Credits: William Blake, Newton, 1795, Tate Britain Collection

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UN METODO TRA MATEMATICA E FILOSOFIA

Due discipline, all’apparenza così lontane, presentano in realtà numerosi punti di contatto. Un convegno esamina i tratti essenziali di questa convergenza

12 giugno 2015
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di Claudio Fontanari, Paola Giacomoni, Achille C. Varzi

Claudio Fontanari è professore associato presso il Dipartimento di Matematica dell’Ateneo; Paola Giacomoni è professoressa associata presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Ateneo; Achille C. Varzi è professore di Filosofia presso la Columbia University, New York (USA) e visiting professor presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Ateneo.


Che la matematica (da mathema, cioè apprendimento, conoscenza) abbia molto da offrire alla filosofia (nel senso originario di amore per la sapienza) dovrebbe essere evidente. Già nel papiro di Rhind (2000-1800 a.C.) si legge che “il calcolo accurato è la porta d’accesso alla conoscenza delle cose”. Meno evidente, forse, è quanta filosofia rientri a sua volta nel dominio d'interesse della matematica, in ciascuna delle sue branche fondamentali. La matematica consiste di verità certe, necessarie e conoscibili a priori? Questo è un classico problema di epistemologia. Il suo universo di discorso è costituito da enti astratti che non abitano lo spazio-tempo e sfuggono alle maglie delle relazioni causali? Ecco un bel quesito di metafisica. Le teorie matematiche ammettono modelli non-standard?

Qui siamo nel mezzo della filosofia del linguaggio. La matematica, pur essendo astratta, è applicabile al mondo reale? Un classico problema di filosofia della scienza. I teoremi seguono dagli assiomi? Dipende dalla logica che si presuppone. Eccetera. Questi non sono solo quesiti di filosofia della matematica; sono quesiti di filosofia nella matematica, ovvero quesiti filosofici che almeno in parte nascono all’interno della disciplina e non soltanto riflettendo sulla disciplina dall’esterno. Non è detto che non si possa procedere nel lavoro senza affrontarli in modo esplicito, e anzi è lecito pensare che nella pratica quotidiana si faccia bene a ignorarli. Come scriveva Musil ne "L’uomo matematico" (1913), <le preoccupazioni dei generali non devono turbare le operazioni sul campo di battaglia>. Ma i quesiti restano, e di tanto in tanto è bene fare una pausa e riflettere. 

Un’occasione qualificata in tal senso è stata offerta, a conclusione del primo anno del nuovo percorso di studi Logica, teoria del linguaggio e matematica del corso di laurea in Filosofia della nostra Università, da un convegno interdisciplinare organizzato congiuntamente dai Dipartimenti di Lettere e Filosofia e di Matematica. L’8 e il 9 giugno Trento è stata per due giorni il teatro di un dialogo appassionante tra alcuni dei massimi esperti italiani di storia della filosofia, di matematica e di logica, sul tema “Analisi: storia, teoria e pratica di un metodo tra matematica e filosofia. Che cosa significa metodo analitico”? Può la filosofia impugnare il compasso per risolvere con rigore alcuni problemi evitando lo stallo del relativismo, oppure si tratta solo di un’antica illusione? Possono l’analisi matematica e quella filosofica trovare un terreno comune per interrogarsi su alcune essenziali questioni di metodo? Che relazione c’è tra le discussioni epistemologiche del passato e la contemporanea filosofia analitica? 

Storicamente, la distinzione tra analisi e sintesi fu introdotta nel linguaggio scientifico da Euclide, anche se è probabile che fosse nota prima, dato che è presente in una riflessione aristotelica sui rapporti tra causa ed effetto; divenne poi classica in epoca alessandrina. Ci si chiedeva allora se il metodo migliore fosse quello che spiega un fenomeno sulla base di principi certi, come ad esempio gli assiomi euclidei, oppure se, al contrario, fosse meglio esplicitare il modo in cui è avvenuta la scoperta dei principi stessi. Fu Cartesio tra i primi, in età moderna, ad affermare con decisione che l’analisi è da preferire perché consente di riflettere in primo luogo non sugli oggetti, ma sui modi in cui avviene e si struttura la ricerca. Questa è la ragione per cui la scoperta o anche l’invenzione scientifica è realizzabile autonomamente, evitando il principio di autorità. Al tempo stesso è ben noto che a Cartesio si devono le prime basi di quella che sarà poi chiamata “geometria analitica”. Newton, Leibniz e altri fino ai nostri giorni ne discuteranno in modo critico, approfondendo il nesso storico tra matematica e filosofia. Che rimanda all’avviso che, secondo la tradizione, campeggiava all’ingresso dell’Accademia di Platone: "Non entri chi non è esperto di geometria."