Valerio Valentini. Foto di Matteo Pillon, archivio Ufficio Progetto Giovani del Comune di Padova

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IMPARARE A SCRIVERE E VINCERE UN CAMPIELLO

Intervista a Valerio Valentini, laureato dell’Università di Trento

9 luglio 2018
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Anna Francesca Morsoletto
di Anna Francesca Morsoletto
Studentessa della Facoltà di Giurisprudenza, collabora con la redazione di UNITRENTOMAG.

Lo scorso maggio il romanzo “Gli 80 di Camporammaglia” edito da Laterza ha conquistato il Premio Campiello 2018 nella sezione Opera Prima. L’autore è Valerio Valentini, 27 anni, scrittore e giornalista di talento che nel 2010 si è trasferito a Trento per frequentare l’Università. Valerio si è laureato nel 2015 in Lettere moderne, è stato allievo del Collegio Bernardo Clesio e ha partecipato a due progetti Erasmus, uno in Inghilterra e uno in Francia. Ha collaborato, già durante gli studi, con Minima & Moralia, Internazionale.it e Articolo21, oltre ad aver fatto parte della redazione della webzine 404:FileNotFound. Il prossimo settembre verrà premiato sul palco della Fenice di Venezia per aver raccontato le vite degli abitanti di Camporammaglia, un paese dell’entroterra abruzzese, sconvolto dal terremoto del 2009. 

Valerio, il tuo libro “Gli 80 di Camporammaglia” ha vinto la quattordicesima edizione del Premio Campiello Opera prima. Ce ne puoi parlare? Ti aspettavi di vincere un premio così importante al tuo primo romanzo?
Ovviamente no, non me lo aspettavo, né, d’altronde, era a premi o riconoscimenti che pensavo quando ebbi la notizia, ormai quasi un anno fa, che il libro sarebbe stato pubblicato. La sola decisione di Laterza, di candidare Gli 80 di Camporammaglia al Campiello Opera Prima, mi aveva procurato una grande soddisfazione. La mattina della premiazione finale ero a lavoro: è stato Francesco Pasquale, col quale proprio pochi giorni prima avevo presentato il libro a Padova nell’ambito di un festival letterario, a darmi in diretta la notizia della vittoria. Ed è stata una grande gioia.

Quando ha preso forma l’idea di scrivere un libro? Fare lo scrittore è un sogno che coltivavi fin da piccolo o è maturato durante gli anni universitari? 
Tra i molti sogni indefiniti dell’infanzia forse sì, c’era anche quella di “fare lo scrittore”. L’idea di scrivere un libro, questo libro, me la portavo dietro da parecchio, ma si è tradotta in un tentativo concreto di scrittura nell’estate del 2015. Era quella della mia laurea magistrale: la tesi l’avevo completata con un certo anticipo, mi deprimevo nel ripetermi ogni giorni il discorso che avevo preparato per la discussione, e un po’ per vincere la noia, un po’ per ingannare l’attesa, decisi di aprire il file Word che poi sarebbe diventato il dattiloscritto da pubblicare.  

Come pensi che ti abbia aiutato la formazione all’Università di Trento? Quanto ha influito il lavoro di tesi sulla tua abilità di scrittore?
Più che l’Università di Trento nel suo complesso, credo di essere debitore, e parecchio, ad alcuni professori che ho incontrato nei miei cinque anni trascorsi tra il Santa Chiara, piazza Venezia e via Tommaso Gar. Penso ad Andrea Comboni, ad esempio, e ai molti libri che mi ha consigliato; e penso soprattutto a Claudio Giunta, che è stato determinante, tra le varie altre cose, anche nell’aiutarmi a pubblicare il libro e nell’indirizzarmi verso Laterza. Con Giunta, peraltro, ho lavorato ad entrambi le tesi: e in tutti e due i casi, sono stati esercizi di scrittura preziosi, che almeno in parte sono serviti anche per la stesura del romanzo e, più in generale, per la mia formazione. 

Di cosa ti occupi attualmente e quali sono i tuoi progetti per il futuro? Continuerai a scrivere romanzi?
Faccio il giornalista al Foglio, mi occupo di politica e, in particolare, del Movimento 5 stelle. Spero di poter continuare a scrivere, dando forma compiuta a altre idee intorno alle quali da un po’ di tempo rimugino e ragiono, in modo però piuttosto sconclusionato.

Che consiglio daresti agli studenti che vogliono fare gli scrittori?
Su tutti, quello di leggere molto, prima di scrivere. Per quel poco che può valere la mia esperienza, la frequentazione di buoni libri – e qui sta il punto, semmai: capire quali sono i libri buoni, anche a seconda dei gusti e degli interessi di ciascuno – rimane il migliore esercizio possibile. Un po’ serve a capire quale sia l’idea di letteratura che a noi, che letteratura vorremmo fare, piace; un po’, credo, serve proprio a prendere famigliarità con la lingua letteraria, provando poi magari a prenderne anche padronanza.