Il Riparo Mochi (Balzi Rossi, Ventimiglia). Tom Higham (Università di Oxford) con Stefano Grimaldi

Ricerca

DALL’UOMO DI NEANDERTHAL ALL’HOMO SAPIENS

Pubblicati da “Nature” i risultati finali di un progetto di ricerca sull’evoluzione umana che ha coinvolto l’Università di Trento insieme a numerose istituzioni internazionali

1 ottobre 2014
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Stefano Grimaldi
di Stefano Grimaldi
Ricercatore in Archeologia preistorica presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Il 21 agosto 2014 sono stati pubblicati sulla rivista Nature (Tom Higham et al., “The timing and spatio-temporal patterning of Neanderthal disappearance”, Nature 512, pagine 306-309) i risultati finali di un progetto di ricerca sull’evoluzione umana che ha coinvolto l’Università di Trento insieme a numerose istituzioni accademiche e di ricerca internazionali.

Il progetto, diretto dall’Università di Oxford (UK), ha permesso di ricostruire l’arco temporale durante il quale in Europa avvenne la graduale ma rapida sostituzione dell’Uomo di Neanderthal da parte dei primi gruppi appartenenti alla nostra specie, Homo sapiens, provenienti dall’Est.

Sebbene questo processo evolutivo fosse già noto alla comunità scientifica da decenni, rimaneva insoluta la questione di quanto tempo fosse stato necessario affinché l’estinzione del Neanderthal e la conseguente presenza di Homo sapiens divenissero definitive in tutto il territorio europeo. Il problema era originato dalla difficoltà di datare con precisione i numerosi siti archeologici che conservano ancora oggi le tracce di tale processo. Il Laboratorio per le datazioni al Carbonio dell’Università di Oxford è recentemente riuscito ad elaborare una nuova tecnica che permette di “pulire” quantità anche molto piccole di reperti organici (carboni, ossa, conchiglie) rendendoli quindi adatti ad essere datati con elevata precisione. Negli ultimi 5 anni, quindi, i ricercatori inglesi hanno datato reperti provenienti da tutti i siti archeologici europei e del Medio Oriente (circa 40) nei quali è testimoniato il passaggio Neanderthal-Homo sapiens.

Questo ha permesso di ottenere centinaia di datazioni che, essendo state ottenute con uno stesso metodo, possono essere confrontate tra loro. Il sorprendente risultato che ne è emerso dimostra come l’estinzione dei Neanderthal è avvenuta “a macchia di leopardo”, tra i 41 e i 39 mila anni fa, con modalità diverse in base alle differenti regioni europee. Ancora più interessante è stato l’individuare la prima presenza in Europa di H.sapiens in un periodo compreso tra 45 e 43 mila anni fa, molto prima di quanto ritenuto finora. I due eventi quindi non sembrano essere stati concomitanti ma, al contrario, le due specie umane sembrano avere vissuto una lunga fase di coabitazione, durata quasi 5000 anni, che portò probabilmente ad ampi scambi genetici e culturali in alcune aree dell’Europa.

In questo scenario, complesso e variegato, l’Italia fornisce informazioni particolarmente rilevanti. Come sottolineano gli stessi ricercatori inglesi nella pubblicazione sulla rivista Nature, i siti archeologici studiati e localizzati un po’ ovunque sul territorio italiano (Liguria, Veneto, Puglia) hanno evidenziato, nonostante la particolare conformazione geografica del nostro paese, tempi e modalità diverse attraverso le quali è avvenuto il processo di estinzione dei Neanderthal.

In particolare, mentre in Italia del Sud si registra una fase di coabitazione delle due specie, in Liguria l’Homo sapiens sostituisce rapidamente il Neanderthal senza alcuna apparente forma di scambio culturale o genetico. 

Uno dei siti preistorici italiani più noti a livello internazionale è il Riparo Mochi (Balzi Rossi, Ventimiglia), dove dal 2006 il professor Stefano Grimaldi del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento dirige le ricerche in collaborazione con la Soprintendenza per i beni Archeologici della Liguria. Il Riparo Mochi ha fornito decisive informazioni ai ricercatori di Oxford in quanto le datazioni delle prime evidenze archeologiche relative a Homo sapiens sono risultate essere le più antiche di tutto il territorio italiano. 

Tali dati, pur contribuendo a complicare ulteriormente lo scenario evolutivo finora apparso, dimostrano sia l’importanza europea del patrimonio culturale del nostro paese, anche quando si affronta lo studio delle fasi più antiche della nostra storia, sia l’elevato interesse scientifico internazionale che il proseguo delle ricerche archeologiche in territorio italiano può implicare.