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ARCHITETTURA PER LA SALUTE

In Ateneo un convegno per approfondire il tema del rapporto fra spazio e uomo nella progettazione dei luoghi di cura

31 maggio 2016
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ARCHITETTURA PER LA SALUTE
ARCHITETTURA PER LA SALUTE
di Rossano Albatici e Sandro Aita
Rispettivamente professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Civile Ambientale e Meccanica (DICAM) dell’Università di Trento e architetto libero professionista, Rovereto.

La sostenibilità nel campo delle costruzioni è spesso intesa in termini di efficienza energetica. Le direttive europee succedutesi nel tempo, fino alla recente 2010/31/UE (NZeb – Nearly Zero Energy Buildings), recepita in Italia nell’ottobre 2015, hanno generato un corpus normativo importante, dove gli aspetti tecnico-funzionali degli edifici sono stati ormai quasi completamente espressi nella loro complessità. Il tema del benessere negli spazi interni dove, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, passiamo più del 90% della vita, è stato invece a lungo trascurato, fino a una decina d’anni fa quando nuove ricerche ed esperienze di settore hanno introdotto un rinnovato approccio al benessere, anche in risposta a edifici sempre più “meccanizzati ed ermetici”, spesso virtuosi energeticamente ma poco dal punto di vista ambientale.

Ora, nei recenti bandi europei H2020 è comparsa una “nuova” parola, health, che suggerisce l’avvio di una terza fase in architettura: dopo energia e comfort, la salute. In questo senso, la progettazione degli spazi di vita e lavoro va oltre i semplici aspetti funzionali, tecnici, fisiologici, per abbracciare una visione della società e dell’architettura più olistica, dove l’uomo è considerato nel suo insieme fisico, emotivo e spirituale. In particolare, anche nella progettazione di grandi opere di edilizia pubblica come gli ospedali, si sviluppa una maggiore attenzione ad aspetti di tipo qualitativo che grande influenza hanno sul benessere e sulla salute della persona, come le forme dello spazio, l’uso dei colori e della luce naturale, l’inserimento del verde e dell’arte negli ambienti, la qualità delle viste verso l’esterno (per citarne solo alcuni). Lo stesso Piano per la salute del Trentino 2015-2025, come ha riferito l’Assessore alla salute e politiche sociali della Provincia autonoma di Trento Luca Zeni, intervenuto in apertura di convegno, va nella direzione di una nuova filosofia di fondo: l’attenzione passa dalla malattia al malato (come persona, a tutto tondo), e perciò i luoghi di cura vanno concepiti per una maggiore umanizzazione (anche rivolta agli stessi operatori, oltre che agli utenti del servizio).

In questo complesso panorama, il convegno “Architettura per la salute” ha inteso offrire un momento di riflessione, dibattito e confronto su un tema che tocca ciascuno di noi nel proprio quotidiano, proponendo una serie di interventi diversi, ma tutti collegati da un filo rosso: la rinnovata attenzione al rapporto fra spazio e uomo, per passare da un’architettura “di cura” a un’architettura “che cura”.
 
Un tema importante, affrontato nella tavola rotonda conclusiva, è stato il significato di “progettazione consapevole”. Consapevolezza, ha detto l’architetto Stefano Andi, è la capacità di portare a coscienza l’esperienza diretta dei fenomeni e cercare di identificarsi con le persone alle quali l’architettura è destinata. Non è solo empatia, ma conoscenza antropologica estesa, di tipo scientifico-spirituale dell’essere umano, secondo il messaggio di Rudolf Steiner, pensatore austriaco degli inizi del XX secolo e fondatore dell’antroposofia.

Il professor Romano del Nord ha affrontato il tema sotto il profilo operativo: ai progettisti è richiesto innanzitutto di soddisfare le attese della collettività, i suoi fabbisogni dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo e questo può avvenire attraverso percorsi partecipativi, con un attento “ascolto” (che riduce al contempo i costi!). Consapevolezza è perciò la capacità di dare risposte nel contesto della competenza che viene attribuita al progettista da parte del committente. In questo senso, è richiesto anche che essa sia “illuminata”, da parte di tutti gli organi di governo, in quanto le scelte che vengono fatte e che poi hanno ricadute concrete in economia, qualità della vita, aspetti infrastrutturali e territoriali, sono definite a monte della soluzione progettuale. Le fasi fondamentali sono quindi quelle iniziali del processo: è lì che bisogna agire con la cultura della presenza, dell’ascolto, dello scambio di informazioni, della comunicazione e del dialogo costruttivo rispetto ai risultati che si vogliono ottenere.

Secondo l’architetto Alberto Nadiani, progettazione partecipata non è tuttavia solo ascoltare in modo democratico ed esteso le esigenze di utenti e cittadini, ma soprattutto ricercare il coinvolgimento attivo nel percorso decisionale iniziale di chi è parte integrante dell’attività che sarà svolta nell’edificio; nel caso degli ospedali, il personale medico e infermieristico in primis. Sentire il punto di vista di specialisti e utenti vuol dire imparare a progettare con gli occhi di chi poi utilizzerà la struttura. Alla Isala Klinieken di Zwolle, ad esempio, proprio durante le fasi iniziali del progetto di quello che è il più grande ospedale pubblico d’Olanda, si interpellò anche un epidemiologo, secondo il quale era più sicuro operare in un’area boscosa piuttosto che in un ospedale urbano dove proliferano batteri e virus. Da qui nacque l’idea di utilizzare estensivamente il verde all’interno della struttura, in modo diversificato, per garantire molte situazioni esperienziali e sensoriali, a seconda delle esigenze, facendo così di Zwolle l’ospedale più verde d’Olanda. Oggi anche le neuroscienze dimostrano l’efficacia di tali scelte.

Ascolto, insomma. Per dirla con il poeta: “Si vede soltanto ciò che si sa” (J.W. von Goethe). Un ascolto che sappia cioè cogliere anche “l’ignoto”, con una percezione attenta ad ogni riflesso che esprima benessere per le persone.

Il convegno “Architettura per la salute: la progettazione consapevole degli spazi di cura” si è svolto a Trento il 20 maggio scorso ed è stato organizzato dal Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica dell’Università di Trento e dall’Associazione Culturale arslineandi di Trento, assieme all’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori e all’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Trento, con il contributo di GASB Trento – Gruppo di acquisto solidale biodinamico.
Sono intervenuti l’architetto Stefano Andi, studio Forma e Flusso – Milano; il professor Romano del Nord, Dipartimento di Architettura - Università di Firenze; l’architetto Alberto Nadiani, studio Casa di Dagda - Forlì; il dottor Markus Treichler, Filderklinik - Stoccarda; il professor Massimiliano Zampini, Centro Interdipartimentale Mente/Cervello (CIMEC) - Università di Trento. Hanno moderato il convegno il professor Rossano Albatici e l’architetto Sandro Aita.