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Formazione

TRADURRE: “PER PRINCIPIO ACCADE L’IMPOSSIBILE”

Il ruolo dei traduttori, i loro strumenti, il carattere dell'intraducibilità e il peso della voce dell'autore

1 dicembre 2016
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TRADURRE: “PER PRINCIPIO ACCADE L’IMPOSSIBILE”
TRADURRE: “PER PRINCIPIO ACCADE L’IMPOSSIBILE”
di Elisa Ceccon e Lisa Zanon
Studentesse del corso di laurea magistrale in Letterature euroamericane, traduzione e critica letteraria dell’Università di Trento.

«La traduzione è una delle poche attività umane in cui per principio accade l’impossibile», affermava la scrittrice austriaca Marie von Ebner-Eschenbach. Non di rado, infatti, chi traduce ha il merito di rendere nella lingua di arrivo ciò che a prima vista appare impossibile trasporre in una lingua diversa. Parole intraducibili, nozioni straordinarie, esperienze legate a una cultura, alle abitudini di un popolo. Gli olandesi, ad esempio, con gezellig definiscono una sensazione «molto più che accogliente e piacevole», specifica Ilaria Piperno, traduttrice del libro Lost in translation di Ella Frances Sanders. Gezellig è la sensazione di un maglione caldo addosso mentre si beve una tazza di tè con una persona cara accanto. Molte volte capita di provare sensazioni di questo tipo, ma poi ci mancano le parole per esprimerle.

Tra i vari ruoli attribuibili al traduttore vi è quello di adattare paradigmi e sensibilità differenti a società diverse tra loro arricchendone le lingue. Ma, come suggerisce Franca Cavagnoli nel suo libro, La voce del testo, la traduzione non ha il compito di eliminare la lontananza tra il testo fonte e quello tradotto, bensì di «scavare nella lettera, aderire alla sintassi più impervia» nel tentativo di far percepire al lettore «la fragranza di uno stile»

Tradurre non implica la fedeltà assoluta alla superficie letterale di un testo, piuttosto comporta il tentativo di trasmettere nella lingua di destinazione i concetti fondamentali espressi nella lingua di partenza. Attraverso l’individuazione e la traduzione di motivi, temi e isotopie, il traduttore tenta di farne rivivere il senso e il respiro della voce narrativa in una lingua altra. Quindi, chi traduce non si occupa soltanto dell'aspetto linguistico di un’opera ma cerca di ricostruire il mondo possibile inscenato dal suo autore alla luce di quella che sarà necessariamente un’interpretazione, un’appropriazione dei suoi temi fondanti. 

La traduzione, in definitiva, è solo questo? Non proprio. Secondo una visione accattivante, essa è in primo luogo ospitalità, e significa, nelle parole di Antonio Prete, «accogliere con la propria lingua un libro in cammino e aggiungere un nuovo tempo, una nuova stazione, al cammino del libro». Se si accoglie l’altro, se ne accetta di conseguenza la lingua. Eppure, sempre secondo Prete, la traduzione è anche, o soprattutto, «un affrontamento audace dell’altro. Perché pretende di sottrarre all’altro quello che egli ha di più proprio, cioè la lingua».
Come ci ricorda Cavagnoli, appartiene dunque a chi traduce il compito di «accogliere, vincendo ogni possibile resistenza, la diversità linguistica culturale del romanzo o del racconto da tradurre». 

Il ruolo dei traduttori, i loro strumenti, il carattere dell'intraducibilità e il peso della voce dell'autore sono fra le tematiche che sono state affrontate e approfondite il 29 e 30 novembre presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento. Le due giornate di studio intitolate “In traduzione. Motivi, temi, isotopie” sono state rivolte a studenti, dottorandi, studiosi, cittadini e a tutti gli appassionati della traduzione. Responsabili scientifici il professor Andrea Binelli e le dottorande Giorgia Falceri e Chiara Polli, Dipartimento di Lettere e Filosofia.