studenti in aula ©UniTrento Ph. Alessio Coser

Formazione

Valutare per crescere e migliorare

I questionari sull’efficacia della didattica possono essere occasione di miglioramento per docenti e comunità studentesca

19 settembre 2023
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Johnny Gretter
Studente collaboratore Ufficio stampa e relazioni esterne

A scuola come in università, che sia un esame finale o una verifica, solitamente chi studia è sottoposto al giudizio di chi insegna. I ruoli però si ribaltano nel momento in cui agli studenti e alle studentesse viene chiesto di compilare i questionari in cui danno la propria valutazione su corsi ed esami. Quello che non cambia è il valore di queste valutazioni: un giudizio netto sul lavoro del docente, che lascia poco spazio di crescita. Tuttavia, il mondo della formazione si sta muovendo verso altri modi di valutare la didattica, processi partecipati dove a un giudizio finale si accompagna una valutazione in itinere. Nell’ambito dello Speciale didattica, UniTrentoMag ha chiesto a Ettore Felisatti, professore ordinario di Pedagogia sperimentale dell’Università di Padova, di approfondire queste nuove prospettive.   

Professor Felisatti, per noi studenti e studentesse di UniTrento esistono due modi per valutare gli insegnamenti: i questionari sulle attività didattiche e sulle prove d’esame. Sono domande che servono a sondare il gradimento delle lezioni, oppure per verificare che l’esame si sia svolto nelle modalità corrette e previste. Questi sistemi di valutazione sono sufficienti oppure ne esistono di altri per valutare la didattica?

«In realtà, la valutazione oggi è concepita come un processo di analisi e ricerca multi-prospettico e multidimensionale, non può essere un compito attribuito a un unico soggetto, in questo caso la comunità studentesca, né realizzato con un solo strumento, ma deve coinvolgere, sia pure in forme diverse, tutti coloro che a vario titolo possono aiutare a migliorare l’attività didattica e formativa. Il contributo degli studenti resta ineliminabile, ma dobbiamo pensare alla valutazione come a un processo concertato: chi studia può offrire il suo punto di vista sull’apprendimento; i colleghi possono offrire criteri di analisi e consigli sulla pratica di insegnamento; il docente è chiamato a svolgere una riflessione personale mirata alla propria azione professionale; il personale tecnico-amministrativo è implicato nelle  procedure di sistema».  

Le università italiane si stanno adattando a questa nuova prospettiva sulla valutazione? Esistono degli esempi di buone pratiche da poter seguire?

«Quanto alle buone pratiche di valutazione, a livello internazionale possiamo trovare degli esempi eccellenti in molte università europee. L’università italiana è sulla buona strada, ha ancora bisogno di colmare un certo divario, non solo sulla valutazione ma anche sulla professionalità dei docenti. Chi insegna in Italia ha una grande preparazione sul piano disciplinare e della ricerca, ma ciò che dovrebbe essere recuperato rispetto alla professionalità del docente è la competenza sul piano didattico, e questa richiede al docente di essere in grado di predisporre ambienti di apprendimento capaci di motivare attivamente gli studenti avvalendosi anche di diverse forme di valutazione. Finora le università italiane non hanno investito sufficientemente nello sviluppo delle competenze didattiche dei docenti, anche se adesso le cose stanno gradualmente cambiando. I fondi del PNRR stanno favorendo la costituzione negli atenei di diversi Teaching and Learning Center, organismi con l’obiettivo di qualificare la didattica e favorire buone pratiche che permettano di realizzare delle valutazioni multi-prospettiche e multidimensionali».

Lei prima ha detto che il contributo degli studenti rimane fondamentale nella valutazione della didattica. Tuttavia, spesso sento un certo scetticismo nei compagni e compagne di corso: è difficile credere di avere così tanta voce in capitolo e che il proprio parere possa portare a miglioramenti concreti.

«L’idea che la didattica e la formazione siano processi che si realizzano col contributo di molte persone e con un ruolo centrale di partnership degli studenti è un’acquisizione della ricerca valutativa, ma emerge con estrema chiarezza dai documenti internazionali e dell’Europa emanati a seguito delle Conferenze dei Ministri dell’Education, sono da ricordare a questo proposito Yerevan nel 2015 e Roma nel 2020. Tuttavia, gli studenti vanno preparati ad interpretare il loro ruolo di partner della formazione e della valutazione: non sempre sono in grado di usare consapevolmente lo spazio di feedback che viene loro fornito. Il problema non riguarda solo gli studenti ma è una questione di ordine culturale che investe in modo particolare la tematica della valutazione vista unicamente come controllo e non come sviluppo. A ciò si aggiunge il problema che spesso i questionari forniscono solo dei dati quantitativi, come il numero di lezioni frequentate o il livello di gradimento. Il dato quantitativo rileva l’entità del fenomeno ma non sempre permette di comprendere il valore e il significato esplicativo ad esso associato. Ad una valutazione quantitativa è bene associare una valutazione qualitativa che porti a comprendere i motivi che hanno spinto una persona o un gruppo a fornire una certa valutazione. Per fare solo alcuni esempi, è utile dare l’opportunità agli studenti di esprimere liberamente che cosa hanno apprezzato di un insegnamento e perché, quali conoscenze hanno appreso meglio e dove hanno potuto applicarle, quali sono le loro proposte migliorative, che cosa a loro parere è mancato o cosa si potrebbe aggiungere alla pratica del docente. Tutto ciò attiva un dialogo fra chi insegna e chi apprende e sollecita dinamiche che sono parte indispensabile di una valutazione di qualità».

Molti studenti e studentesse vivono le valutazioni che ricevono, ad esempio il voto d’esame, come un giudizio troppo netto e spesso poco piacevole o ansiogeno. In modo simile, c’è il rischio che anche i questionari che valutano il lavoro dei docenti diventino eccessivamente inquisitori o giudicanti?

«Come si è detto, il problema sta nel fatto che la valutazione finora è stata concepita come una forma di controllo: il voto d’esame controlla quello che lo studente ha appreso e il questionario finale controlla ciò che ha realizzato il docente. Così si crea la sensazione di essere inquisiti, e tutto si focalizza in un giudizio sui propri risultati. Ciò che manca è l’idea di valutazione come sviluppo. L’atto valutativo non deve risolversi nel momento finale di un’attività, ma deve aiutare la persona implicata a capire come può sviluppare al meglio il proprio progetto di insegnamento e/o di apprendimento fin che lo realizza, non quando lo ha terminato. La ricerca ha dimostrato l’efficacia dell’assessment for learning, la valutazione per l’apprendimento; non è una valutazione alla fine di un’attività, ma un feedback basato su evidenze che viene dato in itinere e discusso in modo consapevole tra docenti e studenti per avere conoscenze e dati che permettano di migliorare le prestazioni di entrambi nella fase in cui ciò è possibile. Questo rafforza l’idea della valutazione come processo partecipato che aiuta la crescita di tutti gli attori in campo. La valutazione come unico giudizio finale sull’attività di insegnamento, soprattutto quando l’esito è insoddisfacente, lascia il docente solo di fronte al problema di trovare i modi per migliorare la propria prestazione. La comunità e l’organizzazione accademica hanno il compito di accompagnarlo e supportarlo con proposte che assecondino le sue esigenze di sviluppo professionale, creando delle opportunità in cui l’esito valutativo diventi momento di riflessione sociale di docenti, studenti e colleghi per realizzare il miglioramento socialmente indicato come necessario e opportuno».