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Formazione

LA DIFFUSIONE DI NOTIZIE FALSE

Esercizio della ragione e pratica del pensiero critico per combattere il fenomeno delle fake news

19 dicembre 2017
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LA DIFFUSIONE DI NOTIZIE FALSE
di Federico Puppo
Professore di Filosofia del diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

Fake news: ormai non passa giorno che non se ne parli, in un modo o nell’altro, in televisione, sulla stampa, nei telegiornali, sui social, fra le persone… Se ne parla ovunque e, proprio per questo, ognuno sa o può facilmente dedurre, che cosa sia una fake news. Forse un concetto scontato. Eppure si parla sempre più di fake news anche perché sempre più le fake news sono (ci si passi l’espressione) ciò che parliamo e non solo ciò di cui parliamo. In effetti, uno dei pericoli – anzi, il pericolo – delle fake news non è tanto che qualcuno dica falsità, ma che tali falsità passino come verità e come tali vengano recepite dal pubblico, ossia da noi, in modo tale che il nostro pensiero e i nostri discorsi siano falsi. E questo fa sì che esse condizionino le nostre scelte e il nostro agire. 

Questo tipo di fenomeno non è nuovo: è da lungo tempo che la diffusione di notizie false è strumentale alla promozione di alcune idee o ideologie e funzionale al condizionamento dell’opinione pubblica. Ma è del tutto evidente quanto il fenomeno delle fake news sia oggi molto più preoccupante. Ciò è dovuto non solo all’esistenza di strumenti di comunicazione di massa (la rete e i social media) che prima non c’erano, ma anche al pensiero che ne accompagna la diffusione. Infatti, appare diffuso un comune modo di pensare che prima, quando già c’erano le fake news, non esisteva o non era così pervasivo: l’idea che non solo sia difficile accertare la verità di una notizia, ma che farlo sia impossibile, perché la verità non esiste. Esiste, infatti, la mia-tua-sua verità, la verità di ciascuno perché ciascuno ha diritto di dire la propria verità e di credere in ciò che vuole. E noi, d’altra parte, chi siamo per dire che la nostra non è la verità, visto che la verità assoluta non esiste? E anche se esistesse, chi potrebbe dire di possederla? Chi ci crediamo di essere per credere che solo noi abbiamo la verità? 

Ecco, questo è il problema che, oggi, sta dietro alle fake news e che rende questo fenomeno così difficile da gestire e arginare: per mostrare che una notizia è falsa, infatti, bisognerebbe dimostrare che non è vera. Ma vera secondo quale punto di vista? E così si ricomincia…  
Eppure è proprio questo il meccanismo che occorre scardinare per chiarire, almeno un poco, il fenomeno che abbiamo di fronte. Fino a qualche tempo fa – giusto o sbagliato che fosse – si pensava che una verità esistesse, che fosse possibile conoscerla in modo oggettivo e che ciò che non fosse conoscibile in modo oggettivo non potesse essere considerato verità. Questa era la convinzione che pervadeva di sé la nascita e lo sviluppo del pensiero scientifico, fino ai canoni fissati dal neo-empirismo. Venuta meno tale convinzione, nel corso dell’ultimo secolo la “Scienza” torna ad essere “scienza” poiché nemmeno essa ci può più dire come stanno veramente le cose. Non occorre essere fini epistemologi per accorgersi di questo cambiamento. Occorrerebbe esserlo semmai per capire le ragioni di tutto ciò e per comprendere che non proprio tutto sta o è stato in questo modo. Ma questa è l’aria che si respira ed è esattamente questo il ‘brodo di coltura’ in cui crescono e prolificano le fake news. E cioè, ancora una volta, che la verità non esiste e che se proprio esiste ognuno ha la sua, di verità. Cosa che comunque conferma che, in sé, la verità non esiste. La verità finisce con l’essere il frutto del nostro pensiero perché riteniamo vero ciò che pensiamo essere tale: e con ciò la nostra epoca, che viene chiamata “post-modernità”, si afferma, allo stesso tempo, come figlia della modernità e suo superamento.  

