Ana Lucia Dos Santos Wilson, Abdellah e Martina Corradini ©UniTrento - Ph. Pierluigi Cattani Faggion

Storie

Chiedi in portineria

Storie ed emozioni dietro il bancone raccolte a Giurisprudenza

3 ottobre 2023
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di Matteo Rossaro e Saša Ilic
Staff della Facoltà di Giurisprudenza

Iniziano le lezioni, riprende la frenesia fra i corridoi dell’Ateneo. Tra lauree, aule che non si trovano e mille piccoli e grandi problemi da risolvere, sono una settantina le persone che ogni giorno lavorano nelle 18 portinerie dell’Università di Trento. Lo staff della Facoltà di Giurisprudenza svela a UniTrentoMag le storie di chi ogni giorno si prende cura che tutto funzioni al meglio nella loro sede.

Per inaugurare la ripresa delle attività all’interno degli edifici di Giurisprudenza abbiamo pensato di dare la parola ai nostri addetti alla Reception. Chi meglio di loro conosce gli angoli più nascosti della Facoltà, le dinamiche che si sviluppano nei suoi corridoi, la sua storia? Sono Abdellah Menari, Martina Corradini e Ana Lucia Dos Santos Wilson. Impegnati ogni giorno nell’assicurare il corretto funzionamento della grande macchina della didattica e della ricerca, noi li consideriamo quasi come angeli custodi della Facoltà. Abbiamo chiesto loro alcune dritte per i nuovi studenti e studentesse e come si relazionano con chi entra in Facoltà.

Abdellah, raccontaci il percorso che ti ha portato a lavorare in Facoltà.

«Ho cominciato come addetto alla Reception nel 2010 al Centro Linguistico di Ateneo. Mi sono poi spostato per due anni a Povo fino a quando è arrivata la proposta di trasferirmi a Giurisprudenza. Naturalmente ho accettato, senza esitazione e oggi posso dirlo, senza rimpianti».

Cosa ti piace di questo edificio e qual è la parte preferita del tuo lavoro?

«Il posto più bello della Facoltà per me è il cortile esterno, dove sono stati sistemati tavoli e panchine. Ma anche la Sala conferenze, o l’Aula 3 che, secondo me, rappresenta l’essenza di Giurisprudenza. Quando entra qualcuno per la prima volta e capiamo che serve mostrare un po’ la Facoltà, di solito cominciamo con le aule 1 e 2. Agli studenti del primo anno interessano sempre molto, visto che i corsi iniziali si tengono proprio lì. Le definiamo le nostre “aule di punta".
La Facoltà è bella quando è piena. Vi consiglio di visitarla il mercoledì, il giorno in cui ci sono più attività, il giorno più affollato. Come orario direi tra le 9 e le 11, così si può vedere tutto.
Agli studenti consiglio spesso posti dove mettersi a studiare. Qui a Giurisprudenza abbiamo abbastanza spazio per lo studio individuale, oltre che per le lezioni e la didattica. Ci sono più di 230 posti. Quindi più che cercare spazio altrove, consiglierei di fermarsi in Facoltà. Anche perché studiare qui consente anche di vivere la Facoltà, di farlo nel modo giusto. Cioè fare conoscenze, fare comunità, prendersi il tempo per lo studio ma anche per conoscere la Facoltà, per viverla come realtà.
Il bello del mio lavoro sta nell’essere sempre a contatto con gli studenti e con le persone. Sono in mezzo a loro, e questo mi piace molto. È divertente discutere di tematiche sempre diverse, rispondere a domande ogni volta diverse e tentare di risolvere problemi a cui non si era pensato prima. È molto stimolante.
Negli anni il lavoro più o meno è sempre uguale. Forse si sono aggiunte cose nuove, nuove tecnologie, più studenti, più lezioni. Le attività sono aumentate molto, ma fortunatamente abbiamo nuove aule, come quelle dell’ex Cte».

Quali sono le caratteristiche che ti colpiscono negli studenti e nei docenti di Giurisprudenza?

«Gli studenti sono rispettosi, si impegnano. E sono anche simpatici. Rispecchiano un po’ i docenti. Sono anche loro molto rispettosi. Sanno come chiedere... forse perché sono giuristi!».

Martina, come sei arrivata qui e cosa ricordi della tua prima volta in Facoltà?

