L'ambasciatore Lamberto Zannier. Si ringrazia OSCE per la foto.

Internazionale

Le minoranze in Europa

Intervista a Lamberto Zannier, Alto Commissario OSCE. La collaborazione con la Scuola di Studi internazionali

20 maggio 2020
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di Marinella Daidone
Lavora presso l'Ufficio Web, social media e produzione video dell'Università di Trento.

La Scuola di Studi internazionali dell’Ateneo ha attivato una prestigiosa collaborazione con l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) che sarà operativa a partire del prossimo anno accademico. Tra le iniziative concordate ci sarà il corso Conflict, human rights and natural resources, rivolto a studenti e studentesse di laurea magistrale, che verrà tenuto dall’ambasciatore Lamberto Zannier. Un’anticipazione di questi temi è stata al centro della Euregio guest lecture "Inclusive policies as a means to prevent crises and conflicts: current trends and challenges in Europe", tenuta dall’ambasciatore Zannier, promossa dall’Ateneo trentino e dalle università di Innsbruck e Bolzano.

Lamberto Zannier è Alto Commissario OSCE sulle Minoranze nazionali (ACMN) ed è stato segretario generale dell’OSCE per due mandati. Tra i suoi molti incarichi ricordiamo quello di rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite in Kosovo.

Ambasciatore Zannier, ci può accennare brevemente qual è la funzione dell’Alto Commissario OSCE sulle Minoranze nazionali? Ci sono situazioni di particolare criticità in questo momento in Europa?

La funzione dell’Alto Commissario sulle Minoranze nazionali è uno strumento di prevenzione dei conflitti che possono sorgere in relazione a relazioni interetniche. Nel corso di molti anni dedicati alla prevenzione e risoluzione di crisi e conflitti, ho constatato come essi siano sempre meno interstatali, ma scaturiscano in misura sempre più significativa da fratture e disuguaglianze all’interno delle società, amplificate da fattori esterni e dalla geopolitica. Ecco perché la gestione delle diversità all’interno delle nostre società, che sono sempre meno omogenee, è estremamente importante.

Il mio lavoro quindi segue due canali distinti ma interconnessi: c’è l’azione di early warning ed early action, nel caso in cui le tensioni interetniche abbiano già raggiunto un livello di rischio abbastanza alto. In quel caso mi avvalgo di tutti gli strumenti della diplomazia a porte chiuse per facilitare il dialogo tra le parti interessate. Non vorrei però arrivare a questo punto. La vera prevenzione dei conflitti si fa a monte, con l’attuazione di politiche inclusive che promuovano l’integrazione sociale.

Per quanto riguarda situazioni di criticità, continuo a prestare attenzione ai Balcani. L’Ucraina è senz’altro un altro focolaio di crisi. In particolar modo lì la questione riguarda le comunità russofone, spesso sostenute, e a volte anche strumentalizzate, dalla Russia. I paesi baltici si trovano ad affrontare problemi simili. Ma sto cercando anche di guardare oltre. La società occidentale non è immune a sfide che riguardano la gestione della diversità. 

L’emergenza coronavirus in che modo va a impattare su situazioni già problematiche?

L’emergenza coronavirus ha accentuato, o rischia di accentuare, fratture e inuguaglianze. In una fase in cui occorrerebbe intervenire per mettere a punto strategie globali e coordinate per affrontare una crisi che trascende le frontiere, assistiamo invece a una ulteriore nazionalizzazione delle risposte. Non mancano i segnali preoccupanti. Abbiamo assistito a spiacevoli casi di mancata solidarietà, alla chiusura delle frontiere e all’introduzione di misure che in alcuni casi vedono l’attribuzione di poteri straordinari a Governi, non garantiscono sufficiente trasparenza dell’informazione o impongono eccessive limitazioni alle libertà di associazione.

