Formazione

Antropologia culturale, musica e pandemia

Un incontro promosso dal Collegio Clesio. Prossimi appuntamenti del programma culturale: 17, 23 e 28 febbraio

14 febbraio 2022
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Gabriela Vargas-Cetina
Paolo Carta
di Gabriela Vargas-Cetina e Paolo Carta
Gabriela Vargas-Cetina è professoressa di Antropologia culturale all’Universidad Autonoma de Yucatan (Messico); Paolo Carta è professore ordinario di Storia delle dottrine politiche dell’Università di Trento e direttore del Collegio Clesio

Un recente studio ha mostrato in che modo la pandemia di Covid-19 ha modificato l’atteggiamento e l’interesse verso la musica nel contesto europeo e statunitense. La musica è stata un fattore determinante per affrontare i lockdown: da un lato chi sperimentava sentimenti negativi ha usato la musica per alleviare depressione e stress; dall’altro, la musica e il fare musica hanno permesso di ridurre gli effetti procurati dal distanziamento sociale. 

Questi aspetti hanno caratterizzato anche la vita degli studenti universitari. Per questa ragione, al Collegio Clesio dell’Università di Trento, si è pensato di affrontare il tema in una conversazione con Gabriela Vargas-Cetina, professoressa di antropologia culturale all’Università dello Yucatan. Lo sguardo della antropologia culturale permette di cogliere con grande anticipo queste manifestazioni culturali emergenti. È infatti un ambito scientifico che si occupa di tutto ciò che le comunità e le singole persone considerano essenziale nella propria vita e nella propria cultura, e che cerca di cogliere similitudini e differenze nei diversi contesti locali e regionali, situati nella dimensione globale.

Studiosa delle relazioni tra musica, corporalità e tecnologie, Vargas-Cetina aveva iniziato a indagare il rapporto tra musica e pandemie prima del Covid-19. Già in occasione della pandemia provocata dal virus Chikungunya, come hanno mostrato i suoi studi, erano emerse una serie di peculiarità che mostravano come la musica fosse un mezzo di straordinaria efficacia per esorcizzare le paure

La pandemia di Covid-19 ha per così dire fatto esplodere questo fenomeno, che già aveva fatto la sua comparsa nella storia più recente, sia pur in contesti più limitati, come i Caraibi e l’America Latina. Si è infatti visto come ai percorsi di diffusione del virus abbia fatto seguito, un po’ ovunque, una scia di suoni e performance, che è possibile riconoscere come musica. La musica in qualunque sua forma è apparsa come il mezzo più efficace per reagire alla novità dell’isolamento e del confinamento. Una particolare forma di socialità musicale, partita dall’Italia e nata come reazione all’isolamento, è quella per cui le persone si davano appuntamento sui balconi per intonare in coro la stessa canzone. 

I musicisti e le musiciste sono stati tra i primi a subire gli effetti della pandemia, da quando era venuta meno la possibilità di esibirsi dal vivo. In soccorso del pubblico, degli artisti e delle artiste sono però arrivate le nuove tecnologie, lo streaming e il web. In questo periodo è aumentato esponenzialmente il numero di artisti e artiste che hanno fatto ricorso ai servizi di streaming per diffondere la propria musica. Interi concerti realizzati nell’isolamento di uno studio di registrazione o su piattaforme per teleconferenze circolavano online, raggiungendo un numero di persone inimmaginabile prima della pandemia. Ciò ha presto coinvolto anche musicisti non professionisti: piattaforme come Instagram e Tik Tok hanno infatti moltiplicato le occasioni di rendere pubbliche le performance. Grazie alle tecnologie digitali si sono diffusi essenzialmente due tipi di format di video musicali: più musicisti e cantanti che interpretavano a turno uno stesso brano, secondo un modello già sperimentato in passato, ad esempio da Playing for Change, e la nuova dinamica di teleconferenza, nella quale a una cantante o un cantante si affiancavano via via altre voci o interi cori. Anche le performance di ballerini e ballerine, cantanti e musicisti nel deserto delle piazze sono state diffuse globalmente sul web. 

Inoltre, come in ogni pandemia, anche nel caso del Covid-19 abbiamo assistito alla nascita di un vero e proprio genere di ‘coronamusic’, a un proliferare di canzoni e musica che hanno per oggetto il virus e la sua diffusione. Spesso l’atteggiamento è stato ironico, volto a esorcizzare la paura, ma si danno casi in cui musicisti come Van Morrison o Eric Clapton hanno scelto di criticare apertamente le misure messe in atto dai governi o addirittura la campagna di vaccinazione. Anche la decisione di Neil Young e Joni Mitchell di ritirare la propria musica da Spotify, il servizio di streaming che ha ospitato podcast apertamente contrari alle vaccinazioni, è un’altra manifestazione del legame che intercorre tra musica e pandemia. 

Difficile dire che cosa resterà di queste esperienze: già ora si assiste a un progressivo disinteresse generale per tematiche che hanno coinvolto l’arte e la musica durante il primo periodo di lockdown.

Dei temi della conversazione su musica e pandemia si continuerà a parlare anche nei podcast realizzati dagli allievi del Collegio Clesio.

La conversazione con Gabriela Vargas-Cetina “La musica durante l’epidemia di Covid 19”, è parte del programma culturale per l’anno accademico 2021-2022 (II semestre) del Collegio Clesio. 
Prossimi appuntamenti (ingressi con prenotazione) 
17 febbraio, ore 18.00. Luca Viganò (King's College, London). Cybersecurity, Nicolas Cage and Peppa Pig
23 febbraio, ore 17.00. Luisa Antoniolli (Università di Trento), in dialogo con Beppe Cantele, Paolo Carta, Roberto Sebastiani, Alessandro Simoni. L'arte della sopravvivenza accademica (e non solo). Presentazione del volume Microcosmographia Academica, ovvero una guida per il giovane politico accademico, di F. M. Cornford, a cura di Luisa Antoniolli
28 febbraio, ore 17.00. Nadia Urbinati (Columbia University, New York). La logica populista come abisso dell'Uno