Silvaticus, Opus pandectarum medicine, Pavia, B. de Garaldis, 1521

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RESPUBLICA MEDICORUM

La medicina in Trentino e in Europa tra Cinque e Seicento

5 dicembre 2018
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Giovanni Ciappelli
di Giovanni Ciappelli
Professore di Storia moderna presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Nell’arco di due secoli, fra il Cinquecento e il Seicento, il Trentino espresse un numero altissimo di medici di alto livello. Basterà fare un nome fra gli altri (anche se non è trentino, ma toscano): quello del medico umanista senese Pier Andrea Mattioli (1501-1578), che ha il suo sepolcro onorifico nella cattedrale di Trento perché nel corso della vita divenne medico del grande principe vescovo Bernardo Clesio, e in seguito anche dell’imperatore. È famoso ancora oggi come autore dei Commentari dei sei libri di Dioscoride (1544), corredati da moltissime immagini di piante. Il suo non è stato un caso isolato. Ci sono stati molti altri medici di formazione simile, laureati a Padova come lui, o altrove, trentini di nascita o meno, che hanno fatto del loro percorso professionale trentino la pietra angolare della propria carriera, e hanno agito professionalmente ad alto livello dando un contributo importante agli studi di medicina. Giulio Alessandrini (1506-1590) e Andrea Gallo sono solo due esempi per il Cinquecento, mentre sono successivi di qualche generazione Ottaviano Rovereti (1556-1626) e Ippolito Guarinoni (1571-1654). Quasi tutti studiarono a Padova, la facoltà di medicina all’epoca più vicina, ma anche quella più prestigiosa, frequentata da italiani e stranieri. Molti di essi diventarono medici personali di principi locali, come i vescovi di Trento e Bressanone, ma spesso ottennero anche il ruolo di medici imperiali, oppure di re e principi del mondo oltramontano legato all’impero.

La storia di questo gruppo professionale e della sua attività in Trentino fino ad oggi non era stata approfondita da nessuno per quanto riguarda l’età moderna. E soprattutto non erano state valorizzate le molte fonti di vario tipo in grado di documentarla, conservate non solo in sede locale, ma un po’ in tutta Europa, che non si limitano alle opere, spesso pubblicate a stampa, ma comprendono anche le lettere, i consigli medici, le ricette, che complessivamente danno la possibilità di ricostruire in che modo funzionava la gestione della medicina in un periodo cruciale, in cui si riscoprono e si rileggono i classici, si valorizza l’anatomia su nuove basi, cominciano a diffondersi nuove concezioni (anche se i vecchi sistemi di Galeno e Ippocrate non vengono sostanzialmente messi in discussione).

Questi medici furono in stretto rapporto fra loro e con altri colleghi di oltralpe, perché all’epoca esisteva una rete professionale e culturale che legava in modo molto forte i medici di vari paesi europei, e in particolare gli italiani con i tedescofoni. Si trattava di una vera e propria società dei medici, una “Respublica medicorum”, come è stata definita, con una precisa identità e caratterizzata dal senso di appartenenza a un preciso ceto professionale, consapevole della propria cultura, del proprio ruolo sociale ed etico, e che praticava, al di là delle differenze nazionali e religiose, molte forme di condivisione della conoscenza.

Studiare oggi l’ambito della medicina dotta in quel periodo cruciale consente di rendersi conto del livello delle conoscenze scientifiche allora disponibili, ancora assai limitato per quanto riguarda l’eredità medievale, ma che stava allargando i propri orizzonti attraverso scoperte, concezioni e metodi nuovi (l’anatomia di Vesalio, la teoria dei “seminaria morbi” di Fracastoro, la circolazione sanguigna di Harvey, che pure studiò a Padova, gli inizi della clinica da parte di Montano). E seguire da vicino i rapporti sviluppati in una comunità di medici permette di vedere come questi interagissero fra loro, scambiandosi esperienze, stabilendo collaborazioni, rapporti amicali e forme di sostegno nella costruzione delle carriere, ma anche dando vita ad aspre contese a causa di possibili rivalità scientifiche e professionali. L’esame di tutto ciò dà inoltre la possibilità di inquadrare meglio anche la medicina “di livello più basso”, praticata dai chirurghi pratici e dai cerusici o anche da altre figure a livello più popolare, nonché le prime forme dell’assistenza sanitaria pubblica prestata comunemente negli ospedali o durante le emergenze in occasione delle grandi epidemie (a Trento fra inizio Cinquecento e metà Seicento si verificarono tre epidemie di peste, due di tifo e una di morbillo o vaiolo).

La ricostruzione di queste vicende da un lato getta un ponte fra due campi spesso divisi, le scienze “dure” e le scienze umane, perché fra l’atro la medicina, sebbene scienza naturale, è anche scienza umana in quanto riguarda l’uomo nel suo complesso fisico e psichico. Dall’altro è un lavoro che apre molte strade e molte possibilità. Fare la storia dell’attività medica trentina nell’età moderna intanto riempie una lacuna storiografica, finora affidata soprattutto all’erudizione settecentesca. Ma consente di innestare su basi più solide anche il lavoro di ricerca sull’attività medica e sanitaria dell’età contemporanea, portato avanti oggi da più istituzioni di ricerca e professionali attive nel territorio. E il collegamento delle ricerche trentine e italiane con quelle analoghe svolte in altri paesi europei dà modo di stabilire confronti destinati a chiarire rapporti e influenze reciproche, percorsi, procedure, fino a permettere di ricostruire le forme di circolazione e fruizione fra Cinque e Seicento di tutta una serie di pubblicazioni a stampa di largo consumo, volte a far giungere i primordi dell’informazione sanitaria a un pubblico semicolto che ne faceva allora come oggi grande richiesta, come pure i rapporti di questa produzione con le raccolte di “segreti” o di rimedi, circolanti fino a tardi anche in forma manoscritta.

A conclusione di un progetto di ricerca sull’attività medica in Trentino nel Cinque-Seicento condotto presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia, finanziato dalla Fondazione Caritro e dallo stesso Dipartimento, con la collaborazione scientifica dell’Ordine dei Medici di Trento e della Fondazione Museo Storico del Trentino, si è tenuto il 14 e 15 novembre il convegno internazionale “Medicina e sanità nel Cinque-Seicento tra saperi, società e scambi culturali. Il Trentino e altre realtà italiane ed europee”, con la partecipazione fra gli altri di relatori delle università di Trento, Verona, Ginevra, Würzburg e Vienna. Nel Comitato scientifico, insieme a Giovanni Ciappelli: Alessandra Quaranta, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia, Marco Ioppi, presidente dell’Ordine dei Medici di Trento, e Rodolfo Taiani, ricercatore della Fondazione Museo Storico del Trentino.