Gli storici e il potere. Foto Paolo Chistè, archivio Università di Trento

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ANIMALI SIMBOLICI E RELIGIONE

Intervista ad Agostino Paravicini Bagliani, ospite dell’Università di Trento nell'ambito del ciclo “Gli storici e il potere”

12 dicembre 2016
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ANIMALI SIMBOLICI E RELIGIONE
di Christian Giacomozzi
Dottorando del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Agostino Paravicini Bagliani, professore emerito di Storia medievale presso l’Università di Losanna, editorialista di “Repubblica”, è stato ospite del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Ateneo per il secondo e ultimo incontro del ciclo “Gli storici e il potere”. L’ospite si è confrontato con Michel Pastoureau (direttore dell’Ecole pratique des hautes études di Parigi) e con Franco Cardini (già professore di Storia medievale presso l’Università di Firenze e l’Istituto Italiano di Scienze Umane) attorno alla sua ultima opera, “Il bestiario del Papa” (Torino, Einaudi, 2016), in cui lo studioso indaga i simboli animali legati alla rappresentazione del potere papale dalle sue origini alla modernità. 

Professor Paravicini, da dove nasce l’dea di indagare la figura del Papa sotto il segno della presenza animale?ANIMALI SIMBOLICI E RELIGIONE
Mi sono dedicato a questo tema essenzialmente per due motivi. Il primo è che nel corso degli ultimi decenni mi sono occupato di storia del papato e nel corso di queste ricerche sono emerse varie figure di animali. Non è dunque un tema nuovo per me. Il secondo motivo è che da qualche anno sto cercando di ricostruire il sistema simbolico che costruisce la sovranità papale. È un vero e proprio sistema, cioè ci sono stati titoli, rappresentazioni visive, statue, affreschi che hanno rimarcato l’autorità papale. Entra in questo sistema anche il mondo animale: mi sono deciso a studiare e raccogliere sistematicamente tutte le figure degli animali che hanno in qualche modo contribuito a creare un discorso, a costruire una sovranità e anche il contrario, cioè gli animali di cui ci si è serviti, soprattutto in certi periodi storici (per esempio durante la Riforma Protestante) per delegittimare – o almeno tentare di delegittimare – l’autorità del Papa.

Perché ha scelto proprio, nel 2016, l’antica forma letteraria del “bestiario”?
Ho scelto la forma del bestiario perché mi sono accorto progressivamente, facendo queste ricerche, che queste simbologie animali sono durate per secoli. Nello stesso tempo, anche se la storia simbolica di questi animali è cambiata o si è estinta (il drago romano del IV-V secolo, ad esempio, finisce ad un certo momento), tali animali hanno accompagnato il papato fino almeno al Sei-Settecento. Una storia lunghissima. Per scrivere questa storia sul lungo periodo, talvolta addirittura di un millennio o anche più (penso al cavallo), non c’è che la forma del bestiario: altrimenti bisogna scrivere una storia del papato, all’interno della quale si inseriscono questi animali. La continuità simbolica, però, in tal modo si sarebbe diluita.

Gli animali sono spesso termine di confronto per gli umani: cosa cambia per il Papa?
Io ho analizzato soprattutto animali vicino al Papa, senza occuparmi specificamente del rapporto più vasto della Chiesa o dell’intera Cristianità con gli animali (penso ad esempio a san Francesco). Molti animali hanno la funzione di rinviare a elementi generali, che riguardano l’umanità generale. Nel mio studio invece gli animali parlano di un unico, forte tema: sono elementi simbolici che riguardano soprattutto la sovranità papale. L’animale che costituisce una sorta di doppio del Papa, ma anche degli altri sovrani laici in generale, è il cavallo: è uno specchio della dignità di colui che lo cavalca. Il valore simbolico di questi animali non è generale, è sempre in funzione di una sovranità. Non ho riscontrato valenze generali. In questa storia alcuni elementi servono, ma non tutti. Questa storia potrebbe essere scritta, tendenzialmente, per ogni sovrano: una storia comparata di tali aspetti della sovranità potrebbe essere interessante.

La mole di materiali documentari da Lei analizzati nella Sua ricostruzione è amplissima: esiste una presenza animale costante o comunque statisticamente dominante rispetto alle altre?
Due sono gli ordini di risposte possibili, legate alla presenza degli animali nelle fonti e nella storia del papato lungo i secoli. L’animale più presente nelle fonti, ma anche il più duraturo di tutti (ancora adesso) è naturalmente la colomba, simbolo dello Spirito Santo, più vasto della figura del Papa: interessa la storia della Chiesa, e progressivamente anche il papato (in momenti ben precisi), diventando poi un attributo stesso del papato. Ci sono poi anche le pecore e l’agnello, per motivi legati al Vangelo. Il drago è presenza molto forte: si parla del drago negli Acta Sylvestrii, in cui si racconta di Papa Silvestro I che vince il drago romano, presente nella leggenda di Roma antica; poi se ne parla anche tra Cinquecento e Seicento, con due Papi che lo adottano nel loro stemma. Il Papa diventa una sorta di figura di Papa-drago, che protegge la Chiesa contro gli eretici. Sono molti gli animali assai presenti nelle fonti sia testuali sia iconografiche.

