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Innovazione

Gestire la pandemia nell’era dei big data

L’importanza di avere dati qualificati per valore, affidabilità e freschezza nelle crisi di sanità pubblica

4 maggio 2021
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Giandomenico Nollo
Emanuele Torri
di Giandomenico Nollo ed Emanuele Torri
Rispettivamente: professore associato di Bioingegneria del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Trento; dirigente medico del Dipartimento Salute e Politiche sociali della Provincia autonoma di Trento.

In God we trust, all others must bring data. 
(William Edwards Deming)

William E. Deming, al quale generalmente viene attribuita questa frase, era un ingegnere, consulente di gestione aziendale e manager statunitense, ideatore del ciclo di PDCA (dall'inglese Plan–Do–Check–Act, ossia "Pianificare - Fare - Verificare - Agire"); a lui si ascrive buona parte della ripresa industriale del Giappone nel periodo post-bellico e la fama di innovazione e qualità che per lungo tempo ha caratterizzato l’industria giapponese dal dopoguerra ad oggi. La frase andrebbe però oggi aggiornata con “… bring qualified data”, ovvero dati qualificati, cioè corredati di attributi che ne definiscano valore, affidabilità e freschezza. 

Nel mondo industriale, come nel governo della cosa pubblica o nelle nostre decisioni quotidiane, l’inattendibilità, la non tempestività o l’inadeguatezza dei dati inficiano la capacità di discernimento e quindi di decisione corretta al pari della loro mancanza. La crisi pandemica che stiamo vivendo ha reso evidente le difficoltà di un processo decisionale basato su dati incerti, non tempestivi, non standardizzati, generati attraverso processi difformi e non trasparenti con conseguente difficoltà di comunicazione delle decisioni intraprese.

Queste incertezze, prima decisionali e poi comunicative, hanno generato ampi spazi di disinformazione e amplificato il distacco tra opinione pubblica e decisore, proprio in una fase in cui doveva essere massima la fiducia verso di esso e il coinvolgimento proattivo dei cittadini, essenziale per garantire l’efficacia degli interventi nelle emergenze di sanità pubblica.

Anche se è stato evidente il peso della data analytics - con dispiego di modelli predittivi, grafici e informative quotidiane - nella prima pandemia dell’era dei big data, in Italia e a livello internazionale, abbiamo drammaticamente assistito alla debolezza del sistema informativo sanitario, alla mancanza di un’infrastruttura del dato capace di raccogliere in modo puntuale, tempestivo e sicuro i dati utili al monitoraggio dell’epidemia e della capacità di resilienza del sistema.

All’inadeguatezza della filiera di gestione del dato ha senz’altro contribuito il frazionamento regionale del Servizio Sanitario Nazionale, l’insufficiente investimento nella digitalizzazione e la bassa percezione del rischio infettivo che ha purtroppo caratterizzato le politiche sanitarie degli ultimi anni, con conseguente depauperamento dei presidi di Prevenzione e Sanità Pubblica, in particolare rivolti alle malattie infettive e diffusive. Così, allo scoppio della pandemia Covid-19, eravamo privi di un’adeguata infrastruttura di intelligence epidemiologica per l’identificazione precoce del rischio pandemico, capace di rilevare i segnali deboli, quale presupposto fondamentale per garantire prontezza di risposta agli scenari in continuo e veloce cambiamento, che caratterizzano le manifestazioni epidemiche e che ne rendono particolarmente complessa e talora imprevedibile la gestione.

Una sub-ottimale attendibilità e comparabilità dei dati, ha inoltre costantemente limitato le possibilità di monitorare l’efficacia delle misure adottate e il loro tempestivo adeguamento. In altri termini non eravamo preparati, ma in questo non eravamo soli, dato che la mancanza di dati e conoscenza ha parimenti caratterizzato l’azione internazionale. Le organizzazioni internazionali, hanno balbettato, tardando nel dare indicazioni precise e utili a ponderare al meglio il rapporto tra rischi e benefici degli interventi necessari nelle diverse fasi della pandemia, i singoli Stati si sono mossi in ordine sparso anche con azioni contraddittorie e non coordinate.

In questi lunghi mesi abbiamo spesso assistito a un uso inflazionato ed errato del termine crisi da parte dei mass media con una sostanziale parificazione dei piani tra eventi emergenziali e situazioni di crisi. A differenza dell’emergenza, una situazione di crisi presuppone la non certezza degli esiti, per carenza di risorse, di conoscenze, e per l’impossibilità di utilizzare gli strumenti procedurali e normativi in dotazione. Possiamo dire che la crisi inizia laddove il piano di gestione dell’emergenza finisce o dove le informazioni per la gestione dell’emergenza non sono state adeguate.

Per un’organizzazione, la gestione di crisi è gestione di scelte dagli esiti incerti che possono recare gravissimo danno all'organizzazione stessa, sia essa un’azienda, una comunità o uno Stato,  e richiede risposte complesse e visione sistemica: non è possibile affrontarla senza aver chiari gli aspetti organizzativi, i ruoli e le responsabilità, ma ancor meno senza capacità informativa puntuale e capillare. 

In questa crisi abbiamo visto l’importanza e il ruolo del Servizio Sanitario e dei suoi attori, non solo per la difesa della salute del singolo cittadino ma come elemento centrale di tenuta dello Stato con un ruolo di cardine sociale ed economico. Per dare risposta a questa complessità il Servizio Sanitario Nazionale deve trasformarsi profondamente dotandosi di sistemi di gestione dell’informazione e della conoscenza più moderni e “aperti” che possano essere interrogati, attivati e valutati prontamente. Per fare questo oltre al coinvolgimento delle molte competenze professionali comunque disponibili, dovrà usare al meglio le potenzialità oggi messe a disposizione dall’avanzamento tecnologico, mettendo al centro l’integrazione e l’automazione dei sistemi di gestione dei dati, la loro piena accessibilità e l’adeguamento a standard di sicurezza e qualità. 

In un gioco di slogan per consonanti, come per le 5 V che oggi caratterizzano i big data (Volume, Velocità e Varietà, Veridicità, Valore), il sistema informativo nazionale per la sorveglianza epidemica dovrà adeguarsi allo standard delle 6 C: Consistent, Correct, Current, Comprehensive, Curated e Computer-readable. Processo questo non facile e non solo tecnologico. L’adeguamento dell’infrastruttura di raccolta e gestione dei dati dovrà infatti essere preceduta e accompagnata da azioni di governo che identifichino piani informativi, meccanismi di verifica della qualità, misure di protezione e sicurezza e, non ultimo, piani e simulazioni d’uso in condizioni critiche. 

Giandomenico Nollo ed Emanuele Torri collaborano da oltre un decennio sui temi della valutazione delle tecnologie sanitarie, dell'appropriatezza e sostenibilità dei servizi sanitari.  Valorizzando la trasversalità delle reciproche competenze hanno contribuito al disegno e sviluppo di progetti di ricerca europei, nazionali e locali per il miglioramento della sicurezza e della qualità dell’assistenza centrata sul paziente attraverso l’implementazione di tecnologie innovative, l'integrazione ospedale-territorio e la misurazione degli esiti. Sono coautori del capitolo "La difficile gestione dei dati" del libro "Lo Stato in crisi" a cura di Patrick Trancu (Franco Angeli editore, 2021).
Giandomenico Nollo, componente di BIOtech - Center for Biomedical Technologies UniTrento, è vice presidente vicario della Società Italiana di Health technology Assessment (Sihta).  
Emanuele Torri, specialista in igiene, medicina preventiva e sanità pubblica, è segretario generale della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI).