Mani e aeroplani di carta. Foto Adobe Stock

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Filosofia e futuro

Alessandro Palazzo sulle strategie di previsione e sulla forza delle utopie. Dal Medioevo alla transizione energetica

30 aprile 2024
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di Elisabetta Brunelli
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Sull’intreccio di presente e futuro, tra ipotesi, speranze e paure, UniTrentoMag ha dialogato con Alessandro Palazzo, professore di Storia della Filosofia medioevale al Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, a margine del ciclo “Sguardi filosofici sul futuro”. «La storia dell’umanità – spiega Palazzo - è anche la storia della elaborazione di procedure e metodi sempre più raffinati di anticipazione e gestione del futuro». E sulla forza delle utopie dice: «Uno dei problemi più urgenti, che costituisce una sfida per la riflessione filosofica, è quello della transizione energetica e della protezione dell'ecosistema e del pianeta».

Professor Palazzo, perché la storia della filosofia si occupa di futuro?

«Come storico della filosofia e studioso del pensiero medievale sono interessato alle teorie proposte dai filosofi medievali sul futuro e sulle possibilità di prevederlo. A questo tema è dedicato il progetto Prin Pnrr di cui sono responsabile scientifico ("Social, Political, and Religious Prognostication and its Roots: Philosophical Strategies for Coping with Uncertainties and Planning the Future"). Il mio interesse si inquadra nel filone di ricerca sul cosiddetto "futuro passato", molto fiorente negli ultimi anni, volto a ricostruire gli atteggiamenti degli uomini delle epoche passate nei confronti del futuro».

E dai vostri studi cosa emerge?

«Emerge innanzi tutto che le civiltà del Medioevo erano molto attente alla dimensione del futuro, non solo al futuro escatologico, ma anche al futuro a breve e medio termine. Diversi studi hanno contribuito a chiarire i modi in cui gli uomini del Medioevo prevedevano, controllavano e gestivano il futuro in vari ambiti della vita, dagli scambi commerciali alle strategie patrimoniali, dalle attività politiche alle procedure legali, dai pellegrinaggi ai progetti di trasformazione dell'ambiente naturale. Questo ci induce a mettere in discussione la tesi secondo la quale solo nell'epoca moderna il futuro sarebbe diventato un orizzonte aperto di possibilità infinite. Sul piano teoretico, poi, l'attenzione al futuro stimolò dibattiti su legittimità e modalità della previsione, statuto epistemico delle scienze e delle arti prognostiche (astrologia, medicina, geomanzia e altre), rapporto tra prescienza divina e libertà umana, meccanismi gnoseologici dell'esperienza profetica e sua funzione politica e così via».

Perché è così importante prevedere il futuro?

«Le tecniche predittive cui ricorrono molte scienze (come meteorologia, economia ed epidemiologia) sono formalizzate e basate su modelli probabilistici e algoritmi statistici. Tali metodi scientifici di anticipazione del futuro sono radicalmente diversi dalle pratiche divinatorie del passato (l'astrologia dei Caldei, l'aruspicina etrusca, gli oracoli delfici, la geomanzia araba, solo per citarne alcune), ma hanno in comune una straordinaria rilevanza politica: condizionano l'organizzazione della società e le vite dei singoli, incidono sul dibattito pubblico e sulle decisioni dei governi, legittimano gli "specialisti della previsione" come attori politici. Le strategie previsive sono essenziali per la sopravvivenza e il buon funzionamento delle diverse società, oggi come in passato».

Fino a che punto la proiezione di ciò che non c’è ancora può agire e modificare il corso stesso degli eventi?

