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Storie

IL TEATRO CHE NARRA LA SCIENZA

La collaborazione tra Jet Propulsion Theatre e il Dipartimento di Fisica dell’Ateneo. Ce ne parla Stefano Oss

4 novembre 2015
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Cristiano Zanetti
di Cristiano Zanetti
Lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

È possibile narrare la scienza attraverso il teatro? “Jet Propulsion Theatre – The Human side of Science” (JPT) è un progetto - attivo oramai da tre anni con diverse performance pubbliche di successo - che risponde a questo interrogativo. Intrattenimento, conoscenza scientifica, comunicazione efficace: queste le tre dimensioni fondamentali del progetto. Per approfondire abbiamo intervistato il professor Stefano Oss, referente scientifico di JPT e responsabile del Laboratorio di Comunicazione delle Scienze Fisiche del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Trento.

Professor Oss, come è nata l’idea di JPT? Com’è coinvolto il nostro Ateneo?

L’idea l’ha avuta Andrea Brunello: fisico di mestiere per molti anni in vari laboratori di fisica teorica, Trento incluso, che si è dedicato prima a tempo parziale, poi professionalmente al teatro, non solo scientifico, specializzandosi in drammaturgia negli Stati Uniti e in Russia. La collaborazione è nata da un interesse condiviso con Andrea, che conosco da anni, verso la comunicazione della scienza. JPT (Jet Propulsion Theatre) è una sigla che gioca con il più famoso JPL (Jet Propulsion Laboratory) di Pasadena, associato al California Institute of Technology che svolge importanti missioni per la NASA. Il Dipartimento di Fisica, e in particolare Laboratorio di Comunicazione delle Scienze Fisiche, sono coinvolti nel progetto attraverso una convenzione ufficiale di collaborazione fra l’Ateneo e JPT. Inoltre lo stesso Andrea Brunello è affiliato al nostro Dipartimento.

Quale è secondo lei la novità fondamentale dell’idea?

Il teatro scientifico non è di per sé una novità assoluta. Basti pensare a “I Fisici” di Durrenmatt e a “Copenaghen” di Frayn, opere di eccezionale spessore non solo drammatico ma anche scientifico. La novità del nostro Jet Propulsion Theatre è quella di aver attivato un vero e proprio laboratorio di idee compartecipato fra una scuola di teatro (Arditodesìo di Trento, diretta da Brunello) e un gruppo di ricerca in ambito delle scienze fisiche, quello da me coordinato . Nelle produzioni di questo laboratorio vi è massima attenzione ai contenuti scientifici e tecnologici, perché con questi eventi si vuole certamente emozionare il pubblico ma anche arricchirlo di idee e conoscenze correttamente esposte. Il motore principale di questa nostra avventura è un fisico-attore e non un attore informato dei fatti, come di solito accade. Io stesso mi sono rimesso in gioco in vari momenti di discussione delle trame degli spettacoli cercando di rileggere i contenuti disciplinari in una differente ottica, quella appunto della creazione e della trasmissione di sensazioni ed emozioni. La scienza, infatti, è anzitutto emozione e non solamente dati, equazioni, misure, teorie, leggi, modelli, esperimenti. Uno scienziato che non si emoziona a scoprire fatti nuovi e a interpretare quello che offre madre natura non è uno scienziato.

In passato talvolta i finali sono stati risolti tramite un “deus ex-machina” ma raccontare oggi di scienza richiede altre competenze narrative. Come intendete portare con JPT il concetto di “teatroscienza” ad un livello superiore?

Il deus ex-machina non fa parte della visione laica della scienza e, nonostante derive e resistenze anacronistiche e oscurantiste, questo è un aspetto che ci preme tenere sempre presente nelle nostre produzioni. Le competenze narrative e l’impostazione che Brunello dà ai suoi lavori sono di registro molto sofisticato. L’idea vincente è quella di lasciar trasparire nei dialoghi e nella storia che “il dietro le quinte” è comunque scienza. Questo non vuol dire appiattire o intristire le vicende umane, tutt’altro. Le scienze sono sempre più ispiratrici di soluzioni e di lettura del mondo che vanno ben oltre meccanicismi deterministici e interpretazioni “banali” di ciò che accade. Per ottenere effetto drammatico e sognante non occorre inventarsi nulla: basta aprire e (saper) leggere un testo (serio e rigoroso) di fisica e modulare i contenuti scientifici con l’introspezione, i ritmi del quotidiano, le aspettative semplici di ognuno di noi per conquistare “modi di essere”. La scienza permette anche questo tipo di arricchimento.

A titolo di esempio, ci può descrivere una delle produzioni finora realizzate da JPT?

Sono tre le produzioni realizzate in collaborazione: “Il Principio dell’Incertezza”, “Pallido punto blu” e “Torno indietro e uccido il nonno”. Quest’ultimo citato affronta un tema controverso, il tempo, che spesso banalizziamo come “ciò che misura il mio orologio” mentre resta in realtà un grande mistero. Scuole moderne di pensiero lo vorrebbero addirittura togliere dal panorama speculativo delle scienze fisiche; è stato al centro dell’attenzione della fisica moderna a partire da Galilei, che lo ha elevato a parametro assoluto nella descrizione dello scorrere degli eventi. La cosa si è complicata a partire dalla scoperta a opera di Maxwell delle leggi dell’elettromagnetismo, che prevedevano l’esistenza della luce in termini di onde elettromagnetiche viaggianti ma che si rifiutavano di accettare, con il loro comportamento, l’idea di un tempo “assoluto”. Il tempo è relativo, ovvero dipende dal punto di vista, dall’osservatore che ne acquisisce il ticchettio. Ma quello che lascia aperto un gioco (il)logico e affascinante è l’immaginare di poter viaggiare nel tempo, così come si viaggia nello spazio: e perché no, visto che Einstein riesce a porre queste due dimensioni (tempo e spazio) su un unico piano di “coordinate” interscambiabili secondo regole precise. Ecco allora che nascono e vivono paradossi più o meno famosi: cosa accadrebbe se viaggiando nel passato uccidessi un mio avo, una persona che direttamente o indirettamente mi avrebbe generato nel futuro? Brunello, in questo spettacolo, costruisce un quasi-monologo fra nonno e nipote con età biologiche invertite: l’occasione di porsi domande sulla fisicità (che è una cosa) e la percezione (che è un’altra cosa) del tempo è ricca e foriera di risposte e di nuove domande.