Alcuni membri del team del progetto 3ska. Foto di Alessio Coser. Archivio Università di Trento.

Formazione

Progetto 3ska: la parola agli ideatori

Intervista agli studenti che hanno progettato la slitta per la spedizione Alaska 2019 Ski Walking Winter Expedition.

27 marzo 2019
Versione stampabile
di Elenora De Pace
Laureanda della Facoltà di Giurisprudenza, collabora con il Servizio Orientamento dell’Università di Trento.

3ska è la slitta commissionata da Maurizio Belli e Fulvio Giovannini per la loro spedizione in Alaska: ripercorrere l’itinerario dei ricercatori d’oro in Alaska lungo 1300 chilometri tra ghiacci e strade innevate fino ad Achorage. Alla realizzazione del progetto ha collaborato un team di 9 studenti del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Trento. I ragazzi hanno preso parte a un progetto di didattica innovativa sotto la guida dei professori Stefano Rossi e Luca Fambri. Ci siamo fatti raccontare l'esperienza da tre di loro: Matteo Simeoni, team leader del gruppo, Domenico Dalpiaz e Sebastiano Furlani.

Per quale motivo siete stati coinvolti in questo progetto?

Il progetto è nato da un accordo tra il nostro Dipartimento e Maurizio Belli, sportivo ed esperto nel settore sport, salute e benessere; Belli ha iniziato le sue spedizioni nel ’93 e in questa sua passione per l’avventura ha trovato anche il suo percorso professionale.

La consegna era quella di realizzare una slitta in grado di resistere alle basse temperature dell’Alaska, capace di scivolare su ghiaccio e neve, leggera, affidabile, facile da usare e, come se ciò non bastasse, mutabile da neve a strada.

La proposta è nata al di fuori del classico percorso di studio e si colloca all’interno della didattica innovativa. La selezione è avvenuta mediante un bando aperto agli studenti dei corsi di laurea magistrale in Materials and Production Engineering e in Mechatronics Engineering. I 9 studenti selezionati hanno poi formato il team 3ska. Questa selezione era basata sulla lettera di presentazione dei candidati, le esperienze precedenti, ma soprattutto l’entusiasmo a partecipare a un progetto innovativo. Anche la passione travolgente di Belli ha convinto molto persone a candidarsi e credere in un’attività così particolare.

Concretamente siamo stati ricompensati con dei crediti formativi, ma non era questo lo scopo del progetto. Era un'opportunità per fare qualcosa di pratico, entrare in contatto con il mondo del lavoro e veder nascere fisicamente qualcosa che fosse il frutto delle nostre menti e del nostro lavoro.

Di cosa vi siete occupati concretamente?

Siamo partiti da zero, con l'obiettivo di realizzare qualcosa che ancora non era stato fatto. Per prima cosa ci siamo documentati, per conoscere lo "stato dell'arte" per quanto riguarda slitte e carretti artici. Abbiamo disegnato lo scafo della slitta utilizzando programmi di disegno 3d. Abbiamo studiato diversi metodi di assemblaggio delle ruote, scelto quello che ci sembrava il migliore e progettato tutti i componenti. Abbiamo scelto i materiali, contattato diversi fornitori e disegnato tutti i pezzi da realizzare su misura. Siamo anche stati in visita a Carpi all’azienda NCS che ha prodotto lo scafo. I professori, in particolare il professor Fambri, hanno cercato le aziende che poi hanno aderito al progetto.

Spesso ci interfacciavamo con i committenti prima di procedere alla fase successiva, per essere sicuri di realizzare un prodotto che li soddisfacesse appieno. Al momento di produrre la slitta, siamo stati in contatto con tutte le aziende coinvolte. A volte ci chiedevano di modificare dei disegni per semplificare loro il lavoro di produzione, altre volte i committenti cambiavano idea e dovevamo rivedere parti di progetto. È stata una fase di fitta corrispondenza per essere sicuri che tutto fosse fatto al meglio ed entro i tempi.

Quali sono state le maggiori difficoltà che avete riscontrato?