Non tutti hanno accesso a servizi di base; e in alcuni casi informazioni vitali per prevenire il virus non sono disponibili in lingue che le minoranze comprendono. A volte, con la transizione dell’istruzione in modalità online, i bisogni dei giovani che appartengono ad altri gruppi etnici e linguistici sono ignorati. C’è poi la questione dello stigma e della discriminazione, che colpisce persone di determinate etnie, accusate di portare o diffondere il virus. Il web è un veicolo pericoloso in questo senso. Comunità come quelle Rom, che già hanno accesso limitato a servizi di base e soffrono di discriminazione, sono state colpite duramente.

La grande preoccupazione è l’impatto economico: le persone appartenenti a minoranze spesso lavorano da precari nell’economia informale e abitano in zone di frontiera, colpite duramente dalla chiusura dei confini. Temo che questa crisi economica di cui, con ogni probabilità stiamo vedendo solo l’inizio, possa alimentare ulteriormente inuguaglianze, con il potenziale di accrescere anche divisioni, crisi e conflitti. 

Una politica inclusiva può essere lo strumento – o uno degli strumenti – per prevenire crisi e conflitti in Europa?

Certamente è uno strumento essenziale. Il messaggio è che società integrate resistono meglio a crisi e conflitti. Il mio ufficio ha sviluppato una serie di raccomandazioni e linee guida che incoraggiano i paesi a considerare i bisogni di tutti, minoranze comprese, nelle loro politiche settoriali. Per esempio, la questione dell’educazione e della lingua sono estremamente importanti, anche se molto spesso politicizzate. 
Per favorire l’integrazione di società diverse, è essenziale che il sistema dell’istruzione offra opportunità alle minoranze di imparare la lingua ufficiale del paese; allo stesso tempo l’insegnamento della loro lingua madre deve essere mantenuto. Bisogna inoltre favorire la partecipazione di tutti, minoranze comprese, alla vita pubblica, politica ed economica del paese. Anche la questione della storia, di come viene ricordata, insegnata e rappresentata, è importante: se gestita bene può unire comunità con visioni diverse del passato.

Lei era già stato ospite della Scuola di Studi internazionali. Com’è nata questa collaborazione e che cosa prevede?

Si, sono stato vostro ospite nel febbraio del 2019. Feci una lezione sul ruolo dell’OSCE nella prevenzione dei conflitti, e fui particolarmente colpito dal livello di interesse e coinvolgimento di studenti e studentesse. Sono dunque entusiasta di continuare questa collaborazione, che nella prima parte del 2021 sfocerà in un corso di cui sarò co-titolare assieme al professor Marco Pertile. In questa collaborazione devo molto a lui, che da anni segue il nostro lavoro e partecipa ai nostri eventi, portando sempre un contributo prezioso.

Alla luce della sua esperienza, che consiglio darebbe ai giovani che aspirano a lavorare nelle istituzioni internazionali o in ambito diplomatico?

Si tratta di un’area sempre più competitiva, anche se a mio avviso di crescente importanza, nonostante le attuali tendenze di rinazionalizzazione delle politiche e di confronto geopolitico. A lungo termine, le sfide che dovremo affrontare saranno sempre più di carattere globale e richiederanno strategie ampie e coordinate. Accanto a una solida preparazione specifica e alla conoscenza delle lingue, strumenti operativi fondamentali, ci vogliono umiltà e pazienza, cominciando di preferenza ad impegnarsi sul terreno, imparando ad osservare e ad ascoltare, ad impegnarsi in diversi campi e a costruire una professionalità e una visione strategica basate su esperienze vissute. 


Minorities in Europe
An interview with Lamberto Zannier, OSCE High Commissioner on national minorities. His collaboration with the School of International Studies

by Marinella Daidone

The School of International Studies of the University of Trento has established a prestigious collaboration with the Organization for Security and Co-operation in Europe (OSCE), which will start in the next academic year. The collaboration includes the course on "Conflict, human rights and natural resources", aimed at master's students, which will be held by ambassador Lamberto Zannier.
Some of the topics of the course were also part of the Euregio guest lecture "Inclusive policies as a means to prevent crises and conflicts: current trends and challenges in Europe", held by ambassador Zannier on proposal from the universities of Trento, Innsbruck and Bolzano.

Lamberto Zannier is High Commissioner on national minorities at OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe) and has been Secretary General of the organization for two terms. In the past he has been special representative of the UN Secretary General for Kosovo.

