Carlo Casonato, Flavio Deflorian e Silvio Garattini (©UniTrento - Ph. Pierluigi Cattani Faggion)

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Brevetti o diritti?

Silvio Garattini e la ricerca di una salute davvero accessibile

6 dicembre 2022
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Simona Casarosa
Professoressa al Dipartimento Cibio e al Cismed e componente del Comitato etico per la ricerca

È possibile allontanare la salute dalle logiche di mercato: è un’utopia o una prospettiva possibile e auspicabile? Ne parla Silvio Garattini nel suo ultimo volume “Brevettare la salute? Una medicina senza mercato”, che è stato presentato e discusso ieri alla Facoltà di Giurisprudenza alla presenza, tra gli altri, anche del rettore Flavio Deflorian. L’incontro rientra nell’ambito del progetto di ricerca della Scuola di Studi internazionali (diretto da Marco Pertile) sul ruolo dell’Organizzazione mondiale della sanità nella gestione della pandemia da Covid-19.
Abbiamo chiesto a, Simona Casarosa, professoressa al Dipartimento Cibio e al Cismed e componente del Comitato etico per la ricerca, di discutere di questi temi con Silvio Garattini.

Professor Garattini, nel progetto portato avanti dal nostro Ateneo si analizza il piano di riforma del diritto sanitario globale. L’attenzione è in particolare sui negoziati in corso per la stipula di un nuovo trattato per la gestione delle pandemie. Viene affrontata la questione dell’equità nell’accesso ai vaccini e alle cure, anche in relazione alla riforma e ai problemi posti dai brevetti sui farmaci. Argomenti che anche lei tocca nel suo ultimo libro.

«Sì, il libro descrive un percorso – a lungo chilometraggio – per arrivare a una medicina senza mercato, che rimetta quindi al centro la salute del paziente e non la crescita economica del mercato stesso.

Il punto di partenza è il fatto che il vaccino anti Covid non è stato reso disponibile per tutti ma solo per chi ha potuto pagare. Così, nei paesi a basso reddito non è stato utilizzato se non in piccole quantità. Sarebbe stato invece fondamentale concedere licenze obbligatorie affinché il vaccino potesse essere utilizzato ovunque. Non si tratta di benevolenza ma di sano egoismo, perché se non vacciniamo tutti, possono crearsi nuove varianti che torneranno qui rendendo i vaccini inutili.

Le limitazioni nella diffusione dei vaccini anti-Covid dipendono dalla presenza dei brevetti. Questi creano un monopolio che non agisce nell’interesse del paziente.

I brevetti per i farmaci sono nati in Italia nel 1978, con l’idea che avrebbero potenziato la ricerca, favorendo lo sviluppo di nuove terapie. Ma questo non è successo. Nel corso degli anni abbiamo sì assistito allo sviluppo di molti farmaci, senza però poterne valutare la reale efficacia comparativa».

La direzione sarebbe quindi un mondo senza brevetti? E quali potrebbero essere le tappe di questo percorso?

«Sì certo, la prima tappa è quella di abolire i brevetti dei marchi. Oggi brevettiamo i farmaci con i loro “nomi propri”. Il risultato è una grande confusione: abbiamo farmaci con la stessa indicazione terapeutica che hanno nomi diversi, ma anche farmaci con nomi simili che hanno indicazioni terapeutiche diverse. Sarebbe sufficiente brevettare solo il nome del principio attivo. Questo aiuterebbe le persone a capire che non ci sono differenze tra i vari marchi.

Bisognerebbe poi concedere nuovi brevetti solo quando c’è una reale innovazione rispetto ai farmaci già esistenti. Non è difficile: basta cambiare la legislazione europea che oggi approva i farmaci sulla base di tre caratteristiche: qualità, efficacia e sicurezza. Se si introduce una quarta caratteristica, il valore terapeutico aggiunto, ecco che possono essere approvati solo i farmaci realmente migliori. Questo è ovviamente osteggiato dalle aziende farmaceutiche che vogliono far credere che il loro prodotto sia il migliore.

Questi sono i primi interventi per stabilire una traiettoria verso un mondo senza brevetti. Una volta stabilito che il brevetto ha dei limiti potrebbe essere sostituito con un premio o un riconoscimento di gratitudine da parte della società, come è successo per il vaccino anti-polio di Sabin».

Oltre all’abolizione dei brevetti, quali altri interventi andrebbero presi in considerazione per ridimensionare il mercato della medicina e riportare l’attenzione sul paziente?

«Dobbiamo porci un problema rispetto alla nostra Costituzione, nella quale è ribadito che tutti noi abbiamo diritto alla salute. Non è però così, ci sono malattie – dette malattie rare - che colpiscono un numero talmente esiguo di pazienti che per il mercato non è redditizio investire per sviluppare un farmaco. Servirebbe costruire un’imprenditoria no profit, gestita dagli Stati o dalla Comunità europea, che finanzi la ricerca per sviluppare questo tipo di farmaci e li venda poi a prezzo di costo.

Serve un cambiamento culturale. Almeno la metà delle malattie croniche è prevenibile con stili di vita più consapevoli. Abbiamo bisogno di interventi che riportino l’attenzione sulla prevenzione».

Nel suo libro, ricco di spunti e approfondimenti, c’è un passaggio che ha attirato la mia attenzione. Nell’introduzione al volume descrive come la sua educazione cattolica abbia influito sulla sua scelta di studiare Medicina. Cosa pensa del rapporto che scienza e medicina possono avere con la religione?

«Scienza e religione come elementi del sapere sono incompatibili dal punto di vista metodologico. La religione crede nei misteri, mentre la scienza ha bisogno di evidenze. Esse però hanno la stessa finalità: lenire le sofferenze e migliorare la sostenibilità della vita umana. Questo è il punto di incontro nel quale potrebbero trovare una convergenza: entrambe seguono l’appello fondamentale ‘amerai il prossimo tuo come te stesso’».