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PRENDERSI CURA DEI BENI COMUNI

Risorse della collettività per creare valore sociale aggiunto e nuovi modelli di amministrazione condivisa

27 gennaio 2016
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Marco Bombardelli
di Marco Bombardelli
Professore ordinario della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

La crisi economica ha favorito politiche di restrizione dei bilanci degli Stati. Una delle linee seguite per la riduzione della spesa e per il reperimento di risorse idonee al ripianamento dei deficit pubblici è quella che prevede l’intervento sui beni pubblici, sia attraverso la ricerca di una maggiore efficienza nella gestione, sia tramite pratiche di dismissione e vendita. Questa linea di intervento è però riduttiva, perché per fronteggiare i problemi posti dalla crisi non ci si può limitare a un approccio di tipo “quantitativo”, che rischia di avere come conseguenza la diminuzione della capacità della amministrazioni di dare risposte adeguate ai bisogni dei cittadini, ad esempio nell’ambito dell’erogazione dei servizi pubblici. Occorre, piuttosto, andare alla ricerca di paradigmi e soluzioni alternative, capaci di assicurare al contempo, da un lato, innovazione e crescita economica, dall’altro, coesione sociale e sicurezza.

In questa prospettiva, i “beni comuni” hanno assunto particolare interesse, raggiungendo sia l’opinione pubblica, sia le sedi istituzionali, tanto a livello nazionale quanto sul piano sovranazionale. Per beni comuni si intende quell’insieme di risorse che sono condivise nell’uso e non escludibili per una pluralità di fruitori, ma al tempo stesso risultano rivali nel consumo da parte di questi ultimi e richiedono una gestione dell’accesso ad essi. Per dare un’idea molto generale, possiamo ricordare che nell’ambito di questa nozione vengono ricompresi beni di tipo tradizionale (come boschi o pascoli) gestiti da comunità locali attraverso usi civici, beni “globali” come le risorse ambientali (in particolare quelle non rinnovabili) e i cosiddetti new commons (fra cui ad esempio la conoscenza, Internet, gli sviluppi delle biotecnologie, ma anche gli spazi urbani e le infrastrutture).
I beni comuni sono diventati oggetto di un ampio dibattito, che verte sulla loro natura rispetto alle categorie “classiche” dei beni pubblici e privati, sul regime giuridico che li contraddistingue e, aspetto molto importante, sul ruolo che essi sono in grado di spiegare come risorse su cui anche i poteri pubblici possono contare nello svolgimento dei propri compiti di cura del benessere della collettività. 

Il lavoro svolto a Trento dall’Unità di ricerca del progetto PRIN “Istituzioni democratiche e amministrazioni d’Europa: coesione e innovazione al tempo della crisi economica” muove appunto in questa direzione. In primo luogo, si cerca di fare chiarezza sulle possibili accezioni della nozione di “beni comuni”, individuando gli stessi come l’insieme dei beni, materiali e immateriali, che le amministrazioni e i cittadini, anche attraverso procedure partecipative e deliberative, riconoscono essere funzionali al benessere individuale e collettivo, in particolare per quanto riguarda l’esercizio dei diritti fondamentali e il libero sviluppo della persona. Viene così focalizzata l’attenzione sui beni comuni come risorse a disposizione della collettività, che, se adeguatamente curate e valorizzate, possono contribuire a compensare gli effetti della diminuzione delle risorse pubbliche indotta dalla crisi. 

In questa prospettiva, non ci si limita considerare i beni comuni in sé, come risorse “nuove” a cui attingere per garantire bisogni altrimenti non più soddisfabili a causa della penuria di risorse di tipo tradizionale, e a operare di conseguenza una loro classificazione tipologica rivolta a capire in quale connotazione (materiale, immateriale, virtuale, ecc.) essi rivelano maggiormente la loro utilità. Si ritiene infatti che l’efficacia dei beni comuni come via di uscita dalla crisi derivi anche e soprattutto dal fatto che la loro cura è in grado di dare luogo a nuovi modelli di amministrazione, attivando dinamiche relazionali tra istituzioni pubbliche e soggetti privati, le quali possono fungere da catalizzatori di nuove energie e nuove potenzialità, diverse e ulteriori da quelle attivabili dall’amministrazione tradizionale, e diventare quindi esse stesse una risorsa, in quanto idonee a creare del “valore sociale aggiunto” con il loro svolgimento. 

Nel convegno che si è svolto a Trento nel mese di dicembre, organizzato nell’ambito del progetto PRIN, si è cercato di evidenziare i punti chiave di questo approccio. L’introduzione è stata dedicata alla nozione dei “beni comuni” e alla distinzione di questa categoria da quella tradizionale dei beni pubblici. Si è quindi cercato di chiarire quali possano essere i tratti distintivi del regime giuridico della proprietà di questi beni e si è successivamente passati a considerare il tema delle procedure che possono essere seguite per la loro cura, spesso configurabili come e proprie ipotesi di una “nuova procedimentalizzazione”. Nella seconda parte del convegno si è invece riflettuto sull’impatto che la cura dei beni comuni può avere sia sulle istituzioni pubbliche e sulle relazioni tra i diversi livelli di governo locale, nazionale ed europeo, sia nei rapporti delle istituzioni con i cittadini e con le diverse associazioni della società civile, quali ad esempio le organizzazioni del terzo settore. Definito così il quadro di riferimento, si è cercato di ricavare da esso l’indicazione delle linee essenziali di quello che dovrebbe essere il regime giuridico distintivo dei “beni comuni”, da considerare non solo in quanto nuove risorse, ma anche come strumenti in grado di attivare nuovi modelli di amministrazione “condivisa”, capaci di valorizzare le energie presenti nei cittadini e nella società per la cura dell’interesse generale.