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FAVORIRE IL BENESSERE PSICOFISICO SUI LUOGHI DI LAVORO

Strategie di recupero e misure organizzative per contrastare disagi e patologie legate allo stress

28 aprile 2016
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FAVORIRE IL BENESSERE PSICOFISICO SUI LUOGHI DI LAVORO
di Franco Fraccaroli
Docente di psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento.

È possibile contrastare gli effetti psicofisici negativi dei carichi di lavoro e della vita organizzativa? Vi sono strategie personali o misure organizzative che possono essere adottate per favorire il benessere delle persone nei luoghi di lavoro? Molte risposte a queste domande provengono dal filone di studi denominato Occupational-organizational Health Psychology. L’obiettivo: trovare soluzioni per favorire benessere, salute, impegno e produttività delle persone al lavoro in un’ottica di psicologia positiva.

Tutti sappiamo che l’esperienza di lavoro e la vita organizzativa costituiscono potenziali fonti di stress. Ritmi di lavoro concitati, mansioni ripetitive e poco stimolanti o viceversa, richieste troppo complesse rispetto alle competenze possedute, sono possibili esempi di come lo svolgimento del proprio compito lavorativo possa generare stress. Altri esempi possono venire dal sistema di relazioni e di regole che si instaura nei contesti organizzativi: ruoli poco chiari, relazioni difficili con i superiori, conflitti con colleghi, sentimenti di ingiustizia riferiti ai sistemi di valutazione sono stressor organizzativi.

L’uso molto ampio del termine stress nel linguaggio quotidiano non ne facilita una chiara definizione. Vi è una certa condivisione tra gli studiosi che lo stress sia una situazione di squilibrio interno che si manifesta quando le risorse in possesso della persona non sono in grado di far fronte alle richieste ambientali. Il termine “risorse” va qui inteso in modo molto ampio: competenze, abilità, tempo, equilibrio emotivo, pazienza, impegno, controllo, ecc.

Molto ampio è anche lo spettro delle possibili conseguenze di una situazione duratura di stress (intesa appunto come squilibrio). Si va da esperienze di tensione emotiva temporanea, a stati d’ansia; da reazioni quali rabbia, frustrazione, risentimento a possibili effetti di più lungo termine quale la depressione, la perdita di autostima. Si possono avere anche alterazioni significative del sonno o tentativi di compensazione dello squilibrio attraverso l’assunzione di farmaci, l’abuso di alcol o il ricorso a sostanze psicotrope. A lungo andare, le sintomatologie possono sfociare in patologie più severe, come ad esempio, problemi all’apparato digestivo o cardiocircolatorio.

L’intensità e la gravità delle reazioni allo stress da lavoro dipendono anche in larga misura dalla capacità e possibilità della persona di mettere in atto strategie di recupero (recovery) o di fronteggiamento di situazioni problematiche. 

Il distacco psicologico dal lavoro è una di queste strategie di recupero. Esso consiste nel prendere le distanze dal proprio impiego quando si è al di fuori dell’orario di lavoro e di occuparsi di altre cose piacevoli e interessanti come ad esempio, le attività del tempo libero, le relazioni amicali e familiari, la sfera spirituale, gli interessi legati ad una comunità. In tal modo, si allontana la salienza di stimoli negativi (scadenze, pressioni, decisioni difficili, relazioni conflittuali) e si può evitare, o attenuare, il progressivo esaurimento emotivo. In particolare, il distacco psicologico dal lavoro è una strategia importante nei casi in cui vi sia il rischio che la realtà lavorativa permei e invada le altre sfere di vita. Da questo punto di vista le nuove tecnologie (cellulari, posta elettronica, ecc.) costituiscono una potenziale minaccia. 

Il distacco psicologico dal lavoro può inoltre essere efficace per evitare forme di “cognizione perseverativa”, cioè quelle modalità di pensiero ricorsivo, invasivo e inconcludente che ci accompagnano nel caso di rilevanti problemi al lavoro. La cosiddetta “ruminazione” è la forma più studiata (pensiero ricorrente, non produttivo e negativo). Si stacca dal lavoro, ma non mentalmente e si rimugina senza costrutto su una polemica interna, su degli errori commessi, su una opportunità non ben sfruttata, sui compiti che non si è riusciti a completare. La ruminazione può avere anche conseguenze dannose sul piano psicofisico se degenera in alterazioni del sonno e distacco dalla realtà. Una situazione cognitiva simmetrica si può avere nel caso di anticipazione negativa di eventi futuri. L’incertezza può generare ansia che, a sua volta, può avere effetti deleteri sull’equilibrio psicofisico (ad esempio, insonnia o alterazioni dell’alimentazione).

Ovviamente la possibilità di staccare psicologicamente dal lavoro non dipende solo da fattori personali, ma è strettamente legata alle caratteristiche organizzative. È provato che un’elevata pressione temporale rende più difficile il recupero post-lavorativo e più arduo attivare strategie di distacco. In tal modo si verificano dei veri e propri circoli viziosi: condizioni di lavoro particolarmente stressanti creano disagi non solo sul lavoro, ma ostacolano anche la gestione equilibrata della vita extra-lavorativa. In tal senso, anche le politiche di gestione del personale possono essere indirizzate al miglioramento del benessere dei lavoratori.

Infine va sottolineata una emergente patologia lavorativa denominata workaholism: lavorare in modo eccessivo e compulsivo. Chi si fa imbrigliare in tale forma di “nuova dipendenza” rischia di pagare costi elevati in termini di equilibrio psicofisico in quanto si auto-riducono drasticamente le opportunità di recovery e gli spazi di distacco psicologico dal lavoro.

L’iniziativa “Workshop on current issues in occupational health psycology”, organizzata dal Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Ateneo in collaborazione con l’Associazione Italiana di Psicologia, si è svolta il 27 aprile presso Palazzo Fedrigotti a Rovereto in una giornata a cui hanno partecipato psicologi delle organizzazioni provenienti da varie università italiane. L’incontro si è incentrato sugli interventi dei due studiosi di fama internazionale Charlote Fritz, psicologa delle organizzazioni della Portland State University (USA) e Cristian Balducci, dottore di ricerca dell’Università di Trento, attualmente professore di psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università di Bologna. 
Responsabili scientifici: professor Franco Fraccaroli e dottor Lorenzo Avanzi.