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FAMILIES OF INEQUALITIES

Social and economic consequences of the changing work-family equilibria in European Societies

2 settembre 2015
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Stefani Scherer
by Stefani Scherer
Full Professor of the Department of Sociology and Social Research of the University of Trento.

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European societies witnessed a series of profound changes over recent decades, among those also changes in the classic inequality-generating institutions – namely welfare system, the labour market and the family (the latter mainly originated by the changing behaviour of women) - coming with increased levels of inequality, and the emergence of “new social risks” and a potentially reduced capacity to buffer market risks.
Too high levels of inequality are harmful to societies. High inequality is a menace to equity and social cohesion, and comes with high social and economic costs. However, even high levels of inequality are less problematic when market-generated economic inequality is not matched with inequalities originated by the functioning of (new) family arrangements and welfare systems. 
With our research we offer an integrated perspective systematically linking these developments to trends in social and economic inequality within and between European societies, and we consider systematically individual (micro), family (meso) and institutional (macro) mechanisms, in a dynamic perspective. This calls for complex theoretical frameworks, advanced analytical techniques and very rich data.  

Evaluating the (social) consequences of three decades of labour market deregulation, we come to a rather critical assessment, especially when deregulation is implemented “at the margins” – as done in EU - and in societies that are inflexible under many other aspects. In these cases deregulation reduced the acquisition of social rights for some social groups, thus increasing inequality and social exclusion. We find alarming trends for the young generations in southern Europe where labour market deregulation gave rise to deep dualisms between insiders and outsiders (while much less so in other countries with a more developed welfare state and less segmented labour markets), who are increasingly entrapped in precarious job carousels and therefore unable to set up their own family. Changes in the labour market, thus, clearly spill over to demographic outcomes. 
Setting up a family (having children) is a difficult task when persons are increasingly exposed to market risks: in Southern Europe, our evidences clearly show a serious (and worrying) young families’ decreasing capacity to face new social risks, even to the point that childbirth becomes a dramatic poverty triggering event. Further, there is a clear tendency of accumulation of problematic employment situations among couples, with new inequalities interacting with previous, ascriptive, determinants of social stratification (education, class of origin, income, occupational class, ethnicity) and the family thus becoming an effective risk-aggregating condition instead of a compensating institution. Obviously, when the accumulation of social risks prevails, market generated inequalities are further amplified and thus increase the overall level of social inequality – even more so in the absence of a strong welfare state. 
The positive news is that, in sharp contrast with some scenarios proposed in the literature, women’s’ inflow in the labour market is a great equalizer and helps families to avoid poverty especially where state support is scarce. Still too often, though, female employment comes at the costs of fertility decisions. As is well known family policy and labour market opportunities are important to successfully combine work and family. But also cultural aspects are relevant for fertility and employment choices of families. Understanding the mechanisms behind families’ behaviours obviously helps to target interventions and family policies. The assessment of cultural and structural aspects and their interaction will contribute to identify those policies enabling (especially Mediterranean) countries to overcome the low fertility-low female labour market participation equilibrium and fostering the dual-earner model. 
Finally, our work on economic inequality confirms the persisting and rather constant importance of the (public) welfare state for reducing inequality, yet with peculiar differences in the efficiency among countries and welfare models. Also the family (of origin and the own one) still plays a crucial role in stratifying (life-course) chances and thus generating and reducing (some) social and economic inequalities. Yet, the observed changes in the way of “doing family” did not contribute to the increased inequality observed for many advanced societies.

Details on the project outcomes, articles on sociological journals and working papers can be found here: http://www.unitn.it/famine

The project team, together with other colleagues, originated the “Center for Social Inequality Studies”: http://r.unitn.it/en/soc/csis, which, among other things, runs a monthly lunch seminar.  


FAMIGLIE DI DISEGUAGLIANZE
Le conseguenze sociali ed economiche di un diverso equilibrio lavoro-famiglia nei paesi europei

I paesi europei hanno vissuto una serie di profondi cambiamenti negli ultimi decenni che comprendono anche trasformazioni in quelle che sono le classiche istituzioni che generano diseguaglianza: sistemi di welfare, mercato del lavoro e famiglia (in questo caso a seguito delle mutate scelte lavorative delle donne). Da ciò discendono livelli più alti di diseguaglianza sociale unitamente all’emergere di “nuovi rischi sociali” e ad una complessiva maggiore esposizione della popolazione - o meglio: di parti di essa - a rischi di esclusione sociale originati dal mercato. 
Livelli di diseguaglianza eccessivamente elevati possono essere dannosi per la società. Sono infatti una minaccia all’equità e alla coesione sociale e comportano costi sociali ed economici elevati. Tuttavia, persino alti livelli di diseguaglianza sono meno problematici quando la diseguaglianza economica generata dal mercato non è combinata con diseguaglianze generate nell’ambito dei nuovi modelli di organizzazione familiare e dei sistemi di welfare. 

