da sinistra: Vladimiro Polchi, Andrea Di Nicola, Giampaolo Musumeci, archivio Università di Trento

Eventi

IL TEMA DELL'IMMIGRAZIONE TRA RICERCA E GIORNALISMO

Un confronto tra i giornalisti Polchi e Musumeci per il ciclo “Diritto in prima pagina” presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Ateneo

24 aprile 2015
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Anna Fazion
di Anna Fazion
Studentessa dell’Università di Trento, collabora con la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

Quanti sono gli immigrati in Italia, 7.000.000 (quasi tutti i presenti alzano la mano) o 5.000.000? Qual è la prima comunità etnica in Italia, i Cinesi o i Marocchini (la platea si divide, con un piccolo vantaggio per i Cinesi)? I figli di stranieri che nascono in Italia sono Italiani o no?

Con queste domande Vladimiro Polchi, giornalista di Repubblica e autore tv, mette subito alla prova il pubblico – folto e molto partecipe – del secondo incontro del ciclo “Diritto in prima pagina” presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Ateneo. Le domande sono tratte da un sondaggio proposto dalla Fondazione Leone Moressa e pubblicato su Repubblica. Il risultato: bocciati. Secondo Polchi non è il pubblico presente nel Foyer della Facoltà di Giurisprudenza ad essere particolarmente ignorante in materia, perché il risultato rispecchia quello del sondaggio: gli Italiani hanno una scarsa conoscenza del fenomeno migratorio.

Si tende a sovrastimare la presenza di immigrati (sono circa 5.000.000) e ad avere un'idea confusa non solo dei loro diritti, ma anche della loro provenienza e occupazione in Italia. Ad esempio, si pensa che ci sia “un'invasione di Cinesi e Marocchini”: in realtà la domanda posta da Polchi è volutamente ingannevole, infatti la prima comunità straniera in Italia è quella rumena.

Ma di chi è la colpa di questa scarsa conoscenza?

Il professor Andrea Di Nicola, docente di Criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Ateneo e coordinatore del gruppo di ricerca eCrime, incalza sulle responsabilità dell'informazione i suoi interlocutori, Vladimiro Polchi e il giornalista freelance Giampaolo Musumeci.

Il confronto sui temi dell'immigrazione tra il mondo della ricerca e quello del giornalismo, non solo della carta stampata e online ma anche televisivo, mette in luce i tanti punti di contatto.

“La ricerca e il giornalismo sull’immigrazione non sono sempre di qualità” esordisce Di Nicola “le motivazioni sono molte, ma senza dubbio conta che si scrive di immigrazione sull'onda dell'emergenza. Inoltre il tema ha importanti risvolti politici, quindi spesso si finisce ad occuparsi principalmente di sicurezza”.  La ricerca dovrebbe liberarsi di alcune “incrostazioni ideologiche” che minano l'oggettività degli studi e delle interpretazioni dei dati ed essere capace di comunicare i propri risultati efficacemente.

D'altra parte, il giornalismo si scontra con la difficoltà di trattare un tema così delicato, ma anche con pressioni di tipo economico. “L'immigrazione fa notizia solo quando viene criminalizzata”: questo è il punto d'incontro tra le esperienze, simili ma diverse, di Polchi e Musumeci. Vladimiro Polchi propone il punto di vista del giornalista che si confronta con dinamiche di redazione in cui “gli esteri” non sono una priorità e sono relegati spesso a una posizione subordinata rispetto alla cronaca nazionale.
L'approccio di Giampaolo Musumeci invece è da outsider: “parlare di immigrazione non vende, quindi è difficile far pubblicare un reportage, che magari è costato molto tempo e studio, su questo argomento” dice Musumeci, che ha maturato la scelta della professione freelance anche perché i tempi e le esigenze attuali del giornalismo non corrispondono al suo modo di lavorare.
“In Italia al fatto e alle storie si preferisce il commento” continua Musumeci “raccontare storie può restituire un nome e un volto a tutte le persone che finiscono in una cifra di ‘sbarcati’ o di ‘morti’. I morti sono tutti uguali e, giorno dopo giorno, si perde anche la sensibilità verso queste cifre. Indagare le circostanze, le vite e le storie di queste persone svela, ad esempio, che la definizione di 'clandestino' è quasi sempre fuori luogo, dal momento che molti degli immigrati arrivati via mare godono di qualche forma di protezione, come il diritto d’asilo.

Musumeci e Polchi concordano che il principale problema sia proprio la mancanza di approfondimento: logiche editoriali e agenda giornalistica, dettate dalla cronaca soprattutto politica, seguono criteri di produttività, mentre un reportage di approfondimento è estraneo a questa logica.

Spesso le redazioni limitano le trasferte dei giornalisti a pochi giorni, così talvolta gli articoli nascono al desk, ovvero in ufficio, prima della verifica sul campo delle tesi sostenute. Invece, per cercare di indagare anche i chiaroscuri delle vicende, c’è bisogno di tempo.
Il dibattito si è ampliato quindi dal tema specifico dell'immigrazione alle carenze dell'informazione italiana, stimolando anche domande e interventi che guardano alle possibili soluzioni.

La conclusione, condivisa, è stata espressa dalle parole del professor Di Nicola: “sia la ricerca sia il giornalismo che si occupano di immigrazione dovrebbero avere una maggior cura per il linguaggio e un'impostazione rigorosa e obiettiva che restituiscano complessità al fenomeno migratorio, liberandolo da visioni stereotipe dettate dal pregiudizio”.

L'incontro di venerdì 27 marzo “Le questioni legate all'immigrazione” con il professor Andrea Di Nicola dell'Università di Trento, Vladimiro Polchi, giornalista de “La Repubblica”, e Giampaolo Musumeci, giornalista freelance, è il secondo appuntamento del ciclo di incontri “Diritto in prima pagina”. In occasione del trentennale della sua fondazione, la Facoltà di Giurisprudenza ospita giornalisti nazionali e locali che si confrontano con i docenti della Facoltà su temi attuali, questioni che riguardano l'evoluzione del diritto ed entrano a far parte del dibattito, come disastri ambientali, diritto fra inizio e fine vita, grandi processi e inchieste.