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Sbagliare da professionisti. Storie di errori e fallimenti memorabili

di Massimiano Bucchi

4 giugno 2019
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Perché si sbaglia? Come si sbaglia? Si sbaglia in modi diversi in ambiti diversi (nella scienza, nel mondo aziendale, nella comunicazione)? E che cosa hanno in comune gli errori che portano a un tragico incidente aereo, quelli che conducono al fallimento di un nuovo prodotto o di una potenziale innovazione, il rigore sbagliato che costa la sconfitta in una finale della Coppa del Mondo di calcio? Dal flop dei Google Glass a quello ciclico della videotelefonia; dal più grande abbaglio nella storia dello spettacolo al fallimento più colossale della Silicon Valley; dall’errore di comunicazione che aprì una breccia nel muro di Berlino agli errori di battitura costati milioni di dollari, Massimiano Bucchi parte da storie avvincenti e inaspettate per invitarci a riflettere sul nostro rapporto con gli errori. Perché studiare gli errori, quelli capitali, memorabili, epici o quelli più banali e quotidiani, significa parlare soprattutto del nostro modo di guardare agli errori, di comprenderli e interpretarli, di riconoscere che, in fondo, siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i nostri sbagli.

Massimiano Bucchi è professore ordinario presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale.

Introduzione. Sbagliando s’impara? (pp. 11-15)

«Ho sbagliato.» «È stato un errore.» Addirittura: «È stato il mio più grande errore». Quante volte abbiamo pronunciato o sentito pronunciare queste frasi. Quante volte, pensando a una decisione presa che riteniamo sbagliata, abbiamo desiderato di poter tornare indietro e cambiarla, o quantomeno correggerla. O di fare o dire qualcosa di diverso da ciò che abbiamo detto e fatto in un certo momento ed evitare così il fallimento di un progetto, la fine di una relazione, o una scelta che si è rivelata fonte di infelicità.

Ma che cosa hanno in comune gli errori che portano a un tragico incidente aereo, quelli che conducono al fallimento di un nuovo prodotto o di una potenziale innovazione lanciata da una grande azienda (o perfino al tracollo della stessa azienda) o il rigore sbagliato che costa la sconfitta in una finale della coppa del mondo di calcio?

 Questo libro racconta alcune storie di errori e fallimenti memorabili (tornerò nel Poscritto sulla relazione tra errori e fallimenti). La scelta di queste storie risponde a tre obiettivi principali.

Primo, riconoscere l’errore come un processo collettivo. Le organizzazioni, i media, le istituzioni giudiziarie sono spesso orientate – e per motivi comprensibili – a individuare il responsabile di un errore, il gesto o la persona che ha causato un incidente o il fallimento di un’iniziativa. Quasi sempre, tuttavia, queste ricostruzioni si trovano a fare i conti con una rete che coinvolge elementi e attori sociali diversi. Perfino un rigore decisivo sbagliato, o un intervento chirurgico fallito, nella loro apparente linearità sono spesso il terminale di situazioni, contesti, pratiche, scelte che hanno reso possibile o perfino incoraggiato l’errore.

Secondo, mettere in evidenza che parlare di errori significa fondamentalmente parlare del nostro modo di guardare agli errori. Riconoscere qualcosa come un errore, definirlo come tale, dipende sempre dal nostro punto di vista. Anche la più elementare definizione di errore, quella di un’azione con un esito che non corrisponde alle aspettative iniziali, porta sempre a chiedersi: le aspettative di chi?

