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Formazione

LO STORICO E LE FONTI

Il diploma, il libro, l’archivio: gli strumenti scientifici dell’umanista

5 febbraio 2015
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Emanuele Curzel
di Emanuele Curzel
Professore di Storia medievale presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

I diplomi, ossia i documenti solenni emanati da un’autorità pubblica, sono il “sismografo privilegiato dei movimenti culturali, anche se farli parlare in questo senso costa fatica e pazienza”. La frase è di Reinhard Härtel, docente presso l’Università di Graz, che ha studiato nel dettaglio la storia della produzione documentaria dei vescovi di Aquileia e che dalle sue ricerche è stato in grado di trarre conclusioni di grande interesse per quanto riguarda la storia della cultura, della mentalità, delle istituzioni di una particolare area. Da questa metafora è nata l’idea di dedicare un breve seminario, rivolto agli studenti dell’area storica del dottorato in Culture d’Europa, alle fonti scritte usate soprattutto dai medievisti, descrivendole come fossero strumenti scientifici: il diploma come sismografo, il libro come barometro, l’inventario d’archivio come spettroscopio.

Le forme in cui il documento pubblico viene redatto dicono infatti molto del modo in cui una particolare autorità vuole auto-rappresentarsi: il percorso di produzione di un documento non è mai casuale ma è il risultato di una strategia. Per distinguersi dalla condizione comune il testo ha bisogno di caratteristiche distintive: una particolare disposizione dei segni grafici, le loro dimensioni, il rapporto tra pieno e vuoto sulla superficie scrittoria possono suscitare nello spettatore o lettore reazioni di reverenza, di sottomissione, di ubbidienza che non hanno a che fare solo con il significato di volta in volta espresso dalle parole. Anche una particolare scansione del dettato può servire allo stesso scopo. Uno studio accurato, come un sismografo, può dire molto dei movimenti che una particolare società subisce attraverso il tempo: nel seminario sono esposte in particolare alcune considerazioni sulle forme dei documenti prodotti dai vescovi tra X e XIII secolo.

Non c’è nulla di banale o di ovvio nel passaggio dal documento sciolto alla raccolta in un libro. L’operazione viene fatta a fronte di un “cambiamento di pressione” negli equilibri politici e sociali, cambiamento che induce il soggetto alla raccolta e alla conservazione di tutto ciò che egli ritiene possa servire a esercitare il controllo sui propri beni, sulle proprie relazioni, sul proprio territorio: per questo il libro è un “barometro”. Quando un ente o una persona trascrive le carte fino a quel momento possedute, operando nel contempo una selezione e un riordino, si ha un cartulario; quando decide invece di tenere nota in modo sistematico della documentazione emessa si ha un registro. Partendo dal testo di Robert Brentano “Due Chiese: Italia e Inghilterra nel XIII secolo” e dalle riflessioni dell’autore sul tema della “Chiesa scritta”, si è fatto il punto sul dibattito storiografico sul tema nell’ultimo quarantennio.

Lo spettroscopio permette, attraverso la misurazione della lunghezza d’onda della luce emessa da un corpo, di conoscere la sua composizione. E così nella terza parte del seminario si dimostra come la “luce” emessa da un particolare archivio – fuor di metafora: il tipo di documenti in esso contenuti – possa dire qualcosa di significativo circa l’ente che volle la nascita e la conservazione di quella raccolta e il percorso storico che permise la conservazione di certi documenti e non di altri. È stato presentato in particolare il caso degli archivi parrocchiali trentini, considerati luoghi di conservazione di documenti di ambito ristrettamente locale; visti nel loro complesso, ci restituiscono “lunghezze d’onda” di tipo molto particolare.

Gli incontri su “Il diploma come sismografo; il libro come barometro; l’archivio come spettrografo” si sono tenuti il 4 e il 5 febbraio scorsi nell’ambito del corso metodologico “Lo storico e le fonti”, che si è svolto dal 2 al 6 febbraio presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Ateneo. Il corso, coordinato dal professor Giuseppe Albertoni, è rivolto agli studenti del corso di dottorato in “Culture d’Europa. Ambienti, spazi, storie, arti, idee”. Oltre al professor Emanuele Curzel, sono intervenuti i docenti Sara Lorenzini, Gianna Manca, Elvira Migliario e Giovanni Ciappelli.