Gli animali dunque sono simbolo del potere papale: ci sono animali che esemplificano anche la satira o polemica antipapale?
Due sono i momenti principali di satira. Una polemica medievale scoppia soprattutto in molti codici miniati, in immagini marginali, databili al periodo attorno a Bonifacio VIII e al decennio successivo. In particolare nel nord della Francia, in relazione al grande conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello, non è certo un caso se, per la prima volta – e vi sono perlomeno sei o sette testimonianze –, compaiono animali che portano una tiara, in senso naturalmente polemico. Un capitolo del mio studio è proprio dedicato agli “animali con la tiara”. Questa stessa iconografia ritorna poi nell’ambito della Riforma Calvinista, dove un emulo di Calvino crea l’immagine di un serpente che porta la tiara, immagine ripresa da un altro calvinista olandese che qualche anno dopo realizza una piramide di serpenti, al centro della quale c’è un serpente particolarmente minaccioso, il ceraste, che indossa la tiara e forse stringe in bocca un’ostia. Un’altra vicenda, soprattutto a partire dalla Riforma Luterana, è l’uso dell’asino. Già nel 1521 Lutero incomincia a usare la metafora dell’asino, fino alle sue ultime opere. Un uso costante che porta anche alla nascita di un’immagine, creata da Lucas Cranach, del Papa-Asino, del “Papstesel”, immagine radicale e molto forte: l’asino è inteso nel senso della stupidità, dell’ignoranza, contro un Papato che pretende di possedere la dottrina e il magistero. Per questo motivo, più che di satira, bisognerebbe parlare di delegittimazione.

Nella Sua ricostruzione storica, quale animale si sarebbe aspettato di trovare, ma risulta essere invece un grande assente nella simbologia papale?
Di animali assenti ce ne sono alcuni. Quello che mi ha molto stupito sono le api. Le api avrebbero potuto servire per mettere in scena una simbologia del Papa in relazione con la Chiesa (attraverso l’immagine dell’alveare, dell’ape regina e delle api operaie). Invece non le ho mai incontrate. È un fatto curioso: le api sono rappresentate per esempio sul tabernacolo del Bernini in San Pietro (del resto, nella Basilica di San Pietro sono rappresentate, tra circa 3000 animali, ben 500 api per via dello stemma dei Barberini, famiglia che ha espresso Papa Urbano VIII). Ma non si trova nessun discorso che leghi in particolare api e papato. Io sono stato molto cauto con l’araldica papale: l’ho considerata solo per quei pochi animali (come dragoni) che sono stati capaci di creare un discorso, un uso esplicito del loro valore simbolico. Ci sono poi animali quasi assenti, come l’aquila, simbolo imperiale. Il papato vuole essere imperiale nel XII, XIII, XIV secolo. Bonifacio VIII e Innocenzo III dicono che sono loro i veri imperatori. Però l’aquila non entra. Egidio Romano crea, in uno dei suoi trattati, l’immagine del Papa aquila, ma è un’immagine effimera, come del resto il leone (Papi ne posseggono nel serraglio di Avignone, alla pari di altri grandi signori che hanno leoni e leonesse): anche il leone non costruisce un discorso sull’autorità pontificia.

Quali sono gli animali che hanno segnato i papati più vicini a noi?
Il problema va allargato. Vi sono fotografie (sistematicamente da Pio XII in poi) di Papi con animali. Non si può più trovare un simbolismo come nel Medioevo, nel Rinascimento o in epoca moderna. Non vale più il discorso dell’animale che serve, come il dragone di Papa Borghese, su cui allora si scrissero trattati e poemi. Questo è scomparso, naturalmente, come l’intero simbolismo di questo tipo. Però, se si prendono tutte queste fotografie in una serie, si può applicare a esse una sorta di etichetta, quella dei “Papi amici degli animali”. Da Pio XII in poi questi episodi rinviano a un’immagine del papato che non è più sostenuta dall’antico simbolismo più o meno sovrano, imperiale, regale dei pontefici precedenti. Creano invece l’immagine di un papato che si è sganciato dal potere temporale e questi animali in qualche modo rinviano a un papato più vicino alla natura.
Il papato si è trasformato. Nella lunga storia della simbologia papale Francesco sta mettendo i semi di una trasformazione profonda che si vedrà nei prossimi decenni, ad esempio avendo lasciato cadere il vestito rosso che era il manto imperiale dall’XI secolo in poi. Questa è una coincidenza fondamentale, che rinvia a Paolo VI, il quale aveva rinunciato alla tiara e ai grandi ventagli di piume di pavone: Francesco, allo stesso momento, ha voluto rinunciare anche a un altro animale, l’ermellino. C’è una storia della decostruzione di questi simboli prima di Francesco, che è decostruzione del potere antico. Immaginare un papa con tiara e piume di pavone è a dir poco assurdo ora.