Cinzia Menapace nel laboratorio di progettazione meccanica e metallurgia al Dii ©UniTrento Ph.Pierluigi Cattani Faggion

Storie

Si può fare. Contro ogni pregiudizio

In occasione della Giornata delle donne nella scienza, Cinzia Menapace (Dii) racconta la sua storia, alla scoperta dei metalli

8 febbraio 2024
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Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Lo dimostrano i dati: secondo l’ultimo rapporto Anvur 2023 - Analisi di genere nelle università italiane le ragazze immatricolate nelle materie Stem (discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche) nell’anno accademico 2021/2022 sono solo il 39%.  Anche all’Università di Trento secondo l’ultimo Rapporto sulle pari opportunità in Ateneo si riscontra uno squilibrio nella composizione di genere tra le discipline scientifico-tecnologiche e le scienze umanistiche e sociali. L’11 febbraio è la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza. UniTrentoMag ha raccolto l’esperienza di Cinzia Menapace, docente di Metallurgia al Dipartimento di Ingegneria industriale. È l’esempio di chi è riuscita ad abbattere quegli stereotipi che ancora oggi accompagnano le donne nella carriera scientifica e che possono rappresentare un ostacolo alla loro piena realizzazione.

L’entusiasmo nel raccontare il suo lavoro è travolgente. Ama trascorrere ore a osservare leghe di rame al microscopio, a indagare i motivi che hanno portato alla rottura di un bullone di acciaio. Come in una escape room dove bisogna risolvere un mistero. Si definisce, non a caso, una “detective dei metalli”, anche se al liceo i voti più alti li otteneva in latino. Un percorso faticoso il suo, fatto di tanto studio, passione, curiosità, giochi di equilibrio e incastri tra gli impegni all’Università e la famiglia. Con lei andiamo subito al cuore della questione.

Professoressa, quante donne ci sono nel Dipartimento di ingegneria industriale dell'Università di Trento?

«Le donne non sono tante. Le ragazze immatricolate nell’ultimo anno sono il 15% del totale. Ma sono in aumento. L’anno prima erano il 12%. Anche la percentuale delle docenti è in crescita.  In tutto saremo una decina. La metà delle colleghe ha meno di 40 anni. Alcune di loro sono arrivate con il rientro dei cervelli dall’estero. In Italia la gavetta e il percorso accademico sono molto lunghi. Una mia collega italiana in Svezia era direttrice di Dipartimento a 35 anni.  Il nostro, oltretutto, è un Dipartimento che anche culturalmente non si presta molto alla presenza femminile. La figura dell’ingegnere viene sempre associata all’uomo, forse per un retaggio culturale. Ai miei anni poche ragazze sceglievano ingegneria. Per me è stata invece una grande sfida. Mi dicevano che avrei fatto più fatica nel mondo del lavoro in quanto donna. Ma io volevo dimostrare a tutti costi che potevo farcela».

Come è nato l’interesse per le materie scientifiche? Quale è stato il suo percorso?

«Il mio dottorato di ricerca è in Ingegneria metallurgica. Studio l’ingegneria dei materiali e mi occupo di metalli. Tutto è nato come una sfida, ma la mia scelta è stata guidata da una grande curiosità. Mi piace guardare l’ignoto, conoscere le cose nel loro piccolo. Del mio lavoro mi piace molto la parte di microscopia. Osservare cose che non possiamo vedere ad occhio nudo per capire perché si comportano in un certo modo o perché non funzionano bene. Ogni tanto mi chiedono “Ma perché fai proprio la metallurgista?”. In questi casi si pensa all’acciaio, alle fonderie, e quindi all’uomo. Io rispondo che se al microscopio si guarda un batterio, una vena, oppure un campioncino di una lega di titanio o polveri di nichel come faccio io, non cambia molto. Però la donna può essere più biologa, meno metallurgista. In realtà il lavoro che si fa è simile: si guardano le cose come sono fatte ad alto ingrandimento per capirle e spiegarle. Oltre alla ricerca applicata mi piace molto anche l’insegnamento. E noto che le studentesse di solito sono più studiose, meglio organizzate. Hanno le capacità e le possibilità per arrivare dove vogliono. Ed è questo il messaggio che trasmetto alle ragazze che incontro nelle scuole come delegata per l’orientamento del mio Dipartimento. Le alunne mi raccontano dei loro timori di non essere all’altezza. Io dico loro invece che si può fare. Che possono diventare delle bravissime ingegnere».

Quali sono secondo lei gli stereotipi di genere che ancora oggi condizionano l’accesso delle donne alla carriera scientifica? Le donne sono meno visibili nelle pubblicazioni scientifiche, negli articoli, sui media.

«Molti dicono che è un lavoro faticoso che una donna non può fare. Certo, c’è problema di conciliazione tra la carriera e le scelte familiari. Io sono stata fortunata perché ho avuto un grande aiuto da parte dei nonni e di mio marito, che mi sostiene nel mio percorso professionale. Nella mia famiglia siamo una squadra. Ma è vero che per una donna il carico di impegni è più pesante. Se guardiamo ai parametri con i quali veniamo giudicate per la carriera accademica - il numero delle pubblicazioni scientifiche e di paper scritti - la produzione cala quando si hanno figli piccoli. Cosa che non succede ai colleghi maschi. I cinque mesi di maternità obbligatoria non sono sufficienti per un rientro sereno al lavoro. A fronte di questa fatica enorme, succede che la donna metta da parte la passione per la carriera accademica. Semplicemente perché non ce la fa».

Qual è il contributo che l’Università può dare per agevolare l’accesso alle ragazze alle materie scientifiche?

«Io direi che già indicare tre donne come delegate all’orientamento, come nel caso del mio Dipartimento, è un’ottima scelta. Abbiamo tante ricercatrici che vanno nelle scuole a raccontare il loro percorso, che accolgono le future matricole e le scolaresche agli open day, che guidano le visite ai laboratori. Testimoniano che noi donne ci siamo. Possono essere un esempio per le altre ragazze».  

Che consiglio darebbe alle ragazze alle prese con la scelta del proprio futuro?

«Di non lasciarsi spaventare dalle condizioni esterne, da ciò che è nuovo e che sembra difficile. Di non mollare, ma di rimboccarsi le maniche. Gli ostacoli si affrontano, un pezzettino alla volta. E si superano con il metodo, la dedizione, lo studio».