«Quando sono arrivata ho trovato una sana confusione di studenti che riempivano sale e corridoi, spazi comuni. Per me questa era una gran novità perché provenivo da un contesto completamente differente.
Ho iniziato a lavorare in Università nel 2007, nella portineria del Rettorato, che ai tempi si trovava in via Belenzani. Poi nel 2011, rientrata dalla maternità, mi hanno proposto Giurisprudenza e ho accettato».

Cosa vorresti che le persone capissero del lavoro di portineria?

«Penso che il lavoro in portineria sia fatto di tante cose, non solo di un controllo dell’edificio o di custodia. Facciamo tante cose diverse, prepariamo le aule, accogliamo gli studenti, diamo informazioni. È un lavoro fatto di tante sfaccettature. Anche se questo a volte passa un po’ inosservato, noi ci siamo sempre, dall’apertura alla chiusura e anche il sabato mattina.
Il mio lavoro da quando sono arrivata è stato sostanzialmente continuativo, sono cambiati i ragazzi e sono cresciuta con loro. La parte che preferisco è proprio il contatto che si crea con loro. Anche nella collaborazione con i ragazzi 150 ore si crea sempre un bellissimo rapporto, per cui si ha modo di vivere la Facoltà anche tramite le loro emozioni».

Qual è secondo te la zona più bella della Facoltà?

«La zona più bella è il foyer, perché lì gli studenti hanno lo spazio per studiare ma anche lo spazio per fare due chiacchiere sotto voce, o comunque per incontrarsi. È forse lo spazio che mostrerei per primo, insieme all’aula 1 e 2, e l’aula 3 che è nuova. Ma è difficile scegliere un posto solo. Tutti gli spazi, le aule, i corridoi della Facoltà sono importanti e belli da conoscere. E gli ingressi diversi hanno funzioni diverse. Direi che abbiamo la parte di via Verdi che è quella un po’ più vissuta, la più datata. Invece la parte nuova è quella dove gli studenti, grazie al foyer, si incontrano più spesso. Lì c’è più tempo per chiacchierare e conoscersi.
A volte mi capita anche di dare suggerimenti sui dintorni della Facoltà, magari a chi viene a Trento per la prima volta. Ad esempio li indirizzo verso Le Albere, il Muse, o magari consiglio qualche locale qua in giro, adatti alla loro età. E poi sempre Piazza Duomo e comunque il centro, con la sua bellissima piazza».

In che modo gli studenti e lo staff possono vivono questi spazi?

«Per mantenere spazi così belli è importante continuare a rispettare i luoghi che frequentiamo tenendoli puliti. Basta semplicemente buttare via una carta o spegnere la sigaretta nel posacenere. È un piccolo gesto di grande aiuto».

Che rapporto hai con gli studenti? E cosa consiglieresti loro?

«Gli studenti sono solitamente educati e rispettosi. Non ho mai avuto nessun tipo di problema. Sono molto studiosi e sono sempre molto eleganti. Diciamo che l’abbigliamento è sempre molto curato. Li riconosci. A loro consiglierei di essere sempre se stessi, di venire qui per studiare ma anche per integrarsi con gli altri e riuscire a creare buoni rapporti. La vita è fatta di studio ma non solo di questo».

E con i docenti come va?

«Anche loro con noi sono sempre molto gentili, rispettosi. Negli anni si è creato con tutti un bel rapporto. Sono anche pignoli, come è giusto che sia in un rapporto professionale».

Com’è cambiata nel tempo la città dal tuo punto di osservazione? E la Facoltà?

«La città si è riempita di studenti. Quando iniziano le lezioni la città cambia tutti gli anni, si riempie di studenti e diventa viva. Lo stesso vale per la Facoltà. Ma se si vogliono esplorare i luoghi in silenzio e in tranquillità vale la pena di esplorarla la mattina presto prima delle 9, quando tutti devono ancora arrivare oppure il pomeriggio tardi. Se invece si vuole venire qui per vivere proprio la vita universitaria, direi che dalle 9 alle 17 ogni momento è buono per respirare l’atmosfera studentesca. E poi passate a salutarci in portineria: questo servizio è una cosa che le altre università ci invidiano!».

Ana Lucia, tu invece cosa ricordi della tua prima volta in Facoltà? Qual è il percorso che ti ha portata a lavorare qui?

