10 maggio 2017: aperitivo interculturale "Well Come! UniTrento for refugees" (Foto di Andrea Cagol)

Internazionale

UniTrento per i rifugiati e gli studiosi a rischio

Intervista a Barbara Poggio, prorettrice alle Politiche di equità e diversità

22 settembre 2020
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di Marinella Daidone
Lavora presso l'Ufficio Web, social media e produzione video dell'Università di Trento.

“Per me questo progetto significa l'opportunità di avere un futuro prospero tanto per me quanto per la mia famiglia. Anzi potrei addirittura arrivare a dire che mi avete salvato la vita. Non so cosa ne sarebbe di me senza tutto questo, e al solo pensiero mi viene una grande paura."
(J.F.D.C., giugno 2020)

Nei giorni scorsi è stato presentato il rapporto quinquennale 2016-2020 “L’Università di Trento per i rifugiati e gli studiosi a rischio”, a cura dell’Ufficio Equità & Diversità.

Ne abbiamo parlato con la prorettrice alle Politiche di equità e diversità dell’Ateneo Barbara Poggio.

Professoressa Poggio, da quali sensibilità e con quali obiettivi è nato il progetto Richiedenti asilo all’Università di Trento?

Il progetto nasce all’interno di una più generale attenzione che l’Ateneo ha avuto in questi anni sui temi dell’inclusione, dell’equità e dei diritti. Un impegno che poi si è tradotto su una pluralità di versanti che vanno dalle politiche di genere, alla valorizzazione delle diversità, all’attenzione per le disabilità e i bisogni educativi speciali.

Il progetto Richiedenti asilo nasce in occasione dell’emergenza umanitaria del 2014, quando un flusso crescente di rifugiati e migranti stava arrivando in Europa a causa di una serie di gravi situazioni di conflitto. L’Università ha pensato di dare il proprio contributo all’interno di un territorio che si era molto esposto su questi temi, e di farlo agevolando l’accesso ai percorsi universitari di un numero limitato di persone che già si trovavano in Trentino ed erano inserite in progetti di accoglienza. 

Abbiamo voluto contribuire con le nostre specifiche competenze e quindi abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa con la Provincia autonoma di Trento che prevedeva un piano quinquennale per garantire ogni anno a 5 studenti l’accesso ai corsi di studio dell’Università di Trento.

Questo progetto ha coinvolto molti docenti, studenti e studentesse del nostro Ateneo anche attraverso il progetto SuXr (Studenti Universitari per i Rifugiati). Di cosa si tratta?

Quando è partito il progetto Richiedenti asilo, alcune associazioni e gruppi di rappresentanza della comunità studentesca dell’Ateneo ci hanno chiesto di partecipare in modo attivo. Abbiamo lavorato insieme ed è nato il progetto SuXr (Studenti universitari X i rifugiati, si legge “super”); anche il nome è stato scelto dagli studenti. 

Questo percorso prevede una prima parte di formazione alla quale collaborano docenti di diversi dipartimenti che con lezioni e seminari aiutano studenti e studentesse UniTrento ad approfondire le diverse sfaccettature del fenomeno in un’ottica psicologica, antropologica, giuridica e così via.

Studenti e studentesse hanno poi la possibilità di svolgere attività di volontariato presso cooperative e associazioni del territorio impegnate nel sistema dell’accoglienza.

Al progetto SuXr hanno partecipato circa 360 studenti e studentesse UniTrento, molti dei quali hanno continuato a fare volontariato sul territorio anche dopo aver finito il percorso.

Il rapporto che avete presentato, oltre illustrare i risultati, contiene alcune testimonianze dei partecipanti. Qual è il coinvolgimento umano nel portare avanti questi progetti?

