo, dove conoscevamo la distribuzione delle galassie, e i telescopi cileni dopo un’ora hanno trovato un oggetto nuovo in una di queste galassie. A partire da quel momento c’è stata la campagna osservativa più grande mai avvenuta in tutta la storia dell’uomo.

Mentre succedeva tutto questo lei era nel suo laboratorio al Gran Sasso Science Institute?
No, era agosto e io ero in vacanza. Lavoravo da casa, a Urbino.

Nel suo campo di studi ha collaborazioni con ricercatori dell’Università di Trento?
L’Università di Trento è stata fondamentale in questa scoperta; io collaboro con molti ricercatori UniTrento. Fra questi c’è Antonio Perreca, un fisico sperimentale, che lavora alla realizzazione dei rilevatori che ci hanno permesso queste scoperte. Ci sono il professor Giovanni Prodi, il coordinatore del data analysis di tutta la collaborazione LIGO/Virgo, e il professor Bruno Giacomazzo che sviluppa i modelli teorici che ci permettono di interpretare segnali di onde gravitazionali. C’è il professor Stefano Vitale che rappresenta il futuro dell’astronomia delle onde gravitazionali:  è riuscito a realizzare con il suo team la missione LISA Pathfinder, che ha dimostrato la possibilità di avere un osservatorio di onde gravitazionali nello spazio. È stata una missione che è andata al di là di tutte le aspettative. 

La rivista scientifica Nature l’ha definita “merger maker” (creatrice di fusioni). Oggi che cosa è necessario fondere o far dialogare? 
Secondo me bisogna far dialogare le persone e anche le comunità differenti. Nel caso della scoperta di quest’estate ci sono fisici delle onde gravitazionali e astronomi che hanno competenze diverse, con esperienze e dinamiche di lavoro differenti. I fisici delle onde gravitazionali lavorano in collaborazioni enormi. La collaborazione LIGO/Virgo è di 1200 persone. Gli astronomi lavorano invece in singoli gruppi di 20/30 persone. Usano anche linguaggi un po’ diversi. Io sono entrata in LIGO/Virgo nel 2009 e in questi anni ho cercato di convincere gli astronomi che questa era l’astronomia del futuro, raccontando le potenzialità astrofisiche con il linguaggio da astronoma, perché sono un’astronoma. Questo è stato importante poi per costruire insieme modalità di osservazione e analisi dei dati congiunte che prima non c’erano. Tutto questo ha portato alla scoperta di quest’estate.

Dopo questa scoperta è uscito un lavoro firmato da moltissime persone. 
Sì, è stato firmato da 3500 persone. Io ero nel gruppo che ha coordinato la scrittura, eravamo 10 persone. Non è stato semplicissimo perché ognuno voleva mettere in evidenza il proprio contributo. Alla fine ce l’abbiamo fatta.

La sua storia può essere d’incoraggiamento per tante ragazze e tanti ragazzi. Quali difficoltà ha incontrato nella sua carriera? Ha un consiglio o un suggerimento per studenti e studentesse che devono decidere che strada intraprendere?
Le difficoltà in Italia riguardano soprattutto i pochi fondi per la ricerca e il fatto che molte volte non vengono date responsabilità ai giovani, cosa che in altri paesi accade più facilmente. Forse lavorare nelle grandi collaborazioni permette anche ai giovani di emergere. Io spero che questo avvenga anche nelle università italiane o nei gruppi di ricerca italiani perché secondo me è molto importante.
Ragazzi e ragazze devono prima di tutto puntare in alto, cercare di realizzare i loro sogni. Incontreranno sicuramente delle difficoltà, io molto spesso mi chiedo se quello che faccio è il mestiere giusto. Bisogna imparare dalle difficoltà e non avere paura di cambiare. Io ho cambiato il mio settore di ricerca e ho portato nella fisica delle onde gravitazionali un contributo che era la mia ricerca precedente, l’astronomia a multi-banda. Ormai la ricerca non ha più dei confini. Fisica fondamentale e astronomia, per esempio, si sono unite insieme.