Immagine tratta dalla locandina dell'evento.

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INFLAZIONI DI GUERRA: AUSTRIA-UNGHERIA E ITALIA

Con la prima guerra mondiale l’inflazione fa il suo ingresso nel ventesimo secolo

3 dicembre 2016
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INFLAZIONI DI GUERRA: AUSTRIA-UNGHERIA E ITALIA
di Andrea Bonoldi
Professore associato del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento.

Che per combattere – e possibilmente vincere – le guerre ci vogliano risorse finanziarie adeguate, non è una novità: già Cicerone nelle Filippiche affermava “nerbos belli, pecuniam infinitam”. Ma anche in questo ambito, come in altri, la prima guerra mondiale ha segnato una cesura non solo quantitativa. La durata del conflitto, il numero di combattenti e il ruolo cruciale giocato dalla tecnologia militare negli scontri, hanno creato una pressione senza precedenti sui sistemi produttivi dei paesi coinvolti, che furono costretti a uno sforzo straordinario per finanziare l’enorme spesa bellica. Le misure adottate lasciarono segni profondi nell’economia mondiale, con conseguenze durature.

Le vie percorse dai paesi in guerra per raccogliere nuovi mezzi finanziari furono essenzialmente tre: l’inasprimento della pressione fiscale, l’emissione di nuovo debito pubblico, l’aumento della circolazione monetaria. Le pressanti necessità del conflitto indussero alla fine le potenze coinvolte a ricorrere, in misura diversa, a tutti questi canali. Ma in alcuni casi l’uso dello strumento monetario fu particolarmente intenso, contribuendo ad accelerare i processi inflazionistici non soltanto durante la guerra, ma anche dopo la cessazione delle ostilità.

È interessante osservare come tra tutti i paesi coinvolti, siano stati proprio due avversari diretti come l’Austria-Ungheria e il regno d’Italia a far registrare la più alta incidenza dell’inflazione alla fine del conflitto, con i prezzi al consumo che alla fine del 1918 erano aumentati di poco meno di tre volte nel caso italiano, e di quasi undici in quello austriaco. Gli effetti furono assai pesanti. In primo luogo, ci fu un drastico ridimensionamento del potere di acquisto reale dei percettori di redditi fissi, che rappresentavano una parte importante della popolazione. In secondo luogo, si verificò un enorme trasferimento di ricchezza dai creditori ai debitori, con questi ultimi che videro ridursi notevolmente il valore reale delle proprie obbligazioni. Infine, l’alterazione della fondamentale funzione informativa dei prezzi per le scelte di consumo e investimento causò gravi disfunzioni alla dinamica complessiva del sistema economico.

Perché proprio in Austria-Ungheria e Italia l’inflazione si manifestò in maniera così virulenta? Una prima risposta sta nella struttura produttiva dei due paesi, che sebbene si fosse irrobustita nei due decenni precedenti al conflitto, restava ancora lontana dagli standard dell’Inghilterra e della Germania. Guardando ad esempio al dato del pil procapite, l’impero austroungarico e l’Italia erano all’ultimo posto tra i paesi più importanti dei rispettivi schieramenti (esclusa la Russia). Messe sotto pressione dalla domanda bellica, le due economie faticarono a rispondere con un’offerta adeguata, causando tensioni sul fronte dei prezzi. 

Il secondo fattore che contribuì all’impennata dell’inflazione fu invece di origine monetaria. Come visto, tutti i paesi coinvolti usarono una combinazione tra pressione fiscale, indebitamento ed emissione di nuova moneta per fronteggiare le spese di guerra. In Italia e soprattutto nell’impero, i primi due strumenti non diedero i risultati sperati, e così, soprattutto a partire dal 1917, i governi ruppero gli indugi imprimendo una forte accelerazione alla creazione di moneta. Fatto 100 il circolante nel 1913, alla fine della guerra si raggiunse un livello di 1262 in Austria-Ungheria, e di 423 in Italia.
La cessazione delle ostilità poi non migliorò le cose. La moneta continuò e perdere potere d’acquisto e mentre in Italia la stabilizzazione, pur non indolore, alla fine fu comunque possibile, in Austria nel 1922 l’inflazione si trasformò in iperinflazione. Nel 1924 si giunse così al cambio della valuta, in ragione di 10.000 vecchie corone per ogni nuovo scellino.

La prima guerra mondiale aveva dato una vigorosa spallata al vecchio sistema del gold standard, basato sulla parità aurea delle valute, che sarebbe poi crollato con la grande depressione. E con la guerra l’inflazione, uno dei fenomeni economici più controversi e dibattuti in economia e nella politica, faceva il suo ingresso in grande stile nel ventesimo secolo, dove a più riprese avrebbe giocato un ruolo da protagonista.

L’11 e il 12 novembre, nell’ambito del progetto strategico di Ateneo "Wars and Post-Wars. States and societies. Cultures and structures", presso il Dipartimento di Economia e Management ha avuto luogo il colloquio internazionale “Inflazioni di guerra: politiche monetarie e andamento dei prezzi in Austria-Ungheria e Italia (1914-1923) / Kriegsinflationen: Geldpolitik und Preisdynamik in Österreich-Ungarn und Italien (1914-1923)”, che ha visto la partecipazione di studiosi austriaci, germanici, ungheresi e italiani (Comitato scientifico: Andrea Bonoldi, Andrea Leonardi e Cinzia Lorandini). Gli atti del convegno usciranno nel 2017 in lingua inglese presso il Franz Steiner Verlag, Stuttgart.