Terrence Deacon nel suo intervento al CIMeC. (Fotogramma, archivio UniTrento)

Formazione

SPIEGARE L’EVOLUZIONE DEL LINGUAGGIO ATTRAVERSO LE NEUROSCIENZE

Lectio magistralis di Terrence Deacon, neuroscienziato e antropologo della University of California, Berkeley

24 novembre 2016
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SPIEGARE L’EVOLUZIONE DEL LINGUAGGIO ATTRAVERSO LE NEUROSCIENZE
SPIEGARE L’EVOLUZIONE DEL LINGUAGGIO ATTRAVERSO LE NEUROSCIENZE
di Roberto Bottini e Stefania Benetti
Collaboratori di ricerca del Centro interdipartimentale Mente/Cervello.

Al grande biologo russo Theodosius Dobzhansky si attribuisce l’affermazione che “Nulla in biologia ha senso se non alla luce dell'evoluzione”. Indubbiamente negli ultimi 150 anni, l’elegante teoria Darwiniana è stata confermata da centinaia di esperimenti, i quali hanno permesso, tra l’altro, di ricondurre l’origine di molti aspetti della natura umana nelle specie che l’hanno preceduta. Tuttavia, l’evoluzione di una delle più importanti facoltà umane (per alcuni la più importante), il linguaggio, rimane ancora largamente un enigma. 

Nelle scorse settimane, il CIMeC (Centro Interdipartimentale Mente/Cervello) dell’Università di Trento ha promosso un incontro interdisciplinare fra neuroscienze cognitive, antropologia e linguistica con uno degli scienziati che negli ultimi anni ha contribuito a far breccia in questo enigma, Terrence Deacon. Neuroscienziato e professore di Antropologia biologica all’Università di Berkeley in California, Deacon è conosciuto dal grande pubblico per il suo libro “La specie simbolica” (2001, Giovanni Fioriti Editore), che ha ricevuto nel 2005 il premio J. I. Staley come migliore libro dell’anno in antropologia. In questo libro, e più in generale nelle sue ricerche, Deacon propone di dare senso all’evoluzione biologica del linguaggio riportando “il senso” (inteso come costruzione di significato) al centro del processo evolutivo.

Contrariamente alle correnti minimaliste legate al pensiero del linguista Noam Chomsky, che trattando il problema della evoluzione del linguaggio mettono l'accento sullo sviluppo della capacità umana di combinare più simboli per ottenere strutture astratte e significati sempre più complessi, Deacon ci invita a studiare la facoltà linguistica nella sua complessità. Egli sostiene che una parola non è semplicemente una etichetta da appiccicare a una cosa, ma è un processo semiotico, dinamico e, in ultima analisi, biologico. L’uomo, più di ogni altro animale, è riuscito a portare il processo comunicativo oltre la soglia simbolica (da qui, la definizione di specie simbolica) innescando processi di memoria, referenza, rappresentazione altamente sofisticati. Per fare ciò, non c’è stato bisogno – secondo Deacon – di evolvere un modulo cerebrale specifico per il linguaggio, o una grammatica universale codificata nei nostri geni.

Nella prospettiva proposta da Deacon, linguaggio e cervello sono gli attori di un processo co-evolutivo in cui l’uno si è adattato all’altro, vicendevolmente e secondo i propri tempi. In questo senso è possibile ipotizzare che il linguaggio si sia adattato al cervello sulla base delle capacità non-linguistiche che quest’ultimo era già in grado di esprimere. Nel suo talk il professor Deacon ha discusso molte delle principali problematiche in (neuro)linguistica e scienze cognitive. Come emergono i cosiddetti universali linguistici? In che modo simboli arbitrari acquistano significato? Quali sono i processi neurali generativi di complesse strutture linguistiche? 

Deacon risponde a queste domande incoraggiandoci a pensare “out of the box”, cioè fuori dagli schemi, superando tradizionali dicotomie teoriche e riformulando i problemi da affrontare, talvolta invertendoli completamente. Infatti l’approccio semiotico alle neuroscienze cognitive ci permette di pensare agli universali linguistici non come il prodotto dei nostri geni, né come il prodotto di eventi storici e culturali, ma come il risultato più probabile di un processo semiotico che astrae il processo comunicativo fino a raggiungere la soglia simbolica, rispettando però i vincoli imposti da natura e cultura. In questo approccio il classico problema della referenza (come segni arbitrari significano qualcosa), palesato in modo molto intuitivo dal filosofo John Searle nell’esperimento mentale della Stanza cinese (The Cinese Room), viene ribaltato.

Il mistero non sta tanto nell’associazione tra segno ed esperienza (un’associazione solitamente iconica o indessicale, quest’ultima basata su co-occorrenza statistica), che sembra costituire l’ossatura del sistema comunicativo nel regno animale. Il vero mistero, che per ora rimane impenetrato, è come nel linguaggio umano si possa trascendere la soglia simbolica, astraendo il processo comunicativo dal hic et nunc fenomenologico, pur mantenendo intatto un sistema referenziale senza il quale quei segni arbitrari che chiamiamo parole si riferirebbero l’una all’altra ma non significherebbero alcunché.