Particolare dalla copertina del volume "I quattro libri" di Yan Lianke.

Internazionale

LA CINA E LA PERDITA DELLA MEMORIA STORICA

Un incontro con lo scrittore Yan Lianke in Ateneo

24 settembre 2018
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Sofia Graziani
di Sofia Graziani
Ricercatrice presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Nel 1958, a nove anni dalla nascita della Repubblica popolare cinese, la Cina diede avvio a un programma economico chiamato “Grande balzo in avanti” (dayuejin) che mirava a fare del paese, allora ancora relativamente arretrato, una nazione con un livello di industrializzazione pari a quello delle nazioni europee più avanzate. Si trattava di un piano di rapida industrializzazione e modernizzazione di tutti i settori produttivi fortemente voluto da Mao Zedong, un leader in cui si era andata rafforzando la convinzione che fosse arrivata l’ora di procedere in modo deciso e originale verso il socialismo. Ma la nuova politica si tradusse in un fallimento con il collasso dell’agricoltura e una carestia che provocò circa 30 milioni di morti. Il Grande balzo in avanti inaugurò la fase radicale del maoismo, caratterizzata da una crescente radicalizzazione politica e ideologica che sarebbe culminata con la tragedia della Rivoluzione culturale (wenhua dageming), per poi concludersi definitivamente con la morte del Grande Timoniere (1976) e il successivo cambio di rotta voluto da Deng Xiaoping.

Questa fase della storia della Repubblica popolare e, in particolare, le esperienze tragiche associate al Grande balzo in avanti e alla Rivoluzione culturale sono state cancellate dalla memoria collettiva del popolo cinese. Alla società cinese non è mai stato permesso di parlare apertamente di questi avvenimenti della sua storia recente, perché una riflessione su questi temi implicherebbe una rivalutazione critica del ruolo di Mao Zedong (compito complesso e delicato) e, nello stesso tempo, solleverebbe inevitabilmente la questione delle responsabilità di un Partito che oggi è ancora al potere. Sia il trentesimo che il quarantesimo anniversario dall’inizio della Rivoluzione culturale sono, ad esempio, passati nel silenzio, se si eccettua qualche ristretta conferenza tra i pochi specialisti ancora attivi in Cina. I catastrofici eventi prodotti dalle politiche maoiste risultano, inoltre, pressoché assenti nei manuali di storia, con il risultato che le giovani generazioni non hanno la minima idea di cosa accadde allora

Il ruolo della memoria storica è un tema caro a Yan Lianke, scrittore e professore presso l’Università del Popolo di Pechino che ha dedicato il suo ultimo romanzo “I quattro libri”, appena uscito in Italia per Nottetempo, proprio al Grande balzo in avanti e agli intellettuali che nel 1957/1958 furono rinchiusi nei campi di rieducazione. Molto apprezzato all’estero per i suoi romanzi di critica sociale (basti ricordare “Il Sogno del Villaggio dei Ding” che ha ottenuto il premio letterario Franz Kafka 2014), Yan Lianke è tuttavia un autore controverso in patria. In un articolo apparso sul New York Times, lo scrittore ha parlato di una società senza memoria, o meglio di una “amnesia sponsorizzata dallo Stato”, facendo esplicito riferimento a un processo di rimozione del passato architettato dal Partito/stato per la propria sopravvivenza che ha prodotto una nuova generazione di “automi dotati di una memoria selettiva”. 

Al contempo, Yan Lianke ha sollevato la questione cruciale del rapporto tra intellettuali e potere nella Cina contemporanea, sottolineando la responsabilità del mondo intellettuale che tende ad accettare in silenzio questa “amnesia forzata”; un’accettazione - scrive Yan - che può essere vista come “una tacita intesa tra gli uomini di lettere per non entrare in conflitto con il potere dello stato”. Dopotutto - continua Yan - “una delle finestre [quella economica] è aperta [al mondo]. La luce può entrare. Il nostro mondo è più luminoso di un tempo […] almeno oggi possiamo respirare un po’ d’aria, quindi perché dovremmo sacrificare noi stessi per una brezza che potrebbe alzarsi domani”. Nondimeno, le parole con cui si chiude l’articolo risuonano come un monito urgente a ricordare e trasmettere la memoria alle nuove generazioni: “Un poco alla volta ci abituiamo all’amnesia e dubitiamo delle persone che fanno domande. Un poco alla volta perdiamo la memoria di cosa è accaduto al nostro paese in passato, poi perdiamo il senso di cosa sta accadendo al nostro paese nel presente e, infine, corriamo il rischio di perdere la memoria di noi stessi, della nostra infanzia, dei nostri amori, delle nostre gioie e dei nostri dolori. [...]  Naturalmente, il fatto che un’opera d’arte o un’opera letteraria riescano o meno a trasmettere i nostri ricordi non è l’unica cosa di cui tenere conto quando se ne valuta la qualità. Tuttavia, il fatto che conservare la memoria sia permesso è il parametro più importante per misurare la grandezza, la maturità e il grado di tolleranza di una nazione. [...]  Credo che la Cina dovrebbe anche essere sufficientemente matura per riflettere sul proprio passato e ricordarlo. [...] Credo che un popolo davvero grande sia un popolo che ha il coraggio di ricordare il proprio passato, e che una nazione davvero grande sia una nazione che ha il coraggio di ricordare la propria storia”.

