Immagine tratta dalla copertina del libro

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ROSMINI E L'ECONOMIA

a cura di Francesco Ghia e Paolo Marangon

5 ottobre 2015
Versione stampabile

Un certo stupore accompagna spesso la scoperta o, più precisamente, la periodica riscoperta che Antonio Rosmini non fu solo un eminente filosofo nei campi della metafisica e dell’etica, del diritto e della politica, dell’antropologia e della pedagogia, ma anche uno statistico e un economista. Eppure le fonti non lasciano dubbi e in questo volume un ricco ventaglio di contributi, presentati nell’ambito di un convegno internazionale promosso dal Centro di Studi e Ricerche "Antonio Rosmini" dell’Università di Trento, lo dimostra con inequivocabile chiarezza.
La prima parte è volta a ricostruire in senso genetico la ‘biografia dell’opera economica’ di Rosmini, mentre la seconda riguarda l’intrecciarsi dei temi economici con altri più direttamente connessi con il nucleo della speculazione del Roveretano. Chiudono il libro alcuni significativi confronti: con il patrimonialismo di von Haller, il socialismo di Saint-Simon, il comunismo di Marx e il liberismo di von Hayek.

Francesco Ghia è ricercatore presso il Centro di Studi e Ricerche "Antonio Rosmini" dell’Università di Trento, dove insegna filosofia politica ed etica sociale. Tra i numerosi studi ha curato con Michele Dossi il volume "Diritto e diritti nelle <<tre società>> di Rosmini" (Brescia 2014) e con Michele Nicoletti l'edizione critica della "Filosofia del diritto di Antonio Rosmini" (Roma 2013-2015).

Paolo Marangon è docente di Storia dell'educazione e della pedagogia presso l'Università di Trento e vice-direttore del Centro di Studi e Ricerche "Antonio Rosmini". Ha pubblicato parecchi saggi su Rosmini, tra i quali si segnalano la monografia "Il Risorgimento della Chiesa. Genesi e ricezione delle <<Cinque piaghe>> di A. Rosmini" (Roma 2000) e l'antologia "Rosmini. Scritti sull'educazione" (Brescia 2011).