Riuscire a lavorare in team è spesso faticoso: a volte si è poco abituati dalle esperienze universitarie. Anche il doversi interfacciare con i due committenti non è stato facilissimo. Riuscire a tradurre il nostro linguaggio tecnico a persone non del settore e saper mediare, sono state le difficoltà maggiori. Allo stesso tempo non per tutti è stato facile trovare del prezioso tempo libero, che per gli studenti di Ingegneria è ben poco. Ci sono state fasi più concitate quando dovevamo assicurarci che tutto fosse pronto entro i tempi. Tante difficoltà, più o meno grandi, che però non ci hanno impedito di portare a termine questo progetto atipico.

Come sta andando la spedizione? È filato tutto liscio o ci sono state difficoltà?

Le comunicazioni con i due esploratori si sono interrotte quando sono partiti, perché durante la spedizione hanno a disposizione solo un telefono satellitare per le emergenze. Li seguiamo dal sito, dove caricano foto e video quando raggiungono i pochi centri abitati. Sappiamo che hanno avuto qualche difficoltà a causa della temperatura: avrebbero dovuto seguire lo Yukon River ghiacciato fino a Nenana, ma fa più caldo del previsto e ci sono numerose zone d'acqua. Per questo motivo hanno deciso di abbandonare il fiume prima di quanto stabilito e di proseguire con le ruote. Il fatto che la nostra slitta abbia permesso loro di farlo è già un successo.

Oltre a crescere dal punto di vista accademico, questa esperienza vi ha dato modo di entrare in contatto con le aziende in eventuale prospettiva lavorativa?

Durante il progetto, abbiamo tenuto i contatti con i referenti aziendali sia per mail che per telefono. Come team siamo anche andati in visita in due delle aziende coinvolte, che ci hanno mostrato come lavorano e di cosa si occupano. Una delle due ci ha chiesto di rimanere in contatto per organizzare una presentazione al ritorno di Fulvio e Maurizio.

Aver interagito con gli "adulti", aver toccato con mano come lavorano e aver iniziato a costruire un network di contatti è sicuramente una cosa che ci ha arricchiti e che probabilmente ci tornerà utile nella ricerca del lavoro.

Cosa vi ha lasciato questa esperienza?

Domenico Dalpiaz: Ci ha lasciato un bagaglio in più. Ci ha caricato di responsabilità e ci ha messo alla prova. Abbiamo notato che le capacità e le conoscenze acquisite in questi anni di studio sono sufficienti a portare a termine un progetto di una certa portata. Ci ha portato anche una piccola notorietà: sono apparsi articoli sia sulle testate locali che su una nazionale. Ed anche queste piccole cose ripagano del lavoro svolto.

Sebastiano Furlani: È sicuramente un’esperienza diversa dalle classiche lezioni frontali: mi ha permesso di mettere in pratica i concetti studiati e di collaborare con aziende, e questo mi ha fatto crescere. È un’esperienza che consiglio caldamente di fare durante il proprio percorso di studi.

Matteo Simeoni: Personalmente, mi ha arricchito perché mi ha aperto gli occhi su alcune tematiche che è difficile osservare da studenti. Prima fra tutte l'importanza (oltre che della preparazione e della competenza) delle capacità organizzative e comunicative, per far sì che le energie di tutti siano incanalate verso il raggiungimento dello stesso obiettivo. Mi ha aiutato a familiarizzare con il mondo del lavoro e a fare esperienza di vita oltre che professionale. Mi ha mostrato come le competenze acquisite durante il percorso di studi possano essere spese nel mondo del lavoro e mi ha lasciato con la soddisfazione di avercela fatta e aver fatto nascere qualcosa di concreto. Non ho ancora le idee chiare su cosa voglio fare dopo la laurea. Una volta al Career Day ci dissero: "L'ingegnere prima si laurea e poi scopre che lavoro sa fare". Io ho preso queste parole come un invito a fare una cosa alla volta e a cogliere le opportunità che arrivano. L'unica cosa che so è che non mi basterebbe "portare a casa lo stipendio". Penso che il lavoro debba essere fonte di realizzazione personale, e questo avviene se si fa qualcosa che appassiona e in cui si crede. Per questo ancora oggi continuo a guardarmi dentro e a cercare le mie passioni, e cerco di vivere la laurea non come un arrivo ma un nuovo inizio.