Diga del Vajont. ©Stefano Guidi | fotolia.com

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LA «GIUSTIZIA» DEL BENEFICIO

di Umberto Izzo

24 ottobre 2018
Versione stampabile

Questo studio analizza in che modo il diritto civile istituisce, delimita e ripartisce in concreto il trasferimento di ricchezze su cui i consociati possono contare, quando sperimentano le conseguenze di un evento che distrugge le risorse su cui essi potevano contare prima che l’evento avvenisse. Con l'evento dannoso insorge un bisogno destinato a trovare risposta sia in pretese risarcitorie rivolte a quanti di quella distruzione debbano rispondere sul piano civile, che in benefici conseguibili col ricorso al welfare privato assicurativo o attraverso strumenti mutualistico-assistenziali garantiti dalla collettività cui ogni consociato appartiene. Il problema dello scomputo dei benefici dal danno risarcibile, tradizionalmente studiato in Italia nella prospettiva del «latinismo di ritorno» compensatio lucri cum damno, è affrontato in una prospettiva storica e interdisciplinare (dialogando col diritto commerciale e il diritto del lavoro e della previdenza sociale) in un confronto necessario con la comparazione e il diritto privato europeo.
Il volume verrà presentato nella Tavola rotonda “Risarcimento del danno e welfare del danneggiato nel prisma del diritto civile” il 7 dicembre 2018 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

Umberto Izzo è professore di Diritto Privato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento. 

