Un momento della conferenza, foto archivio Università di Trento

Internazionale

VECCHI E NUOVI EQUILIBRI POLITICO-MILITARI IN MEDIO ORIENTE

Una riflessione dell’ambasciatore d’Italia in Iraq Massimo Marotti ospite della Scuola di Studi internazionali e della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento

26 febbraio 2015
Versione stampabile
Marinella Daidone
di Marinella Daidone
Lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

Un relatore d’eccezione, l’ambasciatore d’Italia in Iraq Massimo Marotti, è stato ospite lo scorso 18 febbraio dell’Ateneo per parlare di “Vecchi e nuovi equilibri politico-militari in Medio Oriente”. Un’iniziativa congiunta della Scuola di Studi internazionali (SSI) e della Facoltà di Giurisprudenza che ha visto la partecipazione attiva e interessata di numerosi studenti e docenti. Il bisogno di informazioni su ciò che sta accadendo in quella regione – “fatti gravi e difficili da leggere” – è stato sottolineato da Luisa Antoniolli, direttrice della Scuola di Studi internazionali, nel saluto di apertura della conferenza. Nell’introdurre il relatore, Giuseppe Nesi, direttore della Facoltà di Giurisprudenza, ne ha sottolineato l’esperienza e l’autorevolezza, oltre all’amicizia personale nata dalla collaborazione presso la rappresentanza italiana all’ONU.

L’analisi dell’ambasciatore Marotti – da più di due anni in Iraq, dopo avere lì prestato servizio all’inizio della sua carriera – esprime il punto di vista di chi è “un osservatore nelle regioni in cui si sta compiendo una tragedia di enormi proporzioni”. La sua riflessione si è focalizzata in particolare sulla regione tra Beirut e Basra (o Bassora), quell’anello di terra di circa 1300 chilometri che separa il Mediterraneo dal Golfo Persico, dove dalla fine della Prima Guerra mondiale c’è stata una sostanziale instabilità prolungata con alcune fasi di equilibrio senza conflitti e senza guerre. Si tratta di un corridoio che ha una grande rilevanza strategica legata alla produzione e al trasporto di energia; all’assetto di questo territorio guardano con interesse non solo gli Stati confinanti ma anche le grandi potenze mondiali. Marotti sottolinea come l’equilibrio politico-militare di questa regione, sopravvissuto per diversi anni, “è ora sul punto di cambiare e per alcuni è addirittura un equilibrio in totale disfacimento”.

Gli elementi presi in esame da Marotti nel cercare la causa del cambiamento sono molti. I gruppi etnici che popolano questa regione hanno una composizione variegata per cultura e ispirazione religiosa, in un territorio che vede l’80% di sunniti e il 20% di sciiti. Già nel periodo tra le due guerre mondiali si assiste al fallimento del nazionalismo e del socialismo arabo e in tempi più recenti, con le primavere arabe, si arriva al collasso delle dittature di molti paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. 
Nonostante i molti conflitti (tra cui quello palestinese, la guerra civile in Libano, la guerra Iran-Iraq, la guerra del Golfo) sostanzialmente negli ultimi quarant’anni l’equilibrio stabilito durante la Guerra Fredda ha tenuto. Ora invece si ricerca un nuovo equilibrio. Tra i fattori destabilizzanti, Marotti individua il depotenziamento militare dell’Iraq e la progressiva crescita di influenza dell’Iran, a seguito degli otto anni di conflitto Iran-Iraq.

È in questo contesto che nasce “il fenomeno ISIS, chiamato anche Stato Islamico, nuovo Califfato, Daesh, un’organizzazione che è letteralmente esplosa di recente in quest’area del mondo e che ha l’obiettivo di ridisegnare la mappa geopolitica di questa regione.”
Il diplomatico ripercorre il progressivo affermarsi dell’ISIS a partire dalle sue origini ricondotte a formazioni di combattenti legate ad Al Qaeda in Iraq, che nel periodo 2004-2008 si insediano nelle province a predominanza sunnita per battersi contro gli americani. Dal 2008 al 2011 vengono dispersi nei territori a cavallo tra Iraq e Siria; dalla fine del 2010 partecipano alla guerra civile siriana e si trasferiscono stabilmente in Siria.
La capacità di reclutamento dell’ISIS aumenta anche per la mancata politica di inclusione dei sunniti in Iraq dopo la partenza degli americani e la caduta del regime di Saddam Hussein. Ma l’ISIS si rafforza anche per l’arrivo di combattenti da altri paesi arabi e musulmani, da paesi europei, dall’Australia, dalle varie parti del mondo. In molti casi si tratta di immigrati o di figli di immigrati di seconda o di terza generazione, e non va sottovalutata la capacità di seduzione esercitata dall’organizzazione e dalla sua macchina propagandistica.

Dopo il distacco dell’ISIS da Al Qaeda, nel cui ambito questo gruppo era nato, l’organizzazione fa il salto di qualità definitivo proclamando il 29 giugno 2014 il Califfato. Questo è anche l’elemento di maggiore differenziazione tra Al Qaeda e ISIS: mentre per Al Qaeda la costituzione del Califfato si prepara combattendo i “nemici” dell’Islam, l’ISIS propende per la creazione immediata dello Stato islamico, dell’autorità del Califfo su un territorio. E chi non si adegua viene espulso da quei territori o eliminato.
Abolito nel 1924, in Islam il Califfato rappresenta un mito: è l’età d’oro, dell’eccellenza culturale, scientifica, economica, militare e alimenta il mito dell’invincibilità, che ha accompagnato le prime popolazioni islamiche alla conquista dell’Impero. L’ISIS si richiama a quel mondo epico e alla sharia, la legge fondamentale che fa scattare una serie di norme comportamentali legate alla religione, vincolanti per ciascun individuo. L’obiettivo finale è costruire uno Stato, che al momento conta circa 7-8 milioni di persone che vivono tra Siria e Iraq sotto questo regime.

L’ISIS ha un’organizzazione politico-militare e di intelligence, ha risorse economiche da gestire derivanti tra l’altro dal contrabbando del petrolio dalla Siria orientale e dal commercio di reperti archeologici che alimenta il mercato nero. Altre possibili fonti di reddito sono il traffico di esseri umani e di organi e Marotti “non esclude una ragione economica anche nel tentativo di controllare il traffico di immigrati dal Nord Africa verso l’Europa, in particolare verso l’Italia.”
La violenza non è nuova in queste organizzazioni, ora però con Internet e YouTube l’opinione pubblica viene bombardata da questa violenza. “Come individui siamo giustamente preoccupati da questo scenario, ma non dobbiamo certo esserne intimiditi”, commenta Marotti. Secondo il diplomatico, gli Stati che si contrappongono all’ISIS hanno strumenti e capacità per creare gli anticorpi e resistere a questo fenomeno.