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Formazione

Internet e democrazia: come sta cambiando il dibattito pubblico

Intervista a Gabriele Giacomini, autore del libro "Potere digitale" e ospite dell’Ateneo

5 aprile 2019
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di Giulia Castelli
Laureata in Giurisprudenza UniTrento, collabora con l’Ufficio Web, social media e produzione video dell'Ateneo.

Il rapporto tra media e politica si è trasformato nel corso degli anni in modo sorprendente. Trasformazioni scandite dall’evoluzione tecnologica e dalla nascita di nuovi mezzi di comunicazione: la televisione negli anni Settanta; Internet e il web 2.0  nel 2019. I mezzi di comunicazione tradizionali dei decenni passati sono emersi come intermediari tra il mondo della politica e i cittadini. Internet ha messo in discussione questo ruolo, ridisegnando il rapporto tra i mezzi digitali di informazione e la democrazia liberale. Il dibattito scientifico sul tema è molto vivace, plurale e in continua evoluzione. A riguardo abbiamo  fatto qualche domanda a Gabriele Giacomini, ricercatore dell’Università di Udine e della Fondazione Bassetti di Milano. Giacomini è stato ospite del nostro Ateneo nel mese di marzo per un incontro su questi temi organizzato a Sociologia dal Research Group on Collective Action, Change and Transition (CoACT) e moderato da Giuseppe Veltri.

Dottor Giacomini, gli intermediari tradizionali –  ad esempio  partiti e giornalisti – sono ancora protagonisti del dibattito pubblico? In che modo Internet ha rivoluzionato la sfera pubblica e il loro ruolo?

Certamente sono ancora i protagonisti. Internet si sta diffondendo sempre di più, ma non dobbiamo dimenticare che, ad esempio, la maggioranza degli italiani si informa di politica ancora attraverso la televisione, un mass media che si potrebbe definire “tradizionale”, abitato da giornalisti professionisti. I partiti hanno un importante ruolo istituzionale, nell’ambito del sistema politico, ma sono rilevanti anche per informare il dibattito pubblico: realizzano manifestazioni, dimostrazioni, banchetti, petizioni. Propongono leggi e in questo modo portano l’attenzione su alcuni temi piuttosto che su altri. Internet è la grande novità, sta cambiando progressivamente le nostre vite, ma non bisogna correre l’errore di giungere a conclusioni affrettate.

Negli anni Novanta prevaleva l’utopia di un cyberspazio incontaminato, un luogo privo di interessi economici e centri di potere, dove l’informazione era libera da qualsiasi tipo di ingerenza esterna. Come è cambiato il web e il mondo dell’informazione in questi anni e cosa intende quando nel suo libro parla di “neointermediazione”?

Recentemente si è affermato il concetto di “disintermedizione”: significa che gli intermediari tradizionali, con la diffusione di Internet, vanno in crisi. Non prenoto più il viaggio nelle agenzie (intermediari tradizionali), ma direttamente online. Non faccio le operazioni bancarie dallo sportellista (intermediario tradizionale) ma con l’home banking. Anche la figura del giornalista è sicuramente in crisi. Le copie dei giornali cartacei sono in calo da molti anni, ad esempio, e questo è un dato di fatto. In questo senso si è verificata una parziale disintermediazione anche se, come abbiamo già precisato, la figura del giornalista rimane centrale ed è ancora lontana dall’essere completamente superata. Ma il punto centrale è che nella sfera pubblica non ci sono solo vecchi intermediari che sono in crisi, ma anche nuovi intermediari che stanno emergendo. Google, Facebook, Twitter, ad esempio, non selezionano e non pesano le informazioni in redazione, ma attraverso algoritmi: è la “neointermediazione”. Se oltre alla “disintermediazione” non vediamo anche la “neointermediazione” rimaniamo cechi di fronte ai nuovi centri di potere informativo e non solo.

Da una parte, Internet ha moltiplicato il numero di fonti informative a cui i cittadini hanno accesso. Dall’altra, gli algoritmi fanno in modo che gli utenti siano profilati e quindi esposti  solo alle informazioni  che gradiscono. A quali conseguenze può portare un “ecosistema” informativo di questo tipo per il pluralismo democratico?

Ci sono sempre più voci su Internet, il che è molto positivo, ma sembra che la distanza fra queste voci aumenti. Simbolo di questa distanza sono le echo chambers, le camere dell’eco: Internet personalizza l’esperienza informativa e quindi tende ad offrirci ciò che già gradiamo, quello con cui siamo già consonanti (è l’obiettivo soprattutto della piattaforme commerciali, che desiderano offrire all’utente una navigazione il più possibile piacevole). Detto in altri termini, se il pluralismo in termini quantitativi cresce, quello in termini qualitativi (come concordia discors, come confronto il più possibile costruttivo con l’altro) potrebbe diminuire. È quel fenomeno che in “Potere digitale” (Meltemi edizioni) ho chiamato “paradosso del pluralismo”. Il rischio è l’incastellamento della sfera pubblica, e la diminuizione di “incontri casuali”, di esposizione con chi la pensa diversamente. Ma una certa attitudine al confronto con l’altro è un aspetto importante della democrazia, come spiegava bene John Stuart Mill. Ma le conseguenze possono essere più generali: parafrasando Popper, se ho una idea, per corroborarla non devo cercare notizie o informazioni che la confermano, ma che la falsificano, che la mettono in discussione. Il rischio è che l’architettura delle piattaforme inibisca ciò, anche se ovviamente non si tratta di un destino e la dieta mediale dei cittadini è varia.

In base ai suoi studi, pensa che la democrazia rappresentativa abbia un futuro o sarà superata grazie all’utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici?

Per molte ragioni credo che la democrazia rappresentativa non verrà sostituita da una democrazia diretta, che secondo alcuni potrebbe realizzarsi grazie alle ICT. Razionalità limitata e specializzazione della società, ad esempio, non renderanno possibile l’avvento di un “cittadino totale”, capace di occuparsi in maniera continua e non intermittente delle questioni politiche. È più probabile, invece, che avremo una modifica della democrazia rappresentativa. Ma non sappiamo se il cambiamento sarà più in una direzione “verticistica-elitista”, in una “orizzontalistica-popolare” oppure in entrambe al tempo stesso.