Estratto dal paragrafo” Vajont, Stava e altri disastri” (pp. 206-211)
Per portare a compimento la lunga verifica intrapresa sull’impiego della grammatica della clcd [ndr: compensatio lucri cum damno] nella giurisprudenza impegnata a coordinare gli effetti della sicurezza sociale con quelli della responsabilità civile, resta da esaminare un ultimo, rilevante capitolo.
Al cuore di questo segmento conclusivo della nostra analisi si colloca un’ampia schiera di eventi catastrofici/disastri accomunati dal fatto di non essere ascrivibili all’imponderabile, ma a un soggetto suscettibile di essere passivamente legittimato a vedersi imputare una parte o tutti i danni che tali disastri hanno prodotto, che in date occasioni può coincidere con lo stesso Stato o con una sua articolazione territoriale. E ciò determina una chiara situazione di clcd tutte le non rare volte che lo Stato (o una sua articolazione) abbia investito risorse per soccorrere, aiutare e attribuire ristoro alle vittime di tali accadimenti in nome della solidarietà nazionale.
Certo potrebbero darsi astrattamente situazioni nelle quali nell’ottica precauzionale l’imponderabile diventa ponderabile, ma – almeno per l’attuale stato delle conoscenze scientifiche – può ritenersi che gli eventi sismici siano per il momento un ottimo paradigma fra i disastri naturali che impediscono di pensare che quanti siano danneggiati da tali eventi abbiano la possibilità di identificare un legittimato passivo alle proprie pretese risarcitorie (salvo, va da sé, verificare come alcuni di questi ipotetici legittimati – fra cui in molti casi i danneggiati stessi – non abbiano rispettato prescrizioni precauzionali adottabili per elidere o mitigare un danno certo imprevedibile, quanto al momento della sua precisa verificazione, ma strutturalmente attendibile, quanto alla consapevolezza di vivere in una zona caratterizzata da un livello di sismicità più o meno marcato).
La decisione della Cassazione penale che ha assolto i tecnici/scienziati che presero parte alle riunioni della commissione Grandi rischi accusata di aver sottovalutato e minimizzato il rischio tellurico, ha però condannato il rappresentante della Protezione civile che aveva pubblicamente rassicurato la popolazione della città abruzzese dopo lo svolgimento di una fatidica riunione.
Per effetto dell’art. 2049 c.c., la circostanza prelude, senza soverchi margini d’incertezza, alla condanna civile della Presidenza del Consiglio, aprendo così la strada a ipotizzabili situazioni di clcd, fra contributi, indennizzi e provvidenze disposte a seguito del sisma e risarcimento del danno integrale da «sisma illecitamente tranquillizzato».
[…]
Lasciando da un canto i terremoti e la crescente capacità della meteorologia di istituire certezze in quanti vivono sotto il cielo e gli eventi atmosferici in quel cielo prendono luogo, i giudici di legittimità si sono più volte trovati a vagliare l’eccezione di clcd in vicende connotate da estrema drammaticità (beninteso: non diversamente da altre tragedie finora incontrate in queste pagine), com’è accaduto nel caso del disastro del Vajont o di quello di Stava, anche se – per dirla tutta – nei casi che hanno conosciuto la ribalta dei repertori a seguito di entrambe le vicende, i destinatari dell’eccezione di clcd non hanno coinvolto vittime capaci di serbare memoria del dolore recato dalle tragedie, ma persone giuridiche che in conseguenza dalle tragedie lamentavano un danno risarcibile.
Nel caso del Vajont, lo Stato, con l’istituzione della regione Veneto di là da venire, intervenne prontamente e con centralistica decisione per venire incontro alla devastazione procurata alle comunità di Erto e Casso e a tutta la valle annichilita dal disastro.
Lo fece oculatamente, per quel che qui interessa, prevedendo che tutti gli importi oggetto delle provvidenze previste a vantaggio dei vari soggetti pubblici e privati beneficiari degli aiuti fossero «concessi a titolo di anticipazione sul risarcimento dei danni patrimoniali spettante ai danneggiati in seguito all’accertamento di eventuali responsabilità», mettendo in chiaro che, nei limiti delle somme anticipate, lo Stato si sarebbe surrogato nei diritti dei beneficiari nei confronti degli eventuali responsabili, con l’effetto di toglier dal giro la possibilità che, almeno per quelle somme, si ponesse prospetticamente un problema di clcd, essendo così stato esplicitamente previsto in via legislativa il diverso istituto della surrogazione.
La stessa attenzione non fu però rinnovata nelle numerose leggi susseguitesi negli anni successivi per completare il quadro delle provvidenze e dei contributi trasferiti dall’erario statale a vantaggio dei soggetti pubblici e privati danneggiati dalla catastrofe.
Sta di fatto che trentasette anni dopo la tragedia le conseguenze civili della sciagura trovarono una composizione globale, al termine di un contenzioso penale, civile ed erariale che per la sua complessità non è qui dato riassumere, con un accordo transattivo siglato fra l’amministrazione dello Stato e gli altri due civilmente corresponsabili Enel e Montedison.
La clcd finì così per venire in rilievo giurisprudenziale solo nell’ambito di due separati giudizi civili promossi dai tre comuni che resistettero a ogni lusinga transattiva fino alla definizione dei giudizi in sede di legittimità.
Da una parte i comuni di Erto e Casso, che nel 1976 avevano promosso un giudizio contro l’ENEL. Dall’altra il comune di Castellavazzo, che nel 1979 aveva rivolto la propria pretesa risarcitoria sia nei confronti dell’ENEL che della Montedison.
Alle prese con la consueta grammatica della clcd la Cassazione s’interrogò con piglio analogico e forse troppo didascalico sul fondamento normativo della coppia di elementi classicamente associati a questa grammatica.
Da un canto mise in relazione la verifica della derivazione causale del beneficio dall’evento con l’art. 1223 c.c. Dall’altro, ritenne di ancorare l’esame dell’omogeneità del titolo all’art. 1243 c.c., riportando in auge, come qualcuno non mancò di osservare in sede di commento, l’errore concettuale rilevando il quale Renato Scognamiglio aveva stigmatizzato il passo falso compiuto dalla Corte di Appello di Catania nel 1951.
E per tal via la Corte pervenne a disapplicare la clcd invocata dall’ENEL, evocando l’idea che il danno ambientale risarcibile ai comuni assumesse in quel contesto consistenza non patrimoniale, rivelandosi non omogeneo rispetto al beneficio pervenuto loro attraverso i contributi statali, che questa consistenza ovviamente non possedevano.
Esito non diverso ebbe Cass. civ., 15 aprile 1998, n. 3806, la cui motivazione restò affidata allo stesso estensore della sentenza appena esaminata, il quale ebbe così occasione di replicare alle critiche ricevute per aver valutato la clcd richiamando nella precedente sentenza la logica dell’art. 1243 c.c..
La vicenda giurisprudenziale che definì le conseguenze risarcitorie della catastrofe del Vajont si chiuse quindi con un esito netto, per il momento riassumibile nel modo che segue: non è concesso al danneggiante invocare la clcd per vedere decurtato il proprio quantum debeatur in misura corrispondente al beneficio recato al danneggiato da un soggetto diverso dal danneggiante stesso.

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