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Coronavirus: contenere l’epidemia senza allarmismi

Il progetto del CIBIO per un vaccino. Intervista al virologo Massimo Pizzato

28 febbraio 2020
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di Marinella Daidone
Lavora all’Ufficio Web, social media e produzione video dell’Università di Trento.

Il Coronavirus è l’argomento del giorno. Le misure per contrastare l’epidemia stanno condizionando pesantemente le nostre vite e l’economia del Paese. Ma è davvero così pericoloso?

Ne abbiamo parlato con il virologo Massimo Pizzato, responsabile del Laboratory of Virus-Cell Interaction del Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata (CIBIO) dell’Università di Trento. Tra gli studi portati avanti dal professor Pizzato, insieme al suo gruppo di ricerca, c’è la scoperta di una proteina cellulare (SERINC5) coinvolta nell'inibizione del virus HIV, il virus responsabile dell’AIDS.

Massimo Pizzato Professor Pizzato, cosa sappiamo a oggi del Coronavirus?

Sappiamo che è un virus che originariamente proviene dal pipistrello, anche se non è stato ancora accertato se ci sia effettivamente un secondo animale che ha fatto da tramite. Sappiamo che è un virus dalla capacità di diffusione simile a quello dell’influenza stagionale, e quindi che si può diffondere molto velocemente. Al contrario di un virus influenzale stagionale, SARS-CoV-2 può creare delle complicazioni, seppure con una percentuale bassa di persone infettate; complicazioni che possono portare anche al ricovero in rianimazione del paziente e, nel caso peggiore, a una polmonite che può essere fatale per le persone anziane o con patologie preesistenti.

Sappiamo però che la letalità del virus è bassa. Queste sono sicuramente le cose che si sanno e fra l’altro non si riesce nemmeno a stimare con precisione la mortalità, in mancanza di un quadro completo dei casi di infezione. Non si sa effettivamente quante persone sono asintomatiche o quante hanno sintomi che si possono confondere con quelli di altri virus che provocano infezioni dell’apparato respiratorio. Ritengo che la stima fatta in questi giorni di una mortalità del 2,5 % sia una stima per eccesso, più che per difetto.

Perché un virus ‘nuovo’ fa più paura?

Ogni volta che un virus fa il cosiddetto ‘salto di specie’, quindi entra nella popolazione umana per la prima volta a partire da un animale, non sappiamo mai cosa aspettarci. Ed è la storia passata dell’umanità che ci insegna questo. L’abbiamo visto con diverse pandemie d’influenza, più o meno gravi, con la pandemia di HIV (originato da un virus della scimmia), con altri Coronavirus come quelli che hanno causato Sars e Mers, e lo vediamo quando ci sono dei focolai di Ebola (anche il virus Ebola sembra originare da un pipistrello). Questo perché quando un virus colonizza un nuovo ospite si trova in una situazione nuova, in cui il sistema immunitario dell’ospite deve confrontarsi con una cosa mai vista prima. Se questo molto spesso risulta nel controllo dell’agente infettivo da parte dell’ospite, qualche volta − soprattutto nelle fasi iniziali di un’epidemia − causa infezioni che possono essere gravi.

La storia delle epidemie passate ci insegna che con il tempo il virus, nel diffondersi da una persona all’altra, tende a perdere letalità e a entrare più in equilibrio con l’ospite. Quindi mi aspetterei che anche SARS-CoV-2 , se dovesse restare in forma endemica, possa attenuare la sua virulenza.

Un altro motivo per cui un virus nuovo ci fa paura è che ci serve tempo per studiarlo e per sviluppare un vaccino o un farmaco. Da sottolineare che questo virus è solo relativamente nuovo, visto che è già la terza volta, in anni recenti, che un Coronavirus passa dall’animale all’essere umano.

