Un momento della premiazione
Foto: Alessio Coser, archivio Università di Trento

Vita universitaria

IL SALARIO MINIMO LEGALE NEL JOBS ACT DEL GOVERNO

I premi CGIL-CISL-UIL del Trentino alle migliori tesi di laurea sul mondo del lavoro, XII edizione

3 giugno 2014
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Giorgio Bolego
di Giorgio Bolego
Professore associato di diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

La cerimonia di consegna dei premi CGIL-CISL-UIL del Trentino per le migliori tesi di laurea sul mondo del lavoro, svoltasi quest’anno presso il Dipartimento di Economia e Management, ha dato l’occasione per discutere sull’opportunità, o no, dell’introduzione nel nostro paese del salario minimo legale. Si tratta di un tema da sempre presente nel dibattito e recentemente rilanciato dalla proposta di legge sull’ennesima riforma del mercato del lavoro (jobs act). Infatti, il disegno di legge delega dell’attuale governo Renzi prevede, nel contesto della modifica della disciplina dei contratti di lavoro flessibili, una misura di protezione dei lavoratori, che si concretizza nella fissazione di un salario minimo al di sotto del quale non sarebbe possibile negoziare.

Il tema non è nuovo; anzi se ne discute fin dagli inizi del secolo scorso ed è stato oggetto di dibattito in seno all’Assemblea costituente, ove la proposta di costituzionalizzare una riserva di legge in materia di salario minimo vide l’opposizione di Giuseppe Di Vittorio, convinto che tale soluzione avrebbe compromesso il ruolo del sindacato, sottraendo una delle materie più importanti alla contrattazione collettiva. La tesi favorevole a tale soluzione ha visto il suo minimo storico nel corso degli anni Settanta del secolo scorso, cioè con la promulgazione dello Statuto dei lavoratori e la valorizzazione del ruolo delle organizzazioni sindacali. Su questa linea si è posto Franco Ianeselli (segretario confederale CGIL del Trentino), secondo il quale nel nostro paese un salario minimo già esiste ed è quello previsto dai contratti collettivi nazionali. 

Tuttavia, il problema è che, in Italia, il contratto collettivo non ha efficacia erga omnes e, quindi, non trova applicazione nei confronti di tutti i lavoratori, ma soltanto di coloro che sono iscritti alle organizzazioni sindacali che l’hanno sottoscritto. A ciò si deve aggiungere che in taluni settori, in particolare negli appalti labour intensive, la stessa contrattazione collettiva tende a negoziare al ribasso per non cedere occasioni di lavoro alle imprese concorrenti, in larga parte provenienti dall’Europa dell’est. Altrettanto avviene nei cosiddetti settori maturi, ove le imprese italiane subiscono la concorrenza delle aziende stanziate in paesi con un costo del lavoro più basso.

In tale contesto, la fissazione di un salario minimo presenta degli svantaggi (marginalizzazione del sindacato, incentivazione alla negoziazione al ribasso, fuga dalla regolarizzazione dei rapporti di lavoro), ma anche dei vantaggi quali la fissazione, per riprendere il linguaggio figurativo di Paola Villa [docente esperta in economia del lavoro], di un “pavimento” volto ad impedire che le condizioni di lavoro, almeno sotto il profilo retributivo, scendano al di sotto della tollerabilità. Il salario minimo legale è, dunque, “un faro che potrebbe gettare una luce sullo sfruttamento dei lavoratori deboli”.

Tale misura, che sicuramente condiziona la libertà delle organizzazioni sindacali, può inoltre risultare utile per scongiurare le forme di dumping sociale nell’ambito degli appalti pubblici che, paradossalmente, sono state agevolate da recenti pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Tuttavia, nel concludere i lavori, Lorenzo Pomini (segretario CISL del Trentino) ha puntualizzato che nella proposta di legge del Governo Renzi non si parla, propriamente, di un salario minimo legale, ma di un “salario minimo” che potrebbe essere stabilito anche da una fonte diversa rispetto a quella legale. La proposta governativa rappresenterebbe, dunque, un messaggio mediatico, che propone una soluzione non ben definita. Per Silvia Bertola (segretaria provinciale UIL FPL Enti Locali) il rischio è che l’introduzione di un salario minimo legale conduca ad un ulteriore livellamento verso il basso delle retribuzioni.

Il problema, come ha recentemente sostenuto Paola Villa, sta nella fissazione del quantum, cioè nella determinazione dell’ammontare del salario minimo, che deve essere abbastanza alto da garantire un’esistenza libera e dignitosa, ma sufficientemente basso da scongiurare il dumping sociale delle imprese dei nuovi stati europei. Un salario di equilibrio, dunque, ma non determinato dall’interagire della domanda e dell’offerta, bensì dal bilanciamento tra esigenze sociali e istanze economiche realizzato a livello parlamentare.