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Formazione

Patrimoni del passato ed eredità del futuro

Intervista a Cornelius Holtorf, Cattedra UNESCO per gli Heritage Futures

30 gennaio 2023
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Mario Giagnorio
Dottorando della Scuola di Studi internazionali

Professore di Archeologia presso la Linnaeus University di Kalmar (Svezia), Cornelius Holtorf è stato ospite della Challenge Hitchhikers’ guides, virtual Charons, and the future of cultural objects. Il prof. Holtorf ha aiutato, studenti, studentesse, e Lifelong Learners a comprendere i processi anticipatori e il futuro dell’offerta culturale. Dopo un seminario al Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina (oggi METS, Museo Etnografico Trentino), il prof. Holtorf ha condiviso i suoi pensieri sul ruolo del patrimonio culturale e dei musei, e su cosa significhi connettere passato e futuro.

Professor Holtorf, per cominciare: cos'è il patrimonio culturale?

«Il patrimonio culturale non è semplicemente qualcosa, ma un insieme di elementi tangibili e intangibili che hanno un effetto in un contesto sociale e culturale. Nella mia definizione imperfetta, il patrimonio culturale ha la funzione di farci ricordare collettivamente il passato».

Parlando del passato, è inevitabile pensare alla nostalgia: come influisce la nostalgia nel definire il ruolo di un museo?

«La nostalgia è un sentimento che molte persone condividono, e che può essere trasformato in un prodotto da consumare. Al Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, le persone potrebbero ricordare il loro passato in modo nostalgico e riflettere sulla propria identità. Tuttavia, è controverso se questo sia il ruolo principale che un museo dovrebbe avere».

Quindi cosa sono i musei, e quali ruoli dovrebbero avere?

«I musei hanno diversi ruoli, per cui esistono diversi tipi di musei. Alcune persone potrebbero chiamare qualcosa un museo, mentre altri non lo vedrebbero allo stesso modo. La chiave per rispondere alla domanda è piuttosto ciò che attrae il pubblico. Chi va in quel luogo, e per quale scopo? Ci sono diverse risposte a queste domande, e quindi diversi ruoli per i musei».

Nei suoi interventi, in questi giorni, ha sottolineato la necessità di adottare approcci che mettano le persone al centro dell’offerta culturale. Cosa significa, nel settore culturale?

«Possiamo dire che i musei sono centrati sull'utente quando mettono il loro pubblico al centro delle decisioni relative ai loro servizi culturali – dalle mostre alle attività, fino all'organizzazione del budget. Questo significa anche prestare attenzione ad elementi come il linguaggio, o la consapevolezza che un museo ha bisogno di parlare a persone diverse».

In che modo i musei e le istituzioni culturale possono includere il pubblico?

«I musei e le istituzioni possono coinvolgere i rappresentanti dei gruppi di interesse, ma le persone non sono sempre organizzate in associazioni. In questo caso, potrebbe essere utile provare a parlare direttamente con le persone, anche se è impossibile ottenere il punto di vista di tutti. Naturalmente, questo approccio ha limiti e problemi. Ad esempio, persone e gruppi più grandi di altri potrebbero finire per prendere tutte le decisioni ed escludere gli altri. Rischia di rivelarsi un gioco politico».

Il gioco vale la candela?

«I musei possono cercare di bilanciare il processo. Tuttavia, la cosa più importante è costruire relazioni a lungo termine con quelle comunità. Questo processo è spesso difficile, soprattutto a causa dei budget limitati e dei contratti temporanei: le persone si spostano ed è difficile riavviare il processo. Tuttavia, può portare buoni risultati».

Ha degli esempi?

«Condussi uno studio a Dresda, più di dieci anni fa. Non era però correlato a un museo. Dei cittadini lanciarono un'iniziativa per ricostruire parti della città distrutte durante la guerra. Nel gruppo di cittadini, c'erano architetti e altri esperti. Alla fine riuscirono a convincere i politici, che all'inizio non volevano ascoltarli. Circa il 15% della popolazione di Dresda sostenne l'iniziativa.

Ovviamente, non fu semplice. Il progetto si svolgeva nella parte orientale della Germania (l'ex Repubblica Democratica Tedesca), mentre i principali membri dell'iniziativa provenivano dall'ovest (Repubblica Federale Tedesca). Queste persone volevano cambiare la città. La gente dell'Est non era necessariamente contraria, ma i politici non erano abituati a questo tipo di approccio proattivo».

Durante la visita al Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, prima del seminario, ha accennato al fatto che un suo ex collega somalo potrebbe sentirsi a casa in un posto simile. I musei etnografici possono aiutare a connettere comunità che stanno cambiando verticalmente (con una popolazione sempre più anziana) e orizzontalmente (con maggiore diversità)?

«Sì, potrebbero. Mentre lavoravamo a un progetto sul patrimonio culturale, io e un mio collega somalo abbiamo visitato un museo di Kalmar che conteneva vecchi attrezzi e macchinari agricoli, come il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina. Il mio collega li riconosceva, e quel museo gli piaceva soprattutto perché gli ricordava casa. Tuttavia, quel luogo rafforzava in lui alcune convinzioni nel progresso evolutivo: riteneva che la Somalia stesse seguendo la Svezia sulla stessa traiettoria storica, dal semplice e 'primitivo' verso il complesso e 'avanzato'. Tuttavia, questa prospettiva è molto problematica, perché non c'è progresso necessario. Queste sono ipotesi sul futuro, ipotesi che i ricercatori devono mettere in discussione e non adottare come punto di partenza».

Per concludere con una nota sul futuro, durante le sue lezioni ha sottolineato che "niente invecchia più velocemente del futuro". Cosa significa, quando si parla di patrimonio culturale?

«Le percezioni del futuro cambiano nel tempo. In momenti diversi, abbiamo ipotesi diverse sul futuro e quindi prendiamo decisioni diverse per il futuro. In questo senso, il futuro cambia sempre. In relazione al patrimonio culturale, ciò significa che ciò che le persone consideravano di primaria importanza in un momento potrebbe non essere ciò che vogliono conservare in un altro. Abbiamo quindi bisogno di migliorare la politica e la gestione del patrimonio sia anticipando le esigenze future, sia consentendo un cambiamento dei valori e degli usi del patrimonio nel tempo».

La Challenge Hitchhikers’ guides, virtual Charons, and the future of cultural objects è stata organizzata dalla professoressa Francesca Odella del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale. La Challenge ha adottato l’approccio innovativo dei Future Studies, invitando studenti, studentesse, e Lifelong Learners a elaborare visioni della futura offerta culturale nel contesto trentino. La Challenge ha accolto partecipanti da diverse università europee ed è stata promossa dalla School of Innovation dell'Università di Trento e dall'European Consortium of Innovative Universities (ECIU).
L’intervento "Heritage futures: how culture and heritage must change the future" è disponibile sul canale YouTube del METS.