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Cosa loro, Cosa nostra. Come le mafie straniere sono diventate un pezzo d'Italia

di Andrea Di Nicola, Giampaolo Musumeci

7 giugno 2021
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Le triadi cinesi riciclano denaro in tutta Europa (ma in epoca di Covid-19 si danno al cybercrime); i clan ucraini gestiscono il contrabbando di sigarette; i cult nigeriani amministrano il racket della prostituzione e controllano le piazze di spaccio a colpi di machete; i dealers marocchini trasportano l’hashish da Tangeri a Genova; le gang di latinos trasformano i parchetti di quartiere in zone di guerriglia.

A poco a poco, le mafie d’importazione hanno guadagnato un loro spazio rispetto alle organizzazioni mafiose “tradizionali”, stravolgendo l’universo del crimine così come lo conoscevamo, dove si alternavano cosche strutturate e piccolo malaffare. Cosa nostra, camorra, ’ndrangheta: nonostante le origini multiculturali, le nuove mafie si rifanno al modello della grande criminalità organizzata Made in Italy, con cui a volte guerreggiano ma spesso collaborano, prendendone a prestito i codici e le regole.

Eppure, per quanto sia pervasivo nella cronaca nera il racconto di certi loro crimini efferati, continuiamo a sottovalutare la portata della loro infiltrazione, l’estensione delle loro reti, il potere dei loro boss. Lo stesso errore che per decenni fecero negli Stati Uniti occupandosi di Cosa nostra: per combatterla fu necessario ammetterne l’esistenza, studiarla, capire quanto fosse intrinseca al sistema economico e politico della nazione. E così dovremmo fare anche noi, perché le mafie straniere non sono il lato oscuro dell’immigrazione, ma il risultato dei nostri fallimenti politici, dell’incapacità dello stato italiano di controllare davvero il territorio.

Il criminologo Andrea Di Nicola e il giornalista d’inchiesta Giampaolo Musumeci intrecciano atti processuali, fatti di cronaca e testimonianze dirette per ricostruire le dinamiche segrete e i riti di affiliazione di gruppi in apparenza così lontani dalla nostra vita quotidiana. Perché è proprio la volontà di non vedere che rischia di rendere sinistramente presago il titolo: Cosa loro, Cosa nostra.

Andrea Di Nicola è professore presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento.

Giampaolo Musumeci è giornalista freelance, fotografo, film-maker e conduttore radiofonico.

Dall'introduzione (pagg. 9-20)

«Il capo sono io. Prima sapevo fare solo il mafioso. Ora faccio anche e soprattutto gli affari. Sono cambiato, ci saranno sei mesi di perdita. Ho già previsto quanto andremo a perdere e quando la situazione migliorerà. […] Nella mafia ci vuole la strategia per andare avanti, hai capito? Alla mafia di oggi non serve più l’arroganza e la violenza, ci vuole la strategia!»

Un cinquantenne piccolo e magro, dai corti capelli corvini, di origine cinese, vestito con un completo gessato attillato e una cravatta scuri, sta parlando al cellulare e ignora che gli agenti della Direzione investigativa antimafia di Firenze lo stanno intercettando. Ha appena parcheggiato la sua potente Lamborghini ed è ancora nell’abitacolo. Ha un mezzo sorriso sulle labbra mentre discute. Per lo stato italiano è un imprenditore del settore del trasporto merci. Società che sembrano fare capo a lui muovono ogni giorno enormi quantità di carichi dalla Cina su decine di tir e di furgoni che viaggiano lungo direttrici italiane ed europee. Le parole che escono dalla sua bocca, però, suonano più come una lezione di educazione imprenditoriale criminale.

Qualche sera prima, la stessa persona sta cenando in un ristorante cinese a Prato. Davanti al locale c’è un andirivieni di berline scure da cui scendono uomini dai tratti asiatici vestiti con abiti alla moda. Entrano, uno dietro l’altro, in processione, arrivano davanti al nostro uomo, fanno un inchino silenzioso e tornano indietro da dove sono arrivati. È un segno di deferenza estrema verso quello che loro chiamano «il capo».

Sì, perché Zhang Naizhong è il capo; il “capo dei capi” delle triadi in Europa, come lui stesso ama definirsi e come risulta dalle intercettazioni. Altri lo chiamano più semplicemente “l’uomo nero”. E l’inchino è un riconoscimento della comunità cinese di Prato, in Europa seconda solo a quella di Parigi. Zhang Naizhong vive a Roma e dalla capitale gestisce affari milionari e attività illegali in Italia e in Europa. A Prato va a ricevere il saluto dei connazionali, così come fa regolarmente a Padova, Milano, Torino, fino a Parigi. Il saluto delle comunità cinesi che sanno ciò di cui Zhang è capace, che conoscono il suo sconfinato potere economico. 

