©Marcella Miriello | fotolia.com

Formazione

CHE COS’È UN BENE?

La parola al giurista

22 febbraio 2018
Versione stampabile
di Fulvio Cortese
di Fulvio Cortese
Professore della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

Che cos’è che può essere definito, oggi, come “bene”? E quali sono le conseguenze di tale qualificazione? La domanda può apparire ingenua; eppure l’istanza che la stimola è diffusa e facilmente comprensibile. 

Nel dibattito socio-economico, ma anche filosofico, scientifico e politico, sono sempre più frequenti i tentativi di “nominare” qualcosa come bene e di specificarne la tipologia. È una ricerca, che per lo più si compie allo scopo di farne emergere le peculiarità di destinazione: le caratteristiche, cioè, che rendono il bene più o meno adatto a sopportare alcune operazioni di vendita o di circolazione, di utilizzo o di trasformazione, di tutela o di funzionalizzazione. Entrano in gioco interessi diversi da quelli di coloro che sono in grado di appropriarsene più facilmente di altri. 

Se ad esempio si presta attenzione al tema assai discusso dei “beni comuni”, ci si accorge che la ricerca di una qualificazione e di una classificazione ha proprio presupposti di questo genere. Muove dal disegno di innovare o di ri-orientare la disciplina cui alcune utilità sono già soggette in virtù di una pregressa definizione, considerata inefficiente o incompleta (è il caso dell’acqua, ma è anche il caso del patrimonio immobiliare pubblico, e specialmente di quello urbano). In altri casi si tratta del tentativo di attribuire un regime di fruizione e di gestione appropriato a oggetti che solo di recente si sono rivelati come suscettibili di apprensione (si considerino i dati genetici o il web), o che, pur se composti da beni già noti, vengono concepiti e traguardati nel loro complesso unitario, e perciò in modo differente da quello tradizionale (si pensi al caso dei servizi eco-sistemici).

Qual è la definizione che deve prevalere sulle altre? Nella storia del pensiero occidentale è il giurista a offrire la soluzione; anzi, storicamente è il giurista ad aver elaborato un metodo capace di strutturare il dibattito su questi temi. D’altra parte, si tratta di operazioni concettuali che nascondono una evidente domanda di matrice istituzionale, che ha a che fare con il dover essere di una certa comunità e con gli strumenti che essa si dà per risolvere alcuni conflitti; dunque proprio con il diritto. 

Oggi, in particolare, questa domanda si traduce nella richiesta di riparametrazione del ruolo e delle azioni che alcuni soggetti, pubblici o privati (il legislatore, le amministrazioni, i cittadini, gli imprenditori…), possono svolgere con riguardo a cose specifiche; a cose che la continua scoperta della realtà, nella sua costante evoluzione, ci spinge a valutare come non suscettibili di essere allocate in modo soddisfacente secondo i modelli istituzionali preesistenti, giudicati autoreferenziali od obsoleti.

Per riflettere su queste sfide, il 15 febbraio, presso la Facoltà di Giurisprudenza, si è tenuto un seminario, con la partecipazione di giuristi di diversa estrazione (amministrativisti, privatisti, romanisti) e di diversi Atenei (Trento, Padova, Venezia, Pavia, Como). L’occasione – stimolata dal dialogo con Luigi Garofalo, autorevole romanista dell’Università di Padova – è stata utile per avviare un’iniziativa più ampia, le cui prossime tappe saranno due ulteriori incontri, presso l’Università di Padova e presso l’Università IUAV di Venezia. In quelle sedi, infatti, si continuerà a discutere attorno agli stessi interrogativi, che saranno però riferiti non più alle “cose”, ma, rispettivamente, al “corpo” e allo “spazio”. Non solo le cose, infatti, diventano beni per il determinante apporto della scienza giuridica; il diritto è essenziale anche per la determinazione del rapporto tra corpo e persona, o della relazione tra spazio e territorio. Anche queste nozioni, del resto, si trovano al centro del dibattito pubblico; ed anche su di esse il giurista ha molto da dire.