Con la nostra ricerca intendiamo offrire una prospettiva integrata fra economia, sociologia del lavoro e della famiglia che colleghi tali sviluppi ai trend di crescita della diseguaglianza sociale ed economica nelle, e tra, le società europee, considerando sistematicamente i meccanismi individuali (micro), familiari (meso) e istituzionali (macro) che tale trend originano, in una prospettiva processuale e dinamica. Ciò richiede quadri teorici complessi e interdisciplinari, metodologie e tecniche analitiche avanzate nonché dati longitudinali che permettano di seguire coorti diverse di individui e famiglie per lunghi periodi di tempo.

Le nostre analisi delle conseguenze sociali di tre decenni di deregolamentazione del mercato del lavoro, in Italia ed in Europa, ci consentono di dare una valutazione alquanto critica di tale processo, soprattutto quando la deregolamentazione è implementata “ai margini” e in società che sono già parecchio “rigide” sotto molti punti di vista. In questi casi, la deregolamentazione, lungi dal creare nuova occupazione aggiuntiva (un argomento quantomai attuale anche oggi) ha originato effetti occupazionali c.d. “luna di miele” (cioè destinati a estinguersi in poco tempo) mentre ha stabilmente ridotto i diritti sociali di alcuni gruppi, incrementando dunque ineguaglianza ed esclusione. Il sud Europa è risultato il ‘caso’ più problematico, dal punto di vista della creazione, istituzionalmente originata, di un modello di società “insider-outsider”, che qui esclude in particolare le giovani generazioni (un fenomeno che si riscontra molto meno in paesi con uno stato sociale più sviluppato e con mercati del lavoro meno segmentati). In questi casi infatti, i giovani si trovano intrappolati in vortici di lavori precari e disoccupazione, col risultato di trovarsi impossibilitati a compiere la transizione alla vita adulta in tempi e modi “normali”. I cambiamenti nella regolazione del mercato del lavoro hanno quindi anche dei preoccupanti risvolti demografici.

Fare famiglia e avere figli, infatti, è difficile quando si ha un’occupazione precaria e in assenza di un sistema di welfare pubblico universalistico. Per quanto riguarda il sud Europa, i nostri risultati mostrano chiaramente una seria (e preoccupante) riduzione della capacità delle giovani famiglie di affrontare nuovi rischi sociali, al punto che la stessa nascita di un figlio può condurre la famiglia al di sotto della soglia di povertà. Inoltre, vi è una chiara tendenza tra le giovani coppie ad accumulare situazioni di lavoro problematiche, laddove nuove diseguaglianze interagiscono con elementi di stratificazione sociale già esistenti (istruzione, classe sociale di origine, reddito, classe occupazionale, etnia) trasformando la famiglia in un fattore di aggregazione di rischi anziché in un’istituzione di compensazione. Chiaramente, in questi casi, le diseguaglianze generate dal mercato si amplificano aumentando di riflesso il livello generale di diseguaglianza sociale, e ciò si verifica soprattutto quando manca uno stato sociale forte e demercificante.

La buona notizia è che, in contrasto con quanto proposto dalla letteratura, l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro contribuisce a riequilibrare e ad aiutare le famiglie a evitare la povertà, soprattutto quando gli aiuti di stato sono scarsi. Troppo spesso però, l’occupazione femminile si accompagna ancora a compromessi riguardanti la maternità. Com’è noto, le politiche per le famiglie e le opportunità occupazionali offerte dal mercato del lavoro sono importanti quando si vuole bilanciare con successo lavoro e famiglia. Tuttavia, anche aspetti culturali vanno richiamati  quando si affrontano argomenti come la maternità e la conciliazione famiglia-lavoro. Capire i meccanismi che sottostanno ai comportamenti delle famiglie aiuta chiaramente a programmare meglio le politiche pubbliche a loro destinate. La valutazione degli aspetti culturali e strutturali e l’interazione fra essi, contribuirà a identificare tali politiche permettendo ai paesi (soprattutto quelli mediterranei) di superare i bassi tassi di fecondità e il ridotto livello di partecipazione femminile al mercato del lavoro, promuovendo così il modello di famiglia a doppio reddito. 

Infine, il nostro lavoro sulla diseguaglianza economica conferma l’importanza persistente e costante del welfare pubblico nel ridurre la diseguaglianza, pur con differenze peculiari tra i diversi paesi e modelli di welfare, per ciò che ne riguarda l’efficienza. La famiglia inoltre, sia di origine che propria, ha un ruolo cruciale nello stratificare nel corso di vita le opportunità e quindi nel generare e ridurre (alcune) diseguaglianze sociali ed economiche. Ciononostante, i cambiamenti osservati nel modo di “fare famiglia” non hanno contribuito alla crescente diseguaglianza osservata in molte società avanzate. Ulteriori dettagli sui risvolti della ricerca, articoli su riviste sociologiche e working paper possono essere trovati al seguente link: http://www.unitn.it/famine.

Il team del progetto ha costituito, insieme ad altri colleghi, al “Center for Social Inequality Studies” (Centro di studi delle diseguaglianze sociali): http://r.unitn.it/en/soc/csis, che, tra le altre attività, tiene un lunch seminar con cadenza mensile.