«Era il 2003. Allora ero presidente di un’associazione di mediatori culturali e tramite il Consorzio Lavoro-Ambiente ho fatto richiesta di inviare curricula alle portinerie, perché all’epoca l’Ateneo voleva inserire nel proprio organico persone di varie lingue e nazionalità per dare un’apertura all’integrazione. Poi sono stata chiamata per un colloquio e sono stata presa per lavorare qui presso la Facoltà di Giurisprudenza».

Cosa è per te il lavoro di portineria?

«Mi piacerebbe che si capisse che il lavoro della portineria non è soltanto aprire e chiudere l’Università, ma che c’è molto altro lavoro dietro al front office. Abbiamo la gestione delle aule, l’accoglienza, la risoluzione di imprevisti, cose che tante persone non sanno».

E cosa ti piace di più di questo edificio?

«Io sono arrivata qui tanto tempo fa quando esisteva solo la parte di Via Verdi, e sono un po’ “all’antica”. Sono quindi molto affezionata alla Sala Giustino D’Orazio perché secondo me è bellissima ed è nella parte della Facoltà che è rimasta come era in origine, che ne conserva la storia.
Bello esplorare la Facoltà al sabato mattina, perché ci si può salutare in tranquillità. Invece in settimana i pomeriggi sono sempre tranquilli, ma se uno ha voglia di confrontarsi con l’atmosfera, allora la mattina è il momento migliore.
Agli studenti appena arrivati farei invece visitare la Moot Court, che è un punto molto importante all’interno della Facoltà. Un’aula ideata bene per simulare i dibattiti. Poi anche la nuova Sala Conferenze Fulvio Zuelli, perché credo sia importante che vedano che la Facoltà è cresciuta e ha del grande potenziale. Ma la Facoltà nel suo insieme è tutta molto bella. Poi si trova in una posizione strategica per visitare la città.
A chi viene qui per la prima volta consiglio assolutamente di andare in piazza Duomo a vedere la fontana del Tridente e il Museo diocesano accanto alla Torre. Poi se uno vuole allargarsi un po’ di più c’è il Muse. Queste sono le cose vicine, ma la città ha tanto da offrire.
Negli anni ho visto la Facoltà crescere in meglio. Lo stesso edificio, ad esempio: all’inizio c’era solo il lato di via Verdi e poi è stata aggiunta un’altra ala. Questo ha comportato anche una crescita del lavoro, che si è intensificato. Anche la città sta crescendo, con la BUC e il MUSE, ad esempio. Sono tutte cose che fanno arricchire anche culturalmente la città e fanno venire voglia anche agli studenti di trasferirsi a Trento».

In che modo si può contribuire a mantenere la nostra Facoltà in perfetta forma?

«Secondo me fa tanto la comunicazione. Bisognerebbe comunicare un po’ di più e avere uno scambio di informazioni. Attraverso la comunicazione passa sia quello che funziona sia quello che è migliorabile. In questo modo si può lavorare in modo costruttivo. Tutto questo secondo me è un arricchimento. Per quanto riguarda lo staff, sarebbe utile conoscere ancora meglio la Facoltà, entrare anche dentro le sale regia e conoscere ogni angolo».

Qual è la parte preferita del tuo lavoro?

«La parte più bella per me è quando tornano a trovarci i ragazzi che si sono laureati. Passano gli anni, loro crescono, ma tornano qua da noi. È una grande soddisfazione vedere che si sono trovati bene a Trento. Questo ritorno vuol dire che per loro questa è stata un po’ una casa, e questo mi dà una grande soddisfazione. Così come vederli crescere e vedere che il legame continua».

Avete un forte legame con gli studenti…

«Sì, ogni studente ha un suo modo diverso e unico di affrontare il proprio percorso, ognuno ha le sue caratteristiche.
Il consiglio a quelli che vengono in Facoltà per la prima volta è quello di non avere paure né timori, ma di venire in portineria a trovarci perché siamo qua apposta per loro e per accoglierli. La Facoltà sarà una specie di casa per tanti anni per loro, e il primo approccio con noi dovrebbe essere rilassante. Se passano in portineria saranno i benvenuti.
Ma anche con i docenti, nei tanti anni che sono qua, si è creato in generale un rapporto davvero bello. C’è rispetto nella comunicazione nel momento del lavoro c’è professionalità, ma anche amicizia. Fin da quando sono arrivata in Facoltà mi sono sentita accolta dallo staff, e soprattutto da Giorgio Faitelli, che allora ne faceva parte. Mi sento a casa».