Ambassador Zannier, can you briefly introduce the role of High Commissioner on national minorities at OSCE? Is there any critical situation at present in Europe?

The High Commissioner on national minorities has been established as an instrument to prevent conflicts that may arise regarding inter-ethnic relations. In the many years in which I worked for conflict prevention and resolution, I realized that these are increasingly triggered by fractures and inequalities within societies, amplified by external factors and geopolitics, while conflicts between different states are rarer. That is why managing diversities within our societies, which are increasingly diversified, is of crucial importance.
I work along two distinct but interconnected lines: I take an early warning and early action approach when inter-ethnic tensions have already reached a significant risk level. In that case, I use all the instruments made available by diplomacy behind closed doors to facilitate dialogue among the parties. But it is best not to reach that stage. Conflict prevention must be done before that, with the adoption of inclusive policies that promote social integration.
As regards critical situations, the Balkan region needs attention. And Ukraine is another hot spot. In this case, in particular, there are issues with Russian speaking populations, which are supported, and sometimes also politically exploited, by Russia. The Baltic states are faced with similar problems. But I am also trying to look beyond these issues. Western societies are not exempt from challenges in the management of diversity. 

What is the impact of the Covid-19 emergency where there are other difficulties?

The coronavirus emergency has deepened or may deepen fractures and inequalities. At a time in which action is necessary to implement global and coordinated strategies to address a situation that goes beyond borders, we have seen a further nationalization of responses. And there are reasons to be concerned. We have seen lack of solidarity, border closures, some countries adopting measures that confer extraordinary powers to governments, do not ensure the transparency of information or impose heavy limitations on the freedom of association.

Not everybody has access to basic services; in some cases, vital information to prevent the contagion was available in languages that were unknown to minorities. With education services switching to remote mode, sometimes the needs of young students belonging to language and ethnic minorities were ignored. Add to that stigmatization and discrimination toward people belonging to certain ethnicities, which are accused of disseminating the virus. The web is a dangerous instrument in this sense. Communities like the Roma people, which are discriminated and already have limited access to basic services, were badly hit.

The economic impact of the crisis is a cause of concern: people in minority groups often have informal occupations and live in border zones, which have been hit by border closures. I fear that this economic crisis, which is only at the beginning, may further fuel inequalities and possibly increase divisions, tensions and conflicts. 

Can an inclusive policy be a political instrument, or one of a set of instruments, to prevent crises and conflicts in Europe?

An inclusive policy is essential. The point is that integrated societies are better at facing crises and conflicts. My office has developed a set of recommendations and guidelines to encourage countries to consider the needs of all, including minorities, in their different policies. Education and language, for example, are two crucial matters, and are often exploited for political purposes. 

To facilitate the integration of different societies it is fundamental that the education system gives minorities the opportunity to learn the official language of a state while, at the same time, minorities are allowed to teach their own language. Everyone, including members of minorities, must participate in the public, political and economic life of a country. History, too, and the way in which it is remembered, taught and represented have a very important role: it can unite communities that have different visions of the past.

You had already visited the School of International Studies in the past. How has this collaboration started and what is next?

Yes, I first visited the University in February 2019. I gave a lecture on the role of OSCE in conflict prevention, and I was impressed by the participation and interest of the students. That is why I am thrilled to continue this collaboration, which at the beginning of 2021 will consist in a course that I will co-chair with professor Marco Pertile. I owe him a lot in this regard, because he has been following our work and participating in our events in the past years, always giving his contribution.

In light of your experience, what advice would you give to young students seeking a career in international organizations or diplomacy?

The sector is becoming more and more competitive, but it is also gaining importance in my opinion, despite the current trends to re-nationalize policies and some geopolitical tensions. In the long run, the challenges that we will have to face will be global and will require wide and coordinated strategies. In addition to a solid background in international studies and knowledge of foreign languages, which are essential, it takes humility and patience; field work is important, learning to observe and to listen, being interested in different areas and working to increase one's expertise and build a strategic vision based on first-hand experience. 

[Traduzione Paola Bonadiman]