Lo stesso errore o fallimento per qualcuno può essere un successo per qualcun altro. Per ogni rigore sbagliato nella finale di coppa del mondo che condanna una squadra alla sconfitta, ci sono un portiere e un’altra squadra che esultano alzando la coppa. Così, un prodotto o un’innovazione che fallisce può contribuire al successo di un prodotto o di un’innovazione concorrente. O, meno banalmente, si può valutare l’errore o l’insuccesso in modo diverso a seconda della prospettiva. Non è raro, dopo un grave incidente, ascoltare un tecnico argomentare che, malgrado l’esito infausto, il tale componente o elemento ha funzionato o resistito efficacemente. Un macabro adagio della professione medica dice: «Operazione riuscita, paziente morto». Francesco Bacone, grande teorico e apologeta della scienza moderna, morì di polmonite (così dice la leggenda, confermata da numerosi biografi) nel tentativo di condurre un pionieristico esperimento di surgelamento di un pollo. Sul letto di morte annotò: «L’esperimento è perfettamente riuscito, peccato che io stia morendo». Questa divergenza tra punti di vista può anche essere essa stessa fonte di errori e incidenti anche drammatici, come mettono in luce alcune delle storie di questo libro: ad esempio un’innovazione o una tecnologia non ancora matura può essere messa in circolazione sulla spinta di pressioni o esigenze politiche.

Lo stesso soggetto, o lo stesso osservatore, può considerare un errore in modo diverso in momenti diversi: enfatizzarlo oppure ridimensionarlo al mutare di situazioni e contesti. Ricordo una conversazione con uno studente norvegese molti anni fa, a un convegno in California. Io consideravo un errore, da parte mia, aver intrapreso un viaggio così lungo, estenuante e costoso, per i pochi giorni della conferenza. Lui, all’opposto,  aveva approfittato dell’occasione per un soggiorno in California, ma così facendo era incappato in altri inconvenienti che considerava errori: pianificazione approssimativa delle tappe e dei soggiorni, sottovalutazione delle spese. «Uno dei più grandi errori di quest’autunno» concluse con un tono di rassegnazione. E ancora oggi non so se mi colpì di più questa sorta di accettazione del fatto che gli errori arrivano (e passano) come le stagioni o il fatto che se ne potesse fare una specie di classifica.

Più in generale, il nostro modo di guardare agli errori, di riconoscerli e dar loro un senso, oscilla spesso tra due estremi.

Uno è tutto negativo: l’errore è un’uscita di strada, una deviazione dagli obiettivi che avevamo in mente, che ha portato il nostro progetto al fallimento.

L’altro è più positivo. L’errore è un momento di passaggio, un’interruzione transitoria, una caduta da cui ci rialzeremo più forti ed entusiasti di prima. «Sbagliando s’impara» recita un altro proverbio. Oggi molti tra i protagonisti e i cosiddetti guru dell’economia digitale, nei loro interventi pubblici, invitano ad affrontare errori e fallimenti con coraggio, come una sorta di prova del fuoco che permette di riconoscere il vero innovatore in colui che non ha paura di sbagliare. Addirittura, l’errore sarebbe uno dei marchi più autentici dell’innovazione. «Se funziona, è obsoleto» diceva il teorico dei media Marshall McLuhan. Le nuove tecnologie sarebbero così, per definizione, lacunose e instabili; allorché funzionano perfettamente, sono già vecchie.

Questo libro, ed è il terzo obiettivo, cerca di mettere in discussione entrambe queste mitologie dell’errore. Mitologie che vanno prese in considerazione soprattutto come rivelatrici di un profondo disagio della nostra società nel considerare l’errore, quasi che si trattasse di una sorta di tabù da rimuovere o quantomeno «addomesticare», nascondere oppure trasformare in qualcos’altro come il piombo che gli alchimisti sognavano di trasmutare in oro.

Si può, invece, riconoscere e accettare l’errore per quello che è – un errore, appunto – e non come qualcosa che ostacola o prelude a qualcos’altro?

Questi e altri temi generali saranno ripresi nel poscritto. Il lettore interessato ad approfondirli, o a saperne di più su singole storie di errori e fallimenti, troverà, oltre a quelli citati nel testo, alcuni riferimenti in coda al volume.

Per gentile concessione della casa editrice Rizzoli