Questo è l’aspetto più delicato del progetto, che ha richiesto anche un impegno particolare da parte del team che vi ha lavorato e che non aveva un’esperienza pregressa in quest’ambito. Le situazioni da cui provengono studenti e studentesse coinvolti in questo progetto sono infatti spesso estremamente difficili: scappano da contesti complicati, spesso hanno affrontato viaggi pieni di sofferenze, talvolta hanno rischiato anche la morte o hanno subito violenze. Si tratta di traumi non facilmente superabili, che possono rappresentare ostacoli importanti nel percorso di studio; traumi che incidono sulla capacità di raggiungere gli obiettivi formativi che poniamo loro, e più in generale sul loro benessere personale. Per questa ragione oggi prevediamo anche un accompagnamento di tipo psicologico. È in realtà un servizio che noi già forniamo ai nostri studenti che lo desiderano, ma che per questi ragazzi e ragazze si è rivelato particolarmente importante.

L’Ateneo ha aderito alla rete internazionale Scholars at Risks (SAR) che si occupa di studiosi e studiose a rischio, ce ne può parlare?

Dal 2017 l’Ateneo ha aderito alla rete SAR che è stata fondata nel 1999 da studiosi internazionali e da difensori dei diritti umani con l’obiettivo di garantire il principio della libertà accademica. Attraverso la rete SAR vengono offerte borse di studio temporanee a studiosi e studiose che nei loro paesi sono in pericolo di vita o la cui possibilità di svolgere attività scientifica è compromessa.

SAR inoltre porta avanti campagne di informazione e di sensibilizzazione e promuove la ricerca e la formazione sui temi dei diritti umani e delle libertà accademiche.

Nel nostro Ateneo le iniziative della rete SAR sono state coordinate fin dall’inizio dalla professoressa Ester Gallo, delegata del rettore alla Solidarietà accademica e internazionale, che fa parte anche del coordinamento nazionale di SAR. 

La nostra Università ha attivato due bandi di ricerca per studiosi a rischio, che sono stati vinti da una ricercatrice, proveniente dallo Yemen, che lavorerà presso il C3A e da un ricercatore proveniente dal Cameroon, che sta già svolgendo il suo periodo di ricerca presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia.

Che bilancio farebbe di questi cinque anni, di cosa è soddisfatta e quali sono state invece le criticità? È un percorso che intendete continuare?

Credo che il bilancio sia sostanzialmente positivo. Si è lavorato molto e sono stati raggiunti risultati importanti sia sul piano del supporto umanitario a studenti e studiosi in difficoltà, sia formando i nostri studenti su questi temi e agevolandone la collaborazione con il territorio, sia sul piano della sensibilizzazione e dell’impegno di “terza missione” dell’Ateneo. 

Ricordo in tal senso anche il successo dell’iniziativa di fundraising Adotta uno studente che si propone di garantire agli studenti accolti nel progetto di avere una piccola borsa di studio mensile per coprire i costi di libri, materiali di studio e beni di prima necessità. Nata su proposta di alcuni componenti della comunità accademica che volevano offrire il loro contributo al progetto, l’iniziativa ha raccolto numerose adesioni anche all’esterno. 

Dal punto vista delle criticità va segnalato negli ultimi anni un cambio di clima più generale nei confronti dei temi dell’accoglienza e dell’inclusione: è questo un ambito nel quale l’Università dovrà continuare a impegnarsi attraverso lo sviluppo di conoscenza e consapevolezza su queste tematiche. 
Ci sono state anche una serie di difficoltà legate alla gestione di situazioni molto delicate e un carico elevato di lavoro, anche dal punto di vista gestionale, che ha gravato soprattutto sull’Ufficio Equità & Diversità. 

Alcune delle difficoltà incontrate sono alla base del fatto che non tutti gli studenti e le studentesse che hanno iniziato il percorso sono ancora con noi. Da queste criticità abbiamo continuamente cercato di imparare anche attraverso un confronto in rete con le altre università che si impegnano su questo terreno e oggi il progetto è sicuramente più solido e attrezzato.

Il documento che abbiamo presentato in Senato accademico lo scorso 9 settembre contiene una proposta per continuare il percorso nei prossimi anni che tiene conto anche di tutti gli apprendimenti fatti.