"Generazione ’68. Sociologia, Trento, il mondo". Foto di Francesca Rocchetti, archivio Fondazione Museo storico del Trentino

Eventi

IL SESSANTOTTO STUDENTESCO E GLI ALTRI MOVIMENTI

Uno studio sociologico a cinquant’anni di distanza

9 ottobre 2018
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Katia Pilati
di Katia Pilati
Ricercatrice del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università di Trento.

Rispetto ad altri paesi europei, il ciclo delle proteste che inizia a metà degli anni Sessanta in Italia è particolarmente importante per la sua estensione, la sua durata e la sua intensità. Le azioni di protesta coinvolgono numerosi settori della popolazione, primo tra tutti, la categoria degli studenti universitari. I giovani rappresentano quasi un 40 percento degli attori coinvolti negli eventi di protesta osservati tra il 1965 e il 1975. Le proteste degli studenti universitari iniziano con le occupazioni delle sedi universitarie a Pisa nel 1965, a Trento nel 1966, a Torino nel 1967. In questa prima fase, azioni come le assemblee studentesche contribuiscono a offrire uno spazio comune e a creare quel sentimento di “effervescenza collettiva”, tipico delle fasi iniziali di un movimento attraverso il quale si creano solide identità di gruppo e riconoscimento reciproco tra gli attori del movimento. 

In questa fase, le rivendicazioni studentesche riguardano soprattutto questioni interne all’università, per esempio la richiesta di maggiore partecipazione degli studenti agli organi decisionali, la riforma del curriculum, la diminuzione delle tasse, anche se non manca un discorso che pone il problema in termini di lotta tra capitalismo e lavoro come mostrano le cosiddette “Tesi della Sapienza” del febbraio del 1967. Dimostrazioni pubbliche e cortei, tesi a ricercare il riconoscimento esterno, prevalgono tra la fine del 1967 e il 1968. Questa volta le rivendicazioni concernono il tipo di conoscenza trasmessa, la liberalizzazione del piano di studi, un approccio critico al sapere, l’educazione alla libera discussione. Negli anni successivi al Sessantotto il movimento studentesco si apre ad altre categorie sociali. Questo periodo è segnato dall’incontro con il movimento operaio. Le rivendicazioni sono nettamente marcate dal discorso di classe contro lo sfruttamento e l’oppressione generati dal sistema capitalista.

Tra il 1968 e il 1970, l’Italia è nella fase di diffusione e di pieno sviluppo del ciclo delle proteste. L’11 settembre 1969 è infatti considerata la data iniziale del cosiddetto “autunno caldo”, un periodo caratterizzato da un’ondata di scioperi e di mobilitazioni nel mondo del lavoro mai conosciuto prima d’allora. Se inizialmente le proteste coinvolgono un nucleo di operai specializzati appoggiato dai sindacati, la fase di mobilitazione allargata coinvolge anche gli operai comuni, i cosiddetti “operaio massa”. È questa la fase in cui gli operai si alleano con gli studenti, ma anche con altre categorie di lavoratori quali gli impiegati, e con le donne. Queste sono particolarmente attive nel movimento neo-femminista che, in Italia, nasce intorno a metà degli anni Sessanta. Tale movimento è attento sia alla dimensione dell’uguaglianza, già presente nei primi movimenti femministi della fine dell’Ottocento, sia alla dimensione della differenza, l’elemento più innovativo del movimento. 

Come era stato per il movimento studentesco, anche il movimento neo-femminista in Italia si caratterizza per una forte carica anti-autoritaria e anti-istituzionale. Il movimento studentesco e quello femminista sono infatti uniti contro il mito del benessere economico e contro la famiglia patriarcale in cui le donne occupano principalmente il ruolo di madri e mogli. Gli obiettivi dell’ala più radicale del movimento femminista risiedono tuttavia nel comprendere le modalità con cui si produce e riproduce il dominio maschile sulle donne e questo avviene attraverso pratiche di resistenza quali la psicoanalisi, i gruppi di autocoscienza, l’analisi dell’inconscio, il separatismo.

Gli anni successivi al 1971 sono associati alla fase di declino dei movimenti sociali protagonisti degli eventi descritti, ad eccezione del movimento femminista che si sviluppa durante tutto il corso degli anni Settanta. Questi anni sono contraddistinti da dinamiche conflittuali che solo parzialmente si sovrappongono alla rappresentazione dominante nel discorso pubblico che sottolinea la prevalenza di azioni politiche violente. Soprattutto, al di là dell’approvazione di importanti riforme per la società italiana - tra le quali lo Statuto dei Lavoratori, la legge sul divorzio, la legge sulla depenalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza - la violenza politica in questi anni è principalmente utilizzata da gruppi di piccole dimensioni che agiscono spesso in clandestinità. Inoltre, i protagonisti di queste azioni mostrano profili molto diversi da quelli degli studenti universitari interpreti della fase iniziale del ciclo delle proteste. I membri delle organizzazioni clandestine occupano infatti basse posizioni socio-economiche, sono spesso collegati a gruppi sociali marginali, principalmente giovani con bassi livelli educativi, ben lontani dal profilo degli studenti universitari che avevano optato per vie pacifiche e modalità di azione convenzionale. 

[Per approfondimenti si veda: K. Pilati, Movimenti sociali e azioni di protesta, Bologna, 2018, Il Mulino.]

Il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Ateneo ospita fino al 15 dicembre 2018 la mostra Generazione ’68 promossa dalla Fondazione Museo storico del Trentino in collaborazione con l'Università di Trento e dedicata alla generazione del '68 e al fermento degli anni Sessanta.