Zhang sa di essere il capo. Quello che non sa però è che il giorno dopo, il 17 gennaio del 2018, sarà arrestato dagli uomini della squadra mobile di Prato e indagato, insieme ad altre trentatré persone, per un notevole numero di reati, tra cui quello di associazione mafiosa, anche se quest’ultimo non gli verrà contestato durante il processo che inizierà un anno più tardi.

La storia inizia a Prato nel giugno del 2010, con un regolamento di conti in cui vengono uccisi barbaramente due ragazzi cinesi. È l’ultimo di una lunga serie che ha lasciato sulle strade della città toscana violenza e morte. Una guerra per il predominio sui trasporti della merce cinese in Europa, con un giro di affari milionario. E le indagini si concentrano proprio su Zhang. L’imprenditore cinese, sfruttando la sua fitta rete di aziende di trasporto, gestisce traffici illeciti nel nostro paese e in Francia, Spagna, Germania ed Europa dell’Est. Una trama fondata su logistica, conoscenze, amicizie, intimidazioni, che si estende in tutta Europa e che prevede il ferreo e feroce controllo dei locali notturni, delle sale da gioco clandestine, della prostituzione, dello spaccio di droga, dell’usura e delle estorsioni. E poi, con i soldi che ne derivano, e con la violenza, l’accaparramento di aziende legali e il reinvestimento dei proventi nell’economia pulita e regolare. 

I soldi sono tantissimi, spesso in contanti. Non è facile tracciare movimenti di denaro cash. Ma gli inquirenti, durante le indagini, intercettano una conversazione tra alcuni membri del gruppo criminale di Zhang. La guardia di finanza di Roma ha fermato un tir dell’organizzazione con un carico di stupefacenti. I cinesi non sembrano tanto essere preoccupati per la droga, quanto per uno scatolone in particolare. Tra le centinaia di colli del tir, infatti, ce ne è uno che contiene banconote. Molte banconote, moltissime. 

Secondo i dati della Banca d’Italia, fino a poco tempo fa, proprio da Prato partiva ogni giorno verso la Cina un milione e mezzo di euro attraverso servizi di money transfer o bonifici bancari. Un fiume di soldi, molti controllati e gestiti proprio da Zhang e dai suoi affiliati. Un fiume carsico inquinato e venefico, dai mille rivoli, che solo a tratti emerge in superficie, in grado di corrompere tutta l’economia lecita italiana ed europea.

[...]

Come e dove operano i gruppi criminali stranieri nel nostro paese? Quali caratteristiche hanno e a quali strumenti ricorrono? Quali sono i loro obiettivi? Le mafie straniere hanno punti in comune con le nostre? Il parallelismo tra mafie straniere e mafie nostrane che cosa ci insegna? E soprattutto: quanto sono davvero straniere? 

Siamo sicuri che queste mafie non vivano e prosperino nel nostro paese solo perché vi trovano terreno fertile? Siamo certi che non abbiano contatti, ramificazioni, interessi che sono “Made in Italy” al cento per cento? Che non entrino a patti con le mafie autoctone? Che non esistano gruppi misti? Quali opportunità offre la nostra nazione, come tante altre in territorio europeo, a queste associazioni criminali? Quali sono i danni all’economia legittima europea? Quando impareremo dalla commissione Kefauver a inquadrare le mafie straniere Cosa loro, Cosa nostra nel tessuto italiano, così da cambiare le nostre armi di contrasto e lotta alla criminalità?

Questo libro parla di sodalizi criminali, che continuiamo a definire etnici, stranieri. Parla di mafie che tendiamo a interpretare come fenomeni “altro” da noi, di importazione. Ma che sono mafie ormai nostre, grazie a connivenze, collaborazioni, accordi economici e territoriali. Mafie insomma che da straniere si sono naturalizzate. Questo libro parla di mafie straniere che propongono storie e personaggi incredibili, attori che paiono muoversi come nelle sceneggiature delle migliori serie televisive. Personaggi colossali, archetipi simili a quelli delle mafie che riconosciamo come nostre: ci sono i boss, ci sono i killer e ci sono i pentiti. E anche i contabili, le vedette, i manovali e i pusher minorenni, le donne e perfino intere famiglie. E, dall’altra parte, ci sono procuratori agguerriti, poliziotti senza paura e infiltrati che sacrificano la loro vita per viverne due o tre contemporaneamente, per perdersi in queste organizzazioni e combatterle da dentro.

Ma, per quanto avvincenti e cinematografiche, queste storie sono tutte vere: conviene prenderle sul serio.

Per gentile concessione della Casa editrice Utet.