Rav Riccardo Di Segni. Foto archivio Università di Trento. 

Formazione

Una lezione talmudica sulla Torà orale

Il rabbino capo di Roma Rav Riccardo Di Segni ospite del Centro di Alti Studi Umanistici dell’Ateneo

2 aprile 2019
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di Massimo Giuliani
di Massimo Giuliani
Professore associato di Pensiero ebraico presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento.

“Non c’è gusto a studiare la Torà se chi la studia non vi aggiunge la propria interpretazione”. La Torà di cui ha parlato Rav Riccardo Di Segni, la mattina del 26 marzo al Dipartimento di Lettere e Filosofia, è anzitutto quella scritta, ossia il Pentateuco, la prima parte della Bibbia ebraica (le altre due sono nevi’im o Profeti e ketuvim o Agiografi), mentre l’interpretazione e il commento che ogni studioso aggiunge è quel che i maestri di Israele chiamano Torà orale: un mai concluso processo di indagine con precisi criteri ermeneutici e di attualizzazione, che però deve innestarsi sulla shalshelet ha-qabbalà ossia sulla ‘catena della tradizione’, che è ricezione, rielaborazione e consegna innovativa di quanto è già stato detto dall’epoca del Talmud fino ad oggi.

Ma cos’è il Talmud, da cui Rav Di Segni ha letto e commentato alcuni passi? È appunto la trascrizione quasi stenografica degli insegnamenti dei maestri, i rabbini, e delle loro discussioni che costituirono materia di studio collettivo tra il I secolo a.C. e il V secolo circa, discussioni continuamente riprese fino ad oggi allo scopo di meglio comprendere quel “manuale d’uso del mondo secondo la volontà divina” che gli ebrei religiosi chiamano appunto Torà. Se la Torà scritta è una ‘rivelazione’, ha spiegato Rav Di Segni, a prescindere da quanto dice l’approccio storico-critico e filologico che pure resta un legittimo e importante strumento per la comprensione dei testi sacri, la Torà orale è piuttosto lo sforzo della ragione umana per meglio penetrare e vivere i contenuti del testo rivelato, uno sforzo che si avvale di metodologie logiche, analogiche e comparative le cui regole sono state fissate proprio dai primi grandi rabbini circa venti secoli fa.

Il Rav ha esordito spiegando i versetti della Torà che proibiscono di “mangiare il capretto nel latte di sua madre”, mostrando come la tradizione rabbinica abbia allargato tale precetto (“facendogli una siepe attorno”) e deducendone il dovere della netta separazione, nel consumo dei pasti, tra prodotti di carne e prodotti casearei. Più complessa la spiegazione della lex talionis, che in passato è stata spesso usata per contrapporre (falsamente) ebraismo e cristianesimo come se la Torà esigesse forme di vendetta. Tutta la storia dell’interpretazione e dell’applicazione di queste norme di diritto penale, di cui parla la Bibbia ebraica, attesta invece che i maestri ne hanno sempre dato una lettura contestualizzata, caso per caso, tendente a trasformare e quantificare il danno subìto in una pena pecuniaria, in multe tese a risarcire in modo equo e proporzionato il danno e le conseguenze del danno stesso.

La riflessione sulla Torà orale come modalità fluida, aperta e ricettiva delle istanze sempre nuove che vengono dalla società ha toccato anche temi delicati come la legittima difesa, il suicidio assistito e il primato del valore della vita. Il detto “non è l’uomo per il sabato ma il sabato per l’uomo”, con il quale si intende mettere la legge (le mitzwot o precetti) al servizio della vita umana, è un valore già elaborato dai farisei e si trova anche nel Talmud, e non è dunque una novità evangelica. Del resto Rav Di Segni, medico radiologo e già primario all’ospedale San Giovanni di Roma, ricopre anche il ruolo di vice-presidente del Comitato nazionale per la bioetica e ben conosce i dibattiti filosofici e giuridici attorno al valore della vita e alle sfide poste dalle moderne tecnologie.

La lezione si è chiusa con un intenso dialogo tra il rabbino e gli studenti sui temi della traduzione dall’ebraico e dall’aramaico dei testi della tradizione ebraica, anche perché Rav Di Segni preside il grande progetto di traduzione italiana del Talmud Babilonese (il primo volume, Rosh ha-shanà, sul capodanno ebraico è stato curato da lui), previsto in 37 volumi in edizione bilingue di cui è in corso la pubblicazione presso la casa editrice Giuntina di Firenze. Un’impresa che si avvale di raffinati strumenti tecnologici messi a punto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Pisa, esempio felice di connubio fra tradizione e modernità.