«La filosofia tematizza la tensione del presente verso il futuro, ma anche la torsione del futuro sul presente perché tutto ciò che l'uomo prevede, spera o teme retroagisce sul presente, modificandolo. La "coimplicazione" tra presente e futuro è stata l'oggetto di un ciclo di conferenze che si è svolto all'Accademia degli Agiati di Rovereto ("Sguardi filosofici sul futuro"). Cecilia Martini Bonadeo, ad esempio, ha ricostruito l'intreccio tra presente e futuro a partire dall'esame delle concezioni escatologiche dei grandi filosofi arabi medievali (al-Kindi, al-Farabi, Avicenna). Dalle loro opere emerge che essi configurarono la beatitudine ultraterrena secondo il modello della perfezione intellettuale. A seconda dell’idea dell'aldilà, i diversi gruppi umani erano motivati ad agire in maniera diversa nella vita presente in vista della meta ultraterrena sperata.
Costantino Esposito ha invece approfondito la complessità dell'intreccio presente-futuro nel pensiero di Martin Heidegger. Heidegger traduce l'attesa primo-cristiana della parusia, non localizzabile in un momento determinato della storia, in un modo d'essere della vita dell'uomo o Esserci (Dasein), nell’esistere come possibilità e progetto, nell'angoscia come dimensione strutturale dell’essere gettato nel mondo».

La filosofia è anche forza immaginativa, capacità di scorgere un’altra storia possibile, coraggio di idee divergenti. Può farci qualche esempio?

«Un esempio, cu sui ha richiamato l’attenzione Sandra Plastina è il gruppo di pensatrici attive in Veneto tra il XVI e il XVII secolo: Moderata Fonte, Maddalena Campiglia, Camilla Erculiani, Margherita Sarrocchi e Lucrezia Marinelli furono tra le protagoniste di un dibattito sul ruolo delle donne nella società, che le vide polemizzare con pensatori maschi. Contestando gli argomenti aristotelici invocati a supporto della tesi dell'inferiorità femminile, queste filosofe proposero una concezione innovativa della relazione tra i sessi, una nuova visione del rapporto tra natura e cultura.
Soprattutto nel secolo scorso, però, alcuni filosofi si sono sforzati di elaborare idee e progetti alternativi rispetto al presente, con esiti talora contrastanti. L'ottimismo di Ernst Bloch, per il quale l'uomo, attraverso la speranza, è costitutivamente aperto al futuro e teso a realizzare un mondo migliore, si contrappone alle pessimistiche analisi di Günter Anders, che propone un'escatologia negativa in un mondo egemonizzato dalla tecnica. In "Eros e civiltà" Herbert Marcuse delinea un'alternativa utopica all'oppressione della società del capitalismo avanzato facendo leva sulle potenzialità liberatrici dell'arte, dell'immaginazione e della sublimazione della sessualità».

Da storico della filosofia, osserva una trasformazione nella forza delle utopie?

«Le grandi utopie filosofiche del Novecento, in prevalenza di matrice marxista, sembrano non essere più di moda, ma questo non significa che la filosofia non abbia il diritto e il dovere di immaginare un futuro diverso. Nel 1979, Hans Jonas aveva colto l'urgenza della sfida, sottolineando come gli enormi sviluppi della tecnica mettessero a rischio la sopravvivenza della specie umana e dell'intera biosfera. Da questa diagnosi aveva ricavato, anche in polemica con il pensiero utopico contemporaneo, un'etica della responsabilità nei confronti delle generazioni future. Secondo Jonas, l'anticipazione del grave rischio posto alla specie umana dal nostro sistema di sviluppo sarebbe l'unico strumento capace di rendere effettiva questa etica del futuro. Dopo quasi cinquant'anni il richiamo di Jonas al dovere di prendersi cura delle generazioni non ancora nate, consegnando loro un pianeta nel quale sia ancora possibile condurre una vita umana, conserva immutata la sua validità. Alla prova dei fatti l'euristica della paura è risultata però inefficace e l'attuale civiltà umana sembra incapace di assumersi la responsabilità verso il futuro. Ai filosofi di oggi spetta il compito di individuare strumenti efficaci e diversi dal timore per richiamare l'umanità sulla via del cambiamento».