Il problema posto dal diffondersi delle fake news richiede che si rimetta in discussione proprio la questione della verità. Si tratta di un tema molto importante, così importante che condiziona tutto il nostro modo di pensare e quindi di dire ma anche di agire, poiché, in condizioni normali, si dice ciò che si pensa vero e si agisce di conseguenza. Ad esempio, solo se penso che sia vero che oggi piove esco con l’ombrello e dico al mio amico di prenderlo. Eppure la verità ha questo di bello: che anche se non ci si pensa, lei c’è. C’è al punto che pure se si prova a negarla non ci si riesce. Basta provarci e lo si vedrà. La verità – si dice infatti – è uno dei trascendentali del pensiero. E non ce la si cava neppure dicendo – come si dice oggi – che qualcosa è vero, ma solo secondo noi: perché, appunto, lo si dice e lo si dice ad altri. L’operazione funzionerebbe, forse, se vivessimo da soli su un’isola deserta. Ma questa non è la nostra condizione: noi viviamo in società e, per natura, in relazione con altri. 

Ed è, peraltro, in tale contesto di intersoggettività che si sviluppa il fenomeno delle fake news. Un fenomeno che può essere arginato, crediamo, solo tornando ad una sana metafisica aristotelica, in cui è ben chiaro che la verità esiste, che non possiamo farne a meno (soprattutto nei contesti del dibattito pubblico), che è conoscibile, che non è un ostacolo al dialogo ma anzi è ciò che lo rende possibile e che non dipende (e questo è il punto) dalle nostre opinioni. Anzi, casomai è il contrario: sono le nostre opinioni che dipendono dalla verità, perché è sulla base di essa che valutiamo ciò che crediamo e diciamo. E possiamo farlo perché la verità, piuttosto che dipendere da ciò che pensiamo, dipende dal modo in cui i nostri pensieri e discorsi si relazionano al mondo. Cioè, in ultima analisi, alla realtà. Ciò che è vero, infatti, sono gli enunciati che non contraddicono un certo stato di cose. Vale la pena di leggere, ad esempio, i libri della filosofa italiana Franca D’Agostini, che spiega molto bene tutto ciò e altrettanto bene lo difende. Questa, che lo si voglia o no, è la struttura della verità. Altro discorso è come accertare uno stato di cose e quanti tipi di stati di cose esistano: si tratta di temi molto affascinanti e anche complessi, tipici dell’ontologia, della metafisica e dell’epistemologia. 

Ma, tanto per restare alle fake news, non occorre dimenticare che il fallimento dell’empirismo ha portato via via non solo a pensare che la verità non esista, ma anche che non esistano nemmeno più i fatti in sé (o, per essere più corretti, gli stati di cose), quelli cui, per essere considerati veri, i nostri discorsi vanno correlati. Ed è questo l’altro motivo per cui oggi è ancor più difficile mostrare definitivamente che una certa notizia è falsa. In effetti, per farlo, come si diceva prima, dovremmo essere in grado di mostrare che quella notizia non è vera e cioè che ciò cui si riferisce o non esiste o sta in modo diverso rispetto a quanto si dice. A volte però sembra un’operazione impossibile, perché alla fin fine si crede che la realtà non esista. Proprio come accade per la verità, si pensa infatti che esista la “realtà-secondo-me”: ma, proprio come per la verità, e per motivi consimili, anche questa posizione è, per fortuna, insostenibile. 

In conclusione, l’antidoto contro le fake news esiste ed era già noto ai tempi di Socrate, Platone e Aristotele, che fronteggiavano non a caso il pensiero scettico-relativista, a volte pagando anche con la propria vita. Proprio quel tipo di pensiero che sarà poi quello destinato a generare le fake news stesse. Un buon modo per combattere le fake news è dunque riabilitare un certo tipo di filosofia realistica e, con essa, l’esercizio della ragione e la pratica del pensiero critico che proprio all’insegnamento di quei filosofi deve la sua genesi. Cosa che, per inciso, si dovrebbe fare in primo luogo nelle aule delle università.

Il tema è stato trattato durante la conferenza internazionale interdisciplinare “Uno, nessuno, centomila modi di essere” che si è svolta lo scorso ottobre. L’evento, organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza, dal Dipartimento di Lettere e Filosofia e dal Centro di Ricerche sulla Metodologia Giuridica (CERMEG) dell’Università di Trento, ha avuto come ospiti i relatori Francesco Berto (Università di Amsterdam); Franca D'Agostini (Politecnico di Torino, Università statale di Milano) e Achille Varzi (Columbia University e Università di Trento). Comitato scientifico: professor Federico Puppo e professoressa Paola Giacomoni.