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L’OROLOGIO BIOLOGICO

Nobel per la medicina a Hall, Rosbash e Young per le scoperte sui meccanismi che regolano il ritmo circadiano

15 novembre 2017
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L’OROLOGIO BIOLOGICO
di Alessia Soldano
Ricercatrice presso il Centro di Biologia Integrata - CIBIO dell’Università di Trento

Come molti scienziati che lavorano nel campo delle scienze biologiche anch’io, ogni anno, attendo con gran curiosità l’assegnazione dei premi nobel e seguo con interesse i dibattiti sui possibili candidati. Quest’ anno la rivelazione dell’assegnazione del Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina a Jeffrey Hall e Michael Rosbash, della Brandeis University, e a Michael Young, della Rockefeller University, mi ha indubbiamente riempito di grande orgoglio in quanto condividiamo la passione per lo stesso organismo modello: la Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta. Questi tre eminenti scienziati si sono aggiudicati il premio Nobel per i loro importantissimi lavori nell’ambito dello studio dei ritmi circadiani e, per citare Thomas Perlmann, segretario del comitato del premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina, per aver contribuito a “spiegare come piante, animali ed esseri umani adattano i loro ritmi biologici in modo da sincronizzarli al moto di rivoluzione terrestre”. Tutti gli organismi viventi possiedono un orologio interno noto come “ritmo circadiano” che, controllando molte funzioni biologiche come i livelli ormonali, i cicli di sonno-veglia, la temperatura corporea, il battito cardiaco, la pressione sanguigna, il metabolismo e il comportamento, contribuisce ad adattare la loro fisiologia ai cicli di luce giornalieri associati con la rotazione terrestre. Questo orologio ha un impatto importante sulla sopravvivenza degli organismi in quanto gli dà la capacità di sapersi adeguare ai cambiamenti quotidiani dell’ambiente e di modificare il loro comportamento e la loro fisiologia in base al momento della giornata. I ritmi circadiani vanno incontro a quotidiani assestamenti così come ad aggiustamenti stagionali. 

Jeffrey Hall, Michael Rosbash e Michael Young hanno contribuito in maniera significativa allo sviluppo del campo della cronobiologia, ovvero dello studio dei fenomeni ciclici negli organismi viventi e, grazie alla scoperta dei meccanismi molecolari che regolano l’orologio biologico nel moscerino della frutta, hanno aperto la strada a studi nei mammiferi e nell’uomo. In particolare, i tre scienziati hanno identificato il gene period, che è il cuore dei meccanismi molecolari che regolano i ritmi circadiani. Hall e Rosbash hanno chiarito che la proteina PER, codificata dal gene period, oscilla nell’arco delle 24 ore accumulandosi durante la notte e venendo degradata durante il giorno, grazie ad un feed-back loop negativo mediato da PER stessa (auto-inibizione). Young dal canto suo ha contribuito ad arricchire la comprensione di questo meccanismo grazie alla scoperta del gene timeless, codificante la proteina TIM, e richiesto per un ciclo circadiano normale. TIM infatti è in grado di legare PER insieme alla quale inibisce il gene period, contribuendo così al feedback loop negativo che dà vita all’oscillazione quotidiana di PER. Young ha identificato anche il gene doubletime, codificante la proteina DBT, una kinasi che, inducendo la degradazione di PER, ne ritarda l’accumulo finché PER non è associato a TIM, aggiungendo così un ulteriore livello di complessità al circuito, necessario per aggiustare le oscillazioni di PER in maniera il più precisa possibile. I tre vincitori del Nobel hanno poi negli anni identificato altre proteine necessarie all’attivazione del gene period. 

Queste fondamentali scoperte sono diventate la base di partenza per poi studiare e comprendere i meccanismi molecolari che regolano i ritmi circadiani nei mammiferi. Infatti anche molti aspetti della nostra fisiologia sono regolati dall’orologio biologico e le sue alterazioni comportano squilibri con conseguenze più o meno gravi sulla nostra salute. Basti pensare come, in epoca di frequenti viaggi aerei attraverso fusi orari,  il fenomeno del jet-lag  non è altro che un’ alterazione dei nostri normali ritmi circadiani e comporta notevoli disagi. D’altra parte, alterazioni croniche dei ritmi circadiani, come per esempio nel caso di professioni che richiedono frequenti turni notturni,  possono causare squilibri che nel lungo termine portano ad un aumentato rischio di malattie cardiovascolari, diabete e obesità. Infine diverse patologie neurodegenerative, incluse le più diffuse come il morbo di Alzheimer e di Parkinson, sono accompagnate da disturbi del sonno e del ritmo di sonno-veglia cosi come, nel caso del Parkinson, da fluttuazioni dei sintomi a seconda dei momenti della giornata. Tutto ciò suggerisce come la conoscenza dei meccanismi molecolari che regolano i ritmi circadiani potrebbe contribuire al miglioramento delle condizioni di vita di molte persone e allo sviluppo di migliori protocolli terapeutici per patologie in cui si registrano fluttuazioni quotidiane dei sintomi.

Il Nobel per la Medicina di quest’anno, a mio parere, porta anche un altro messaggio molto importante ed è l’importanza della ricerca di base e dell’uso di organismi modello, apparentemente molto lontani dalle domande che riguardano la salute umana. In tempi in cui i fondi per la ricerca di base sono in continuo calo, non solo nel nostro paese ma anche all’estero, e in cui si tende a considerare di valore soltanto gli studi che puntano a curare il cancro o l’Alzheimer, il messaggio dell’accademia dei Nobel risuona ancora più forte e importante. La ricerca destinata a portare grandi avanzamenti per la salute dell’uomo, molto spesso se non sempre, parte da studi apparentemente molto “di base” o in organismi modello come la Drosophila. Inoltre sono molte le malattie di cui noi ignoriamo ancora le precise cause genetiche o le alterazioni molecolari e che quindi, prima di poter puntare allo sviluppo di terapie mirate, ci richiedono di fare un passo indietro e di studiarne la biologia di base. Fino ad oggi gli studi condotti sul moscerino della frutta hanno portato a sei premi Nobel per la Medicina, tutti per studi in ambiti di biologia apparentemente di base, ma che hanno portato alla scoperta di geni come Notch, Wnt e molti altri che sono coinvolti in numerose patologie umane. Quindi quest’anno accolgo la notizia del premio Nobel per la Medicina con un pizzico di gioia in più e con la speranza che l’importanza della ricerca di base e l’assoluta necessità di maggiori fondi in questo ambito tornino ad essere al centro dei dibattiti scientifici e, perché no, politici. 

Il 24 ottobre scorso si è svolto a Trento, presso l’aula Kessler del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, l’incontro di presentazione del Premio Nobel per la Medicina 2017 assegnato a Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young. Relatrice: Alessia Soldano, Centro di Biologia Integrata (CIBIO), Università di Trento