Avremmo avuto l’opportunità di arrivare oggi più preparati, se avessimo avuto la visione e l’accortezza di supportare gli studi su questi virus. La Sars è sparita nel 2004 ed era un Coronavirus molto simile a questo; se da allora avessimo cercato un farmaco efficace contro il virus della Sars probabilmente sarebbe stato efficace anche contro SARS-CoV-2.

Scuole e università chiuse, eventi annullati, partite rinviate. Ma queste misure sono appropriate? E qual è lo scopo per cui sono state prese?

Le misure messe in atto dalle istituzioni sono assolutamente giustificate proprio perché abbiamo a che fare con un virus nuovo che non conosciamo del tutto. Lo scopo è, da un lato, di difendere da questa infezione la fascia della popolazione più a rischio, dall’altro è quello di limitarne la diffusione, o comunque di guadagnare tempo, perché sappiamo che questo virus provoca l’ospedalizzazione di una percentuale che può arrivare fino al 5% dei contagiati. Considerato che tutta la popolazione è suscettibile a questa infezione, il sistema sanitario si troverebbe in grossissima difficoltà nel fornire l’assistenza necessaria. Si tratta di un agente infettivo e non tutte le strutture ospedaliere sono in grado di assicurare a un numero così elevato di pazienti le cure in un ambiente di isolamento e, in alcuni casi, il ricovero in rianimazione.

Queste misure sono principalmente un modo di collaborare insieme per rendere più gestibile l’assistenza a chi ne ha bisogno. Non avendo a disposizione né farmaci né vaccini, l’unica opzione è cercare di arginare il più possibile il diffondersi del virus.

L’allarme sociale che stiamo vivendo, con conseguenti risvolti umani ed economici, è giustificato?

No, questo allarme sociale non è giustificato, però è comprensibile, visti i messaggi che arrivano da molti organi d’informazione e il sensazionalismo con il quale le notizie vengono divulgate su media e social.

In parte è colpa anche degli scienziati che a volte mandano segnali contraddittori: abbiamo assistito a dichiarazioni di persone del campo che dicono “Questa è solo un’influenza”, subito smentite da altri esperti. Chi dice che si tratta di un’influenza probabilmente lo fa per ridimensionare quest’allarme sociale, ma noi sappiamo che non è proprio “come un’influenza”.

Per arginare l’infezione non abbiamo altro modo che imporre queste misure, che vengono percepite come segnali che si tratta di qualcosa di veramente pericoloso. Il problema viene enfatizzato e si crea il panico.

Una corretta informazione è importantissima: questo non è un virus così letale da fare così tanta paura, questi provvedimenti non vengono presi perché altrimenti morirebbero masse di persone, ma perché il sistema sia in grado di assistere chi ne ha bisogno e per tutelare le fasce a rischio.

Al CIBIO pensate di studiare in modo specifico il Coronavirus ed eventuali terapie di contrasto?

Sì proprio in questi giorni stiamo facendo partire alcuni progetti che vanno in questa direzione.

Stiamo elaborando una strategia per trovare un vaccino in tempi brevi. Il progetto coinvolge gruppi di ricerca di due laboratori del CIBIO: Virus-Cell Interaction Lab, che io coordino, e il laboratorio Synthetic and Structural Vaccinology Lab, coordinato dal professor Guido Grandi. Il progetto si avvale di una piattaforma innovativa che è attualmente studiata per altre malattie infettive e per il cancro e che stiamo adattando per il Coronavirus. Il mio laboratorio ha le infrastrutture per manipolare questo virus e stiamo creando un sistema surrogato (ossia non pericoloso) per studiare le prime fasi di infezione del virus. Intendiamo testare l’efficacia di un possibile vaccino e trovare una piccola molecola che possa inibire la replicazione del virus. Al CIBIO abbiamo una facility - la High Throughput Screening (HTS) -che ci permette di saggiare velocemente l’effetto di decine di miglia di molecole per individuare candidati attivi contro il virus.

C’è molto che la ricerca può fare e siamo fiduciosi.