Giuseppe Maraniello, Storie orizzontali, 1998 (Palazzo di Giurisprudenza) @Foto Alessio Coser

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Autonomia e regionalismi: equilibri, conflitti, poteri

A Giurisprudenza un convegno per i cinquant’anni del Secondo statuto della Regione Trentino-Alto Adige

22 marzo 2022
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Giovanni Agostini
di Giovanni Agostini
Supporto Relazioni Istituzionali a Rettorato, Presidenza Cda e Direzione Generale

Si può giocare in tre al tiro alla fune? Non c’è una risposta giusta e se prima di pronunciarci per il sì o per il no volessimo attendere il risultato della sfida, forse dovremmo dire: “dipende”. Due tiratori deboli potrebbero essere sconfitti da un unico giocatore forte, mentre due forzuti travolgeranno facilmente un singolo poco prestante e così via. E cosa succederebbe poi se un giocatore non si posizionasse ad una delle estremità della fune e in coppia con un altro, ma si mettesse a tirare la corda a metà, per conto suo, disegnando un triangolo delle forze dagli esiti incerti?

Sostituiamo ora alla fune il concetto di autonomia territoriale e ai tre giocatori altrettante forze: la politica, il diritto e l’amministrazione. Il quadro che ne è esce è lo spazio nel quale si sono esercitati i relatori del convegno “Autonomie speciali e regionalismo italiano”, svoltosi a Trento da giovedì 17 a sabato 19 marzo, promosso dalla Facoltà di Giurisprudenza e coordinato da Fulvio Cortese e Jens Woelk. Una tre giorni organizzata nell’ambito delle iniziative per ricordare il Secondo statuto della Regione Trentino-Alto Adige a cinquant’anni dalla sua approvazione, e che ha intrecciato lo specifico di quell’esperienza con il dibattito italiano degli ultimi decenni, aprendo i suoi risultati ad uno sguardo e un giudizio internazionale.

Ne è risultato, appunto, l’interessante analisi di un confronto tra forze. L’Italia e le Regioni (o Province) autonome sono il campo d’azione sul quale la politica, il diritto e l’amministrazione hanno agito in modo spesso poco unitario. Ciascuna seguendo proprie prerogative, con effetti diversi a seconda del periodo storico, del fatto giuridico, della salute di cui ciascun potere godeva in quel momento e dell’alleanza – apparentemente sempre parziale e sempre temporanea – che strinsero tra o “contro” loro stessi.

Un contrappunto tra poteri legittimo, naturalmente, e spesso anzi teorizzato attraverso le procedure di check and balance che sempre sostanziano i meccanismi politico-istituzionali delle democrazie mature. Eppure anche un conflitto tra forze che ha prodotto risultati controversi. 

«Distanze», le ha definite Enrico Carloni, che oggi causano «vere e proprie incongruenze tra il testo della Costituzione e la realtà». Che hanno fatto delle Regioni ordinarie enti a scarsissima produzione normativa, strette come sono tra la legislazione statale e quella europea, producendo – l’immagine è del costituzionalista di Bologna Corrado Caruso – «un regionalismo amministrativo, nel quale non più la norma ma l’atto amministrativo è diventato il fulcro della produzione». Un percorso storico-giuridico, quello del regionalismo italiano, descritto da molti come un’alternanza di epoche d’oro e battute d’arresto, di nuove leggi e di sentenze che ne hanno ribaltato gli effetti, di afflati politici di volta in volta unitari, separatisti, identitari… Un tema «da studiosi e da animali politici – come lo ha definito Andrea Morrone – perché tocca un dato di esistenza che riguarda ciascuno di noi, che ha a che fare col nostro vivere sociale, con la nostra quotidianità». 

Se il dispiegarsi della storia costituzionale, amministrativa e politica del nostro paese ha lasciato così emergere, nelle presentazioni di molti relatori, tutta la complessità e l’intreccio istituzionale su cui s’è costruita la vita sociale in Italia negli ultimi cinquant’anni, si può anche comprendere la natura delle molte preoccupazioni che riguardano il prossimo futuro. La gestione della pandemia e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono infatti campi di prova sui quali la nuova stagione del regionalismo italiano è stata, e sarà, messa alla prova. E se sono già emerse criticità nell’interpretazione delle disposizioni costituzionali, con competenze regionali sottratte o congelate dallo Stato per ragioni di interesse superiore (ad esempio con riferimento alle prescrizioni sanitarie imposte ai cittadini a discapito delle competenze regionali in tale ambito), non possono che destare l’attenzione degli studiosi le importanti trasformazioni che il Pnrr richiede al paese. Un apparato di riforme che rischia – per poter essere dispiegato appieno – di venir perseguito sorvolando su norme, Statuti e prescrizioni d’autonomia. «E qui sorge un problema – ha detto Barbara Randazzo della Statale di Milano – perché oggi la lettura principale dei ministeri sembra essere che chi parla, chiede o domanda qualcosa a nome dell’autonomia, è lì perché vuole portare via qualcosa a loro».

L’opinione diffusa è che siamo dunque alla vigilia di un nuovo tiro alla fune. L’autonomia dei territori sarà messa nuovamente in trazione dall’azione congiunta di forze politiche, pratiche amministrative, pronunciamenti dei custodi del diritto. Ancora una volta, come sostiene Raffele Bifulco, uno stesso fatto potrà essere letto a seconda del momento come asimmetria, differenziazione, disuguaglianza; aprendo una stagione molto delicata per l’autonomia Trentina – «la più “speciale” tra le “speciali”» secondo Paolo Giangaspero – e più in generale per tutto il Paese. Una nazione nella quale, lo ha ricordato Francesco Palermo, l’autonomia è qualcosa che «tendiamo a circoscrivere a percentuali minime di territorio e di popolazione mentre riguarda, nel suo insieme, il 25% delle Regioni e il 20% di tutti noi».

Il convegno Autonomie speciali e regionalismo italiano coordinato da Fulvio Cortese e Jens Woelk si è tenuto nell’ambito del ciclo di iniziative "L'autonomia speciale", che il Dipartimento Facoltà di Giurisprudenza ha organizzato per i 50 anni del secondo Statuto di autonomia (1972-2022).