Federico Condello

Eventi

Falsari, critici e complici

Casi antichi, casi odierni, lezioni perenni. Conversazione con il filologo Federico Condello

19 novembre 2020
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Giorgia Proietti
di Giorgia Proietti
ricercatrice in Storia greca presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Lo scorso 3 novembre, Federico Condello, professore ordinario di Filologia classica all’Università di Bologna, ha inaugurato il primo ciclo di seminari telematici 'Gli Antichi e noi', organizzato dal Laboratorio di Scienze dell'Antichità e dal Laboratorio Dionysos Archivio Digitale del Teatro antico nella cornice delle attività del Centro di Alti Studi Umanistici. Nell’incontro è stato affrontato un problema antichissimo e al tempo stesso attuale: i falsi, e la guerra incessante tra chi li crea e chi li combatte e smaschera.

Professor Condello, dall'antichità greco-romana alle fake news di oggi, passando per l'epoca medievale, moderna e contemporanea, il problema dei falsi sembra costituire un filo rosso nella storia: al di là delle diverse tipologie documentarie, quali elementi caratterizzano un falso?

Come sempre in filologia, si dà una sottile dialettica fra costanti o regole e peculiarità del caso singolo. Fra le costanti tendenziali citerei certe tecniche di allestimento (“la tavolozza dei falsari è sempre la stessa”, diceva Anthony Grafton); la scelta degli oggetti da falsificare (spesso periferici, al confine del canone); la messa a frutto di tracce anteriori (non di rado si falsifica ciò che è effettivamente testimoniato, ma irrimediabilmente perduto); l’invenzione dei contesti di ritrovamento (il falsario deve ideare, con il falso, la sua tradizione); la produzione di falsi a corredo (esiste un “indotto” del falso). E così via. Stabile, in molte storie di falsi, è anche lo schema personarum; oltre a un falsario e a un critico, servono tanti comprimari, complici, ricettatori, e “ricettori” in genere. Nella mia conversazione trentina ho insistito su una figura-tipo nella “ricezione” del falso: l’apologeta a oltranza, i cui stili argomentativi paiono singolarmente stereotipati dai tempi di Bentley ai nostri.    

Alcuni falsari, da Simonidis a Driessen, sono divenuti celebri. Qual è l’identikit del falsario di successo?

Un falsario capace – per scienza, tecnica, o pratica, direbbe Aristotele – intercetta bisogni profondi. E non solo d’ordine economico, propagandistico, etc., ciò che è ovvio; intendo bisogni culturali. Per questo un falso, ha insegnato Zeri, invecchia presto: è legato a un contesto di ricezione storicamente determinato. Ma se un falsario sa cogliere i pregiudizi del suo tempo, nel suo tempo avrà successo. Poi con quei pregiudizi si può giocare in vario modo: per rinforzarli, o per ribaltarli (e cioè confermarli a contrario). Avremo così, che so, un Leopardi cattolico (i falsi del centenario [1898] discussi da Timpanaro), o un Montale amorevole, svenevole e parimenti cattolicheggiante (il Diario postumo, altro falso da centenario [1996]).    

Lei ha formulato argomenti decisivi contro l’autenticità del Diario Postumo attribuito a Eugenio Montale (per una sintesi, cf. qui): quali strategie guidano uno studioso a smascherare un falso?

Sul Diario postumo Dante Isella aveva detto l’essenziale già nel 1997. Nel 2014 il caso è stato riaperto e chiuso in un biennio. Le strategie di smascheramento furono molte e tipiche: analisi stilistiche e grafologiche, scoperta delle fonti (il falsario non crea mai ex nihilo), denuncia di anacronismi e profezie ex eventu. Classici della caccia al falso.  

Torniamo alla “ricezione”. Un falso non è solo un atto di invenzione, ma l'esito di un incontro tra chi lo crea e chi lo riceve, che spesso non è l'ingenuo credulone, ma il colto intenditore (si pensi alle celebri teste di Modigliani, che Argan riteneva autentiche). Come si spiega il fenomeno?

In tanti modi: mala fede, candido entusiasmo, pavidità pilatesca. Nel caso del Diario postumo, ad esempio, molto contò la connivenza di critici compiacenti, e molto il silenzio di critici sfuggenti, che preferirono non schierarsi. 

I falsi non interessano solo gli specialisti: sono un problema storico, culturale e politico su cui hanno riflettuto importanti intellettuali, da Umberto Eco a Carlo Ginzburg. Falsi comprovati come i Protocolli dei Savi di Sion o i Diari di Mussolini continuano a trovare credito. Come si spiega? 

Talvolta, come ho detto, un falso esaurisce la sua carica di appeal culturale e diviene vistosamente falso agli occhi dell’età successiva. Talvolta, invece, il falso si ricava un cantuccio in ombra e lì vivacchia, guardato con sospetto ma tollerato: e di lì può risorgere qualche generazione dopo, dimenticati i dubbi di un tempo. Il vergognoso pseudo-Mussolini patrocinato da Dell’Utri, con quell’ipocrita “vero o presunto” in copertina, è drammaticamente esemplare. Spesso basta rinnovare la humus che nutre il falso. I Protocolli prosperano ovunque prosperi l’antisemitismo, anche in certi bassifondi culturali nostrani: da “Radio Padania”, qualcuno di recente li ha chiamati – guarda caso – “veri o presunti”.  

Nelle sue 'Riflessioni d'uno storico sulle false notizie della guerra', pubblicate tre anni dopo la fine del primo conflitto mondiale, Marc Bloch approcciava la diffusione delle false testimonianze dentro e fuori le trincee come un grande esperimento di psicologia sociale: le false notizie si intrecciavano inesorabilmente alle credenze popolari. Una riflessione attuale: è d'accordo?

Certo, anche se studio del falso documentario – nelle sue molte forme – e studio della menzogna di massa a circolazione mediatica richiedono strumenti d’analisi diversi. Indubbio, comunque, che le tangenze ci siano. Oggi più che mai servono vigilanza massima e impegno comune. 
 
Il mondo antico ha fornito molte occasioni di esercizio del metodo filologico, dalle lettere apocrife di Falaride alla donazione di Costantino. Quale metodologia può offrire la filologia classica per affrontare il problema dei falsi in una più ampia prospettiva storico-culturale e civico-politica, oggi?

Ancor prima che a un metodo, la filologia educa a una salutare attitudine: sempre dubitare, sempre verificare.

Il ciclo di seminari Gli antichi e noi, che si è svolto in modalità telematica dal 3 al 17 novembre scorsi, si è proposto come un’occasione per indagare diversi aspetti delle complesse relazioni tra il passato e il presente e riflettere, attraverso alcuni temi cruciali che riguardano direttamente anche la contemporaneità, il rapporto tra “gli antichi e noi”.
Oltre all’incontro inaugurale, hanno fatto parte del ciclo altri due appuntamenti, il 10 novembre Ulisse, eroe della conoscenza tenuto dal professor Mauro Bonazzi, docente di filosofia antica alle Università di Milano e di Utrecht e il 17 novembre Stranieri o barbari? Greci e Romani a confronto, tenuto dall’antichista Maurizio Bettini.