Mediazione e mediatori per la gestione consapevole del conflitto: veicoli di una nuova interculturalità?
Ore: 14:30-17:30, Piattaforma Zoom
Presentazione
Ogni professione ha i propri strumenti di lavoro: per il giurista, i principali sono le definizioni, le classificazioni ed i principi la cui individuazione critica scelta, interpretazione ed applicazione in un contesto contenzioso hanno conseguenze importanti in termini di garanzia effettiva dei diritti. Le complessità della società contemporanea, però, hanno condotto chi si occupa di diritto ad avvicinarsi ai confini con altri saperi: la medicina, la scienza, la sociologia, l’antropologia. In queste intercapedini, ci si trova spesso a confronto con parole identiche, che possono assumere significato diverso quando rispondano alle regole della semantica condivise e note a chi si sia formato in un determinato ambito disciplinare, ma non immediatamente comprensibili a chi non ne abbia competenza.
Il termine interculturalismo, ad esempio, è penetrato nell’ambito giuridico, essendo menzionato talvolta in leggi, sentenze e più spesso in documenti internazionali e di dottrina. Ne è derivata un’ampia letteratura di approfondimento di questo concetto e della sua portata anche giuridica.
Il riconoscimento della natura interdisciplinare di questa definizione, tuttavia, porta ad interrogarsi sul suo significato negli ambiti di discipline contigue, ma diverse rispetto al diritto e sulla possibilità di individuare terreni lessicali comuni. Questa serie di incontri pone in dialogo giuristi/e con esperti/e di altre discipline, ponendo a tutti/e una stessa domanda iniziale: che cos’è interculturalismo? In che cosa esso differisce dal multiculturalismo? L’interculturalismo ammette o esclude rapporti di preminenza di una cultura su altre? In particolare, la cultura ospitante può esigere l’accettazione di una serie di valori/interessi/criteri di condotta da qualificare come comuni? L’interculturalismo esclude l’assimilazione culturale? L’interculturalismo favorisce l’integrazione? L’interculturalismo è un metodo di lavoro? In questo caso, di quali strumenti si avvale? Vi è il rischio di un uso “fai da te” che rischia di generare o rafforzare stereotipi culturali? Vi è il rischio di sovrapporre una dinamica di gruppo alla dimensione della tutela dell’individuo? Al fine di tentare di dare qualche risposta necessariamente interlocutoria a questi quesiti, il ciclo di incontri che qui si presenta è finalizzato ad esplorare la definizione di interculturalismo nell’ambito della medicina, del servizio sociale, della protezione internazionale, dell’istruzione, del diritto di famiglia. Il confronto tra competenze diverse sarà volto all’individuazione degli elementi che accomunano e di quelli che divergono all’interno dei diversi settori e ambiti disciplinari, nella ricerca della possibilità di individuare percorsi di interculturalismo in cui modalità ed obiettivi possano convergere.
Terzo incontro
In questo terzo incontro, analizziamo il concetto di interculturalità nell’ambito della mediazione civile.
Il conflitto è fenomeno che segna costantemente il vivere quotidiano. Un’esperienza che nessuno può evitare, con conseguenze di rilievo sul singolo come sulla comunità. In un mondo oramai globalizzato, il conflitto ha peraltro assunto connotati nuovi, destinati a lanciare sfide di non poco conto se si auspica una sua risoluzione consapevole e responsabile. Nel modello di approccio c.d. egocentrico – che informa, salvo rare eccezioni, le tradizioni culturali e giuridiche occidentali – il conflitto viene avvertito quale contrapposizione di un soggetto, con il suo problema, rispetto ad un altro soggetto, con il suo problema: uno scontro da decidere secondo lo schema della vittoria dell’uno sull’altro, sulla base di un ordine imposto. In un mondo segnato da una pluralità di valori, culture, istanze e ruoli, tale paradigma è però sempre più in crisi. Nel tentativo di rispondere in modo appropriato al conflitto, si avverte infatti l’urgenza di un approccio nuovo, che potrebbe definirsi ontocentrico, in cui il conflitto non è (più) letto quale fattore divisivo tra i soggetti che lo vivono, bensì- in una rivoluzione copernicana- quale momento di loro confronto. l problema viene messo al centro e le parti sono al suo servizio per risolverlo. Una fonte di ispirazione volta a definire un paradigma innovativo per la gestione del conflitto, si ravvisa nella concezione della giustizia riparativa (restorative justice) la cui applicazione nel settore penale si sta rivelando molto significativa e che, in quanto propria di culture giuridiche extra-occidentali, rappresenta di per sé una manifestazione di interculturalità. A questo obiettivo cospirano la mediazione e il mediatore, quali strumento e professione diretti ad aiutare i soggetti in conflitto a ‘capire’ il problema che le accomuna e così ad esplorare interessi e bisogni profondi ad esso sottesi, onde giungere ad una soluzione condivisa con cui poter co-esistere nel futuro. È, questo, un passaggio non facile, che si mostra ancor più complesso allorché le parti in contesa appartengano a culture e parlino lingue diverse. In tali casi una comunicazione efficace – non solo multiculturale, ma anche interculturale – si rivela quindi la chiave di volta, lo strumento decisivo del mediatore al tavolo di mediazione, che in un sapiente gioco di equilibrio, grazie alle sue competenze tecniche come trasversali, è chiamato ad adiuvare le parti nel trasformare il loro scontro in incontro. In un’occasione che veicoli interculturalità.
Programma
Comitato scientifico: Cinzia Piciocchi, Davide Strazzari, Roberto Toniatti, Carla Maria Reale (Università di Trento)
Il Seminario si svolge nell’ambito del progetto PRIN (2017) - "Dal pluralismo giuridico allo Stato interculturale. Statuti personali, deroghe al diritto comune e limiti inderogabili nello spazio giuridico europeo".