Yan Lianke rimane uno dei pochi intellettuali cinesi che negli ultimi anni si sono impegnati nel sottolineare l’importanza della memoria storica, dando continuità alla missione intrapresa dal famoso scrittore Ba Jin, che già a metà anni Ottanta avanzò la proposta (rimasta del tutto inascoltata) di costruire un museo della Rivoluzione culturale per educare le nuove generazioni e non consentire il ripetersi degli errori e delle tragedie del passato.

Il 5 settembre il professor Yan Lianke ha presentato il suo romanzo “I quattro libri” presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia e alla libreria Arcadia di Rovereto, che ha organizzato l’evento. Hanno collaborato l’Università di Trento, il Centro Studi Martino Martini e la Fondazione Caritro. L’incontro, promosso nell’ambito del Festival Oriente Occidente, è stato introdotto da Sofia Graziani. 
L’articolo del New York Times citato nel testo è consultabile a questo link.


English version
CHINA’S LOSS OF MEMORY
Yan Lianke presented his last novel at the University of Trento

In 1958, nine years after the birth of the People's Republic of China, China started the “Great leap forward” (dayuejin), an economic programme which aimed to transform the still underdeveloped and agrarian country in an industrialized country that could rival Europe’s most advanced states. The programme, whose purpose was to rapidly industrialize and modernize all the productive sectors, was a strategy of Mao Zedong, a leader convinced that it was time to move forward on the Chinese way to socialism. His policies turned out to be a total failure, causing the collapse of agriculture and a famine that killed about 30 million people. The Great leap forward opened the radical phase of Maoism, characterised by growing political and ideological extremism which would culminate in the tragedy of the Cultural revolution (wenhua dageming) and come to an end with the death of Chairman Mao (1976) and the change of direction under Deng Xiaoping.

This period in the history of the People’s Republic and, in particular, the tragic events that occurred during the Great leap forward and the Cultural revolution, were erased from the collective memory of the country. Chinese people have never been allowed to talk openly about these events in their recent history, because a discussion on these themes would entail a critical evaluation of Mao Zedong’ role – a delicate and complicated task – and, at the same time, would inevitably pose the question of responsibility of a party which is still in power today. For example, the thirtieth and the fortieth anniversary of the beginning of the Cultural revolution were not celebrated, except for some restricted conference with the few experts who are still in China. And the catastrophic consequences of Maoist policies, for the most part, do not appear in history books, therefore younger generations have no idea of what happened then

The role of the historical memory is one of the favourite subjects of Yan Lianke, writer and professor of the People’s University in Beijing, who centred his most recent novel “The Four Books” – which has just been released in Italy by Nottetempo – on the Great leap forward and the intellectuals who were sentenced to re-education camps in 1957-58. Yan Lianke, who gained much success abroad for his novels of social criticism (like “Dream of the Ding Village”, which received the Franz Kafka Prize in 2014), is a controversial figure in his homeland. In an article that appeared in The New York Times, the writer spoke of a society with no memory or, better phrased, of a “State-sponsored amnesia”, making an explicit reference to the process of deletion of the past conceived by the Party/state for its own survival, which turned “the younger generation into selective-memory automatons”. 

But Yan Lianke has also raised the crucial question of the relationship between intellectuals and power in contemporary China, underlining the responsibility of intellectuals which tend to accept this “state-administered amnesia” in silence; an act of acceptance – Yan wrote – which can be seen as “a tacit understanding among men of letters who appease the state’s power”. After all - continued Yan - “one of the windows [the economics window] is open [to the world]. Light is allowed in. Our world is brighter than before […] at least today we are allowed to breathe some air, so what’s the point of sacrificing ourselves for a breeze that might come tomorrow”. However, the words that close the article sound like a warning to remember and to pass the memory on to future generations: “Gradually we become accustomed to amnesia and we question people who ask questions. Gradually we lose our memories of what happened to our nation in the past, then we lose the sense of what’s happening in our nation at present, and, finally, we run the risk of losing memories about ourselves, about our childhood, our love, our happiness and pain. […] Of course, whether or not a piece of art or a literary work can carry our memories is not the only thing that needs to be considered when we judge the quality of a work. However, whether preserving memory is allowed is the most valuable parameter to measure the greatness, maturity and degree of tolerance of a nation. […] I believe China should also be mature enough to reflect on and remember its past. […] I believe a truly great people are people who have the courage to remember their own past, and a truly great nation is a nation that has the courage to record its own history.”

Yan Lianke is one of the few Chinese intellectuals who, in recent years, put their efforts to emphasize the importance of historical memory, giving continuity to the mission started by famous writer Ba Jin who, in the mid-eighties, proposed to build a museum of the Cultural revolution to educate young generations and avoid repeating the mistakes and tragedies of the past (the proposal was not successful).

Professor Yan Lianke presented his novel “The Four Books” on 5 September at the department of Humanities and Libreria Arcadia in Rovereto, which organised the meetings. The University of Trento, Centro Studi Martino Martini and Fondazione Caritro participated in the organization. The meeting, which was part of the programme of Oriente Occidente Festival, was presented by Sofia Graziani. The New York Times article mentioned in the text can be found here.

[Traduzione Paola Bonadiman]