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SOCIETÀ CIVILE, VOLONTARIATO E INTERESSI PUBBLICI

L’analisi sociologica dei processi collettivi: una ricerca svolta su reti di organizzazioni nel Regno Unito. Ce ne parla Mario Diani

2 dicembre 2015
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Società civile, volontariato, interessi collettivi, termini sempre più utilizzati dai media, sono oggetto della riflessione e della ricerca sociologica. Ne abbiamo parlato con il sociologo Mario Diani, che nel suo ultimo libro (The Cement of Civil Society, Cambridge University Press, 2015) si è occupato di queste tematiche conducendo un’analisi sulla struttura della società civile in Gran Bretagna. Il volume è stato presentato lo scorso agosto a Praga al congresso della European Sociological Association.
Mario Diani, professore ordinario di Sociologia generale dell’Università di Trento, è uno dei pochissimi scienziati sociali presenti nella lista dei 3000 Top Italian Scientists (TIS) della VIA-Academy, un censimento degli studiosi italiani di maggior impatto, misurato con il valore h-index basato su produttività e impatto della produzione culturale o scientifica in relazione alle citazioni ricevute.

Professor Diani, cosa si intende per “società civile”?

L’espressione "società civile" può assumere significati diversi. Si può intendere con essa uno spazio nel quale diverse posizioni e visioni del mondo sono negoziate e composte, oppure un insieme di principi normativi e di comportamenti di "civiltà", e infine una serie di attività collettive finalizzate alla produzione di beni pubblici. Nel mio lavoro di ricerca mi sono focalizzato soprattutto su questa terza accezione del termine. Senza, però, darle una connotazione positiva o negativa, anche perché ciò che è buono o moralmente auspicabile per alcuni può non esserlo per altri. Quello che mi interessava era analizzare come i gruppi e le associazioni che vogliono perseguire obiettivi pubblici riescono, oppure non riescono, a lavorare insieme. 

Lei si è occupato nel suo lavoro di reti di organizzazioni.

Una ricerca che ho svolto su due città britanniche, Glasgow e Bristol, analizza le reti di organizzazioni di volontariato che rappresentano interessi pubblici o collettivi, tra i quali la protezione e la conservazione dell'ambiente, i diritti delle minoranze e dei migranti, la disuguaglianza, i problemi dei consumatori e la giustizia globale. Ho usato il concetto di modes of coordination (che potremmo tradurre come "modi di coordinamento") per illustrare la varietà di forme in cui le organizzazioni di cittadini possono relazionarsi tra loro. 

Queste reti tendono a cambiare o sono stabili nel tempo?

Le reti sono certamente più fluide rispetto ai modelli di organizzazione burocratica che hanno caratterizzato gran parte della società industriale; anche per questa ragione rappresentano una modalità interessante per far collaborare persone che diffidano della rigidità delle organizzazioni gerarchiche. Molto spesso, piccoli gruppi preferiscono in effetti mantenere la loro autonomia e collaborare attraverso legami di rete, piuttosto che fondersi o avere un'organizzazione più formale. Allo stesso tempo, però, credo che la fluidità delle reti sia stata sopravvalutata. Sia la mia ricerca sul Regno Unito che un mio lavoro precedente sull’ambientalismo in Italia suggeriscono che le connessioni di rete sono spesso abbastanza stabili nel tempo. In altre parole, ripetute interazioni possono - e spesso lo fanno - generare forti legami tra i gruppi e le organizzazioni, anche se non sono formalizzate.

Internet ha un ruolo in queste dinamiche?

Molto è stato scritto di recente sul fatto che Internet consenta alle persone di coordinare e promuovere l'azione collettiva al di fuori di ogni organizzazione, si pensi ad esempio alla cosiddetta "rivoluzione Facebook" del 2011in Egitto. Non sottovaluto il valore di queste argomentazioni. Credo però che la comunicazione elettronica sia più efficace nel breve periodo, ad esempio facilitando campagne molto intense su obiettivi specifici, ma che abbia minori effetti a lungo termine. Come suggerisce del resto anche l’evoluzione del processo politico in Egitto, dove i protagonisti principali sono state due organizzazioni fortemente gerarchiche e burocratizzate come i Fratelli Musulmani e l’esercito.

Qual è il rapporto tra movimenti sociali e società civile?

I movimenti sociali sono spesso trattati come sinonimo di società civile, ma questo non è appropriato. Nella mia analisi sono partito dal concetto di società civile per avere un’ottica più ampia sui diversi attori che si mobilitano su questioni collettive. Ho in particolare evitato di associare il movimento sociale, visto come forma particolare di coordinamento dell’azione collettiva, ai soli gruppi radicali. Ho preferito invece soffermarmi sui modi in cui attori differenziati possano in certe condizioni collaborare in modo sistematico e condividere un certo livello di identità. Nelle città del Regno Unito ho riscontrato che ampi modelli di collaborazione e di solidarietà reciproca spesso coinvolgono partnership inaspettate tra attori con caratteristiche molto diverse.

C’è una conclusione che può trarre da questo suo lavoro di ricerca?

L'idea che sviluppo nel mio ultimo libro è che abbiamo bisogno di strumenti di analisi che ci permettano di andare al di là di quello che io chiamo visioni "aggregative" dei processi collettivi. Non dobbiamo ridurci ad analizzare collettività come se fossero la pura somma delle proprietà degli attori che operano al loro interno. Dobbiamo invece esplorare, più correttamente, come i diversi tipi di attori si relazionano tra loro. Ad esempio, Bristol e Glasgow hanno la stessa proporzione di gruppi disposti ad inserire qualche forma radicale di protesta nel loro repertorio di azione, ma nel primo non lavorano insieme, mentre nel secondo caso lo fanno. Questo è ciò che dà a Glasgow la sua reputazione di città più radicale.
Naturalmente, in teoria siamo tutti d'accordo che i fenomeni collettivi siano qualcosa di più rispetto alla somma dei loro componenti e che dovrebbero essere studiati in modo relazionale, piuttosto che da un punto di vista "aggregativo"; ma tradurre questo principio in ricerca empirica non è facile. Io ho cercato di dare un piccolo contributo in questa direzione.