Introduzione

Un certo stupore accompagna spesso la scoperta o, più precisamente, la periodica riscoperta che Antonio Rosmini non fu solo un eminente filosofo nei campi della metafisica e dell’etica, del diritto e della politica, dell’antropologia e della pedagogia, ma anche uno statistico e un economista. Eppure le fonti non lasciano dubbi: una parte consistente del secondo volume degli Opuscoli filosofici, pubblicati a Milano nel 1828, si occupa direttamente o indirettamente di statistica e di economia, soprattutto in polemica con Melchiorre Gioia, ma anche con un saggio specifico Sulla definizione di ricchezza. Trent’anni dopo, non lontano dalla morte dell’illustre Roveretano (1855), la sua Filosofia della politica, apparsa in prima edizione sempre a Milano nel 1839, viene riedita «accresciuta di quattro saggi», dove è evidente l’intento dell’editore di richiamare l’attenzione sull’appendice come complemento indispensabile alla comprensione dell’opera principale. Ma riferimenti più o meno ampi a tematiche economiche si trovano in parecchie altre opere di Rosmini, come si potrà notare nei diversi contributi raccolti in questo volume.
A onor del vero questi scritti ‘minori’ del pensatore di Rovereto non passano inosservati né durante la sua vita né dopo la sua morte. Il caso più clamoroso riguarda il magistrale trattato Della Economia Pubblica e delle sue attinenze colla Morale e col Diritto: libri cinque, pubblicato da Marco Minghetti nel 1859 e divenuto ben presto un punto di riferimento obbligato per la comprensione della politica economica della Destra storica negli anni decisivi del consolidamento del Regno d’Italia: in esso il tema rosminiano della proprietà viene ampiamente ripreso nei suoi fondamenti filosofici, ma non mancano rinvii ai saggi più strettamente economici. Nel medesimo periodo anche un cattolico della generazione successiva, Fedele Lampertico, economista e giovane deputato al Parlamento nazionale, futuro maestro del cosiddetto ‘socialismo della cattedra’, elogia il Saggio sulla statistica di Rosmini, che «egregiamente dimostra quanto mutabile sia il concetto preponderante negli Stati, cosicché giudica una necessità di staccarne quanto più si può la scienza statistica se si vuol darvi una base salda e un aspetto certo».
Ma un’eco dei saggi economici rosminiani risuona fino ai primi anni del Novecento per opera di Giuseppe Toniolo, che nell’Introduzione al suo monumentale Trattato di economia sociale, a proposito del rapporto tra beni materiali e bene morale nel cristianesimo, a un certo punto conclude: «Era sciolto finalmente l’enigma di tutta l’antichità intorno alla funzione della ricchezza: la civiltà rimaneva essenzialmente spirituale, ma la prosperità economica figlia dell’operosità meritoria diveniva doverosa e nobile, in quanto a quella conduce (Rosmini)».
Se la fortuna degli scritti economici e statistici del Roveretano nella seconda metà dell’Ottocento appare non trascurabile, si deve a Emilio Morpurgo e ad Augusto Graziani la prima ‘scoperta’ del loro valore propriamente scientifico. Il primo, giurista e prestigioso docente di statistica all’Università di Padova, anch’egli più volte deputato, scrive nel 1881 un saggio su Antonio Rosmini Serbati e i suoi concetti sull’ufficio scientifico della Statistica, nel quale definisce il pensatore di Rovereto «maestro di siffatti studii, e maestro così sicuro del proprio concetto da non aver bisogno di seguire le orme di alcun altro». Gli fa eco pochi anni dopo Augusto Graziani, illustre docente di economia politica all’Università di Napoli e socio dell’Accademia dei Lincei, che in una breve, ma densa lettura al Regio Istituto Lombardo mette a confronto le idee economiche del Rosmini e del Manzoni, osservando che «soprattutto il primo sa apprezzare a dovere il carattere e il metodo della scienza», lamentando poi il suo oblio tra gli studiosi di economia e concludendo che il Roveretano «merita di essere ricordato nella storia della scienza economica, benché non l’abbia coltivata di proposito, e per l’acutezza delle indagini e pel rigore del metodo». Tuttavia la trattazione relativamente più completa dell’economia in Rosmini, all’indomani della prima ‘scoperta’, è opera di un valente studioso rosminiano, Giovanni Battista Zoppi, che nel 1897 contribuisce alla miscellanea commemorativa del centenario della nascita di Rosmini con un saggio intitolato, appunto, Antonio Rosmini e l’economia politica.
Si tratta del primo abbozzo di una economica rosminiana, elaborato da uno studioso non specialista in dottrine economiche, per quanto non incompetente in materia: certamente non un Morpurgo o un Graziani, circostanza degna di nota, perché segnala la scomparsa di Rosmini dall’orizzonte degli studiosi di economia proprio nel momento in cui si inizia ad approfondirne il pensiero economico. Si osservi, inoltre, che questo avviene prima dell’affermarsi del neoidealismo italiano e in particolare prima della pubblicazione della monografia di Giovanni Gentile su Rosmini e Gioberti, che segna un tornante storico negli studi rosminiani.
Da quel momento, il confronto con la tesi vigorosamente sostenuta da Gentiledi Rosmini quale Kant italiano catalizza gran parte dell’attenzione degli studiosi del pensatore di Rovereto, già impegnati per altro verso sul versante cattolico a difendere il suo sistema dalla condanna del decreto del Sant’Uffizio Post obitum (1887), che sulla scia del dominante neotomismo dichiarava quaranta proposizioni, tratte dalle opere filosofiche e teologiche postume, «haud consonae catholicae veritati». Sul finire del secolo il baricentro degli studi su Rosmini si sposta dunque sul piano gnoseologico, metafisico e teologico – a scapito degli aspetti politici ed economici del pensiero del Roveretano – e qui rimane praticamente fino alla seconda guerra mondiale, nonostante qualche eccezione rappresentata nella seconda metà degli anni Trenta dai primi studi di Gioele Solari e Guido Gonella, seguiti poi da quelli di Giuseppe Capograssi e Luigi Bulferetti, rivolti però alle tematiche giuridica e politica più che a quella economica. Tuttavia, pur all’interno di questa cornice prevalente, alcuni aspetti del pensiero economico rosminiano, in particolare della disamina della polemica con Gioia, vengono approfonditi in  modo originale, al di là della scontata confutazione del sensismo dell’economista piacentino, soprattutto in due opere di Gioele Solari e di Luigi Bulferetti, apparse entrambe nel 1942. È nel solco di questo filone di studi che nel secondo dopoguerra un brillante allievo di Giuseppe Capograssi, Pietro Piovani, dà alle stampe un’opera destinata a diventare un classico della letteratura critica rosminiana: La teodicea sociale di Rosmini. Dal punto di vista qui privilegiato lo studio di Piovani è importante perché contiene nel secondo, ampio capitolo un nuovo «abbozzo» dell’economica del pensatore di Rovereto, «abbozzo» innovativo non solo per la molteplicità delle piste di ricerca che vi sono indicate, ma soprattutto per l’originale prospettiva e il vigore teoretico della trattazione. La prospettiva risente infatti della polemica che, tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, mette a confronto Bulferetti e Piovani sul presunto ‘socialismo cristiano’ di Rosmini, ma contestualmente dipende dall’impostazione che Piovani stesso dà al suo studio: «Comunque sia – sostiene all’inizio del capitolo sull’economica – qualunque siano i rapporti di vicinato fra teodicea ed economia […], è innegabile l’esistenza di un tema fondamentale comune all’una e all’altra: la distribuzione dei beni e dei mali temporali, se non di tutti, almeno dei beni e dei mali tipicamente sociali, specialmente di quelli più rappresentativi, che riguardano l’abbondanza di beni o di mali socialmente valutabili e più manifesti, cioè, in ultima analisi, soprattutto la ricchezza e la povertà degli individui nella società». Tuttavia anche questo secondo «abbozzo», dopo quello di Zoppi, non trova ricezione e sviluppo adeguati negli studi rosminiani successivi, che anzi sono sempre più coinvolti nella virata spiritualista impressa nel medesimo periodo da Michele Federico Sciacca all’interpretazione del pensiero di Rosmini. Bisogna attendere oltre mezzo secolo e un contesto storicoculturale profondamente cambiato, nel quale la tecnoeconomia ha assunto una sorta di centralità della vita sociale e politica, perché dall’«abbozzo» si compia il salto di qualità verso una trattazione compiuta. Un parziale contributo si deve, in chiave comparativa, a Salvatore Muscolino, ma al termine di una lunga ricerca è Carlos Hoevel a pubblicare nel 2013 la prima monografia vera e propria sull’economica del pensatore di Rovereto. Nel frattempo anche il Centro di Studi e Ricerche ‘Antonio Rosmini’ dell’Università di Trento si muove nella medesima direzione e organizza nel 2012 a Rovereto un convegno internazionale su ‘Rosmini e l’economia’, al quale partecipano sia Hoevel che Muscolino insieme ad altri studiosi e di cui si pubblicano qui gli atti.