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IL TEATRO PLATONICO DELLA VIRTÙ

di Fulvia de Luise

1 agosto 2018
Versione stampabile

La riflessione filosofica sulla virtù ha luogo e data di nascita nei dialoghi platonici, dove il confronto tra Socrate e i Sofisti viene messo in scena, contrapponendo ai maestri di una nuova e brillante forma di paideia il rigore intellettuale e morale del filosofo. A tirare i fili di quella che è a tutti gli effetti una rappresentazione teatrale troviamo il primo scrittore di filosofia della tradizione occidentale: tanto abile nel metterci davanti agli occhi la figura di Socrate come primo filosofo da oscurare il fatto che è lui l’artefice di questa straordinaria novità intellettuale, e da celare interamente le sue intenzioni di autore, la sua identità di pensatore. La tradizione interpretativa ha usato metodi diversi per penetrare nel senso della filosofia platonica, trovando spesso un ostacolo nella forma di scrittura scelta dall’autore per rappresentare la filosofia. Focalizzare l’attenzione su quella forma permette invece di cogliere aspetti non secondari delle intenzioni comunicative di Platone, che si avvale di ogni raffinatezza della mimesis poetica per rappresentare la filosofia come pratica drammatica e agonistica, nel vivo di quell’azione che è il dialogo.
I saggi contenuti nel volume sono stati scritta da Andrea Capra, Michael Erler, Lidia Palumbo, Manuela Valle, Livio Rossetti ed Enrico Piergiacomi. 

Fulvia de Luise è professoressa di Storia della Filosofia Antica presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Dall’introduzione “Il teatro platonico della virtù. Scene memorabili” (pp. 13 – 15)

In tutti i dialoghi cui si riferiscono i saggi di questo volume, la virtù appare oggetto del contendere in una discussione di carattere aperto, che vede la presenza, accanto ai protagonisti del dialogo, di un vasto pubblico, il cui interesse alla risoluzione delle questioni in gioco ha un retroterra ben radicato nella tradizione. A mio parere è molto importante sottolineare che è la prima volta che il canone etico della virtù viene discusso nella sua interezza, la prima volta che la definizione stessa della virtù e delle sue molteplici forme viene interrogata a partire dal modo in cui se ne parla correntemente, sostenendo, sulla base di impliciti pregiudizi, il valore delle attitudini socialmente più apprezzate: il coraggio (andreia), la temperanza (sophrosyne), l’osservanza (eusebeia) e la pietà (hosiotes) religiose, il dominio di sé (enkrateia), la durezza (karteria), la giustizia (dikaiosyne), la capacità di decidere (euboulia), la liberalità (eleutheria), solo per indicare le qualità virtuose più citate.
Sottoponendo il tema della virtù e delle virtù a specifiche analisi, i dialoghi platonici mettono in scena un oggetto che ancora non esiste come entità di rilievo filosofico e che prende vita per effetto dell’azione drammatica rappresentata. Davanti a Socrate la risonanza poetica dei mille volti della virtù (disseminata in immagini che vanno da Omero ai tragici, dai professionisti della parola persuasiva agli esempi e ai luoghi comuni di uso popolare) appare un sovrapporsi caotico di linguaggi che ha urgente bisogno di una sistemazione. Ci troviamo di fronte al primo tentativo di definire un canone organico di valutazione morale, in grado valutare con coerenza le qualità soggettive e i comportamenti più desiderabili, nel contesto di una comunità politica che ha bisogno di modelli esemplari e che si trova qui a fare i conti con la sua storia, con la sua cultura poetica stratificata nel linguaggio e con la compresenza di stili comportamentali ormai privi di una regola comune.
Platone presenterà nel IV libro della Repubblica la sua versione definitiva del catalogo delle virtù, ridefinendone la logica in funzione del modello politico della città ideale. Ma in questi dialoghi è probabilmente rappresentato quello che egli considerava il maggiore contributo di Socrate alla revisione intellettuale e morale di un canone poetico incontrollabile, variopinto come il disordine della democrazia.
Nel Gorgia il forte antagonismo che si determina tra il filosofo e il cittadino Callicle, formato alla scuola dei nuovi maestri, mette in luce la divergenza dei significati che ha invaso il linguaggio con cui si parla della virtù, fino a produrre codici linguistici incomunicabili, in cui parole come enkrateia o eleutheria, insieme a tutto il lessico delle virtù eminenti come l’andreia e la sophrosyne, hanno subito slittamenti di senso tali da risultare semplicemente omonimi nei registri linguistici usati dai due dialoganti. All’evidente fallimento del filosofo nel confronto dialogico (dove l’incompatibilità dei discorsi scoppia sulle scelte di vita, sui valori di fondo che Callicle e Socrate esprimono) corrisponde una strategia di santificazione morale del filosofo ateniese, che lascia tuttavia in evidenza i limiti comunicativi e persuasivi del magistero socratico.
Nel caso del Protagora, Socrate si trova di fronte un antagonista in grado di offrire un vero manifesto di fede nei fondamenti della democrazia e nelle risorse pedagogiche della città educante, non solo sostenendo con un mito la fiducia che in tutti esista la disposizione naturale all’esercizio della virtù politica, ma mostrando in dettaglio le forme e i luoghi di una trasmissione di cognizioni virtuose tanto diffusa da restare inavvertita, cui l’insegnamento di Protagora si offre come forma di perfezionamento. La rappresentazione platonica non si cura di screditare moralmente il sofista, che anzi, nel confessarsi tale, rivendica l’eredità di una pratica nobile, un’arte educativa che ha le sue radici nei poeti, ma fa sì che Socrate metta in mostra la debolezza teorica di un manifesto pedagogico troppo legato a schemi e cognizioni tradizionali, senza essere in grado di ripensarli nel loro insieme. La conclusione del dialogo, che in questo caso non appare, a mio avviso, aporetica, permette a Socrate di respingere definitivamente l’idea che ci siano virtù spontanee assolutamente eminenti (come il modello eroico del coraggio fa pensare), per affermare il comune fondamento di tutte le virtù nel sapere. L’autore segnala con particolare evidenza che è stato raggiunto con ciò un punto fermo nella definizione unitaria della virtù. Non resta che capire in quali condizioni e in quali forme essa potrà svilupparsi e consolidarsi, dando vita a caratteri esemplari e a forme di vita armoniche. 

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