Copertina del libro

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Gocce distillate di product design

di Stefano Rossi

17 giugno 2019
Versione stampabile

La parola design nelle sue declinazioni è sulla bocca di tutti. Oggetto di design, hotel di design, cake design, interaction design, designer famosi … oggi un prodotto sfonda sul mercato non tanto per le sue caratteristiche funzionali ma per quelle percettive.

Tutti pensano di sapere cosa sia il design o, almeno, si sono fatti un’idea propria del design, normalmente errata o parziale. Tutti si sentono designer.Questo libro si propone il difficile compito di provare a fare un po’ di chiarezza nel mondo sfaccettato del design cercando d’illustrare brevemente i concetti più importanti relativi al prodotto industriale.

Quanto sia importante il design per sfondare sul mercato, per mantenere concorrenziale un prodotto sul mercato, cosa vuol dire creatività nella progettazione di un prodotto, vedere che si può innovare senza fare grandi investimenti ma … cambiando modo di pensare.
È un libro che non vuole essere un trattato completo sul design, ma che cerca di stimolare il pensiero laterale e la riflessione.

Stefano Rossi è professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Trento.

Dal Capitolo 1: Che cos’è il product design (pag.13-17)
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Dominique Imbert (il più famoso progettista di stufe e caminetti) in un’intervista afferma che non studiò mai né design né architettura, non frequentò mai un corso di disegno. Si chiede se per una persona fosse meglio non andare mai a scuola ma apprendere e scoprire tutto per conto proprio mediante l’esperienza, il provare ed il riprovare. Continua confessando che non capisce molto bene cosa sia il design e che non sa cosa realmente faccia...
Partiamo subito con un piede sbagliato. Questo percorso può andare bene a due o tre persone – geni, toccati dalla sorte, fortunati – ma non per le persone comuni. Questo non è design. Il design si deve studiare, si devono imparare le tecniche di progettazione, i metodi per sviluppare la creatività, si devono padroneggiare i materiali ed i processi, si deve conoscere come dovrebbe essere gestita una progettazione di un nuovo prodotto. Molto didattica la pubblicità della Franke (azienda produttrice di cucine) apparsa qualche anno fa sul Corriere della Sera dove con una grande D di design si dava questa definizione: “Il design si ispira a forme semplici piene di contenuto e capaci di infondere emozioni, piacere e bellezza, trasforma lo spazio modellandolo attraverso un preciso codice di comunicazione”. Ecco, questa è la sintesi e la vera definizione del (product) design. Potremmo quindi terminare già il libro e lasciare al lettore l’interpretazione.
Bellissime le affermazioni di Alberto Alessi allegate alle Miniature (riproduzioni in scala di alcuni prodotti iconici di Alessi, alcuni ripresi nella figura di copertina di questo volume). Sicuramente importante è il “valore funzionale”, o “valore d’uso”, che dovrebbe essere il motivo dell’esistenza dell’oggetto. Tuttavia nella nostra società altri valori sono altrettanto importanti al valore d’uso quando ci chiediamo il perché dei prodotti che ci circondano.
Al possesso di un oggetto attribuiamo un significato sociale, un metodo per comunicare il proprio modo di essere e di pensare alla vita, la nostra condizione economica, la nostra cultura. Quindi con gli oggetti noi comunichiamo agli altri “l’immagine di noi”.
Esistono altre motivazioni più auliche nel possesso di un oggetto. Sempre Alberto Alessi parla di valore poetico, che permette di soddisfare un desiderio nascosto d’arte e poesia. Possiamo aggiungere un valore “emotivo”, ovvero il possedere quel prodotto ci fa sentire bene creando una certa empatia con l’oggetto.
A molti, che si sentono puri e che sostengono di guardare solo la funzionalità e le qualità di un prodotto, questa affermazione sembrerà assurda.
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Torniamo quindi alla nostra domanda: Cos’è il product design?
È un termine generico che indica la creazione di un oggetto a partire da idee espresse con disegni, schizzi, prototipi o modelli attraverso un processo che si estende fino alla produzione, alla logistica e alla commercializzazione dell’oggetto stesso.
La progettazione dei prodotti dovrebbe quindi tenere conto della valutazione sia del designer che del cliente, o utente finale.
Quindi il design, la progettazione di un prodotto industriale, non è di una classe di professionisti, come potrebbe sembrare, limitato ai designer (coloro che hanno fatto studi di design) o architetti (molti dei progettisti quando non erano ancora sorti i corsi di design) ma anche di altri professionisti, quali gli ingegneri.
Possiamo citare famosissimi esempi quali Gino Sarfatti, che può essere considerato il padre del moderno lighting design, o Giulio Castelli, fondatore della famosissima Kartell, o ancora Lamberto Angelini, creatore di molte valigie Roncato, o infine Ernesto Gismondi, ingegnere aerospaziale, fondatore di Artemide e Compasso d’Oro alla carriera 2018. Vedremo in seguito chi e come dovrebbe partecipare alla creazione di un nuovo prodotto.
Avremo quindi il technical design che comprende tutti gli aspetti che incidono sul funzionamento tecnico del prodotto e l’industrial design (parola che può indurre in inganno molte persone) relativo agli aspetti che attengono al grado di soddisfazione del prodotto. Facendo una sintesi del technical design con l’industrial design, per creare prodotti di successo, parleremo di product design (o design di prodotto).
Per creare un prodotto di successo e innovativo, il primo punto fondamentale è rompere gli schemi, rompere il paradigma, pensare in modo diverso. Un facile esempio è provare ad unire nove punti, disposti in tre file di tre, tracciando solo quattro segmenti senza mai staccare la penna dal foglio. Percependo la forma geometrica di un quadrato e, quindi, considerando l’inizio e la fine dei segmenti nei punti riuscirà impossibile completare il compito. Molti rinunceranno. Ma poi vedendo la soluzione, che consiste nell’uscire dal quadrato percettivo individuato dal confine costituito dai punti, sembrerà una cosa ovvia. Quindi per essere creativi si dovrà rompere il vincolo cognitivo che ci focalizza sul quadrato e impedisce di andare fuori dai bordi.

Per gentile concessione della casa editrice Fausto Lupetti.