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Formazione

La prima aula di didattica partecipativa dell’Ateneo

Intervista a Paola Venuti, direttrice del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive

2 maggio 2019
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di Giulia Castelli
Laureata in Giurisprudenza UniTrento, collabora con l’Ufficio Web, social media e produzione video dell'Ateneo.

La nuova aula per la didattica partecipativa è stata realizzata nel corso del 2018, uno  strumento pensato per gli studenti e le studentesse del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell’Università di Trento. L’obbiettivo è migliorare l’interazione tra docente e classe e favorire l’attività in gruppi di lavoro. L'aula per la didattica partecipativa è uno spazio orientato all'utilizzo di risorse multimediali e alla possibilità di condividere i contenuti tra docente e classe.  L’organizzazione rende agevoli attività di gruppo quali, ad esempio, la visione di filmati, la scrittura collaborativa di documenti in tempo reale o l’analisi di dati complessi, consentendo di progettare e realizzare diverse tipologie di esperienze didattiche innovative.

Con otto tavoli di sei posti ciascuno e una postazione docente, l’aula è attrezzata per ospitare classi di medie dimensioni. Ogni tavolo è dotato di un display di grande dimensione, un minicomputer adatto per l’utilizzo di programmi complessi, un sistema di distribuzione dell'audio in cuffia (una per partecipante) ed è predisposto per la connessione dei computer portatili personali (nell’ottica del principio “BYOD – Bring Your Own Device”). Tastiere e mouse senza fili favoriscono lo scambio del minicomputer tra partecipanti.

L’aula è stata presentata un paio di mesi fa dal rettore dell’Ateneo, Paolo Collini, dalla prorettrice alla didattica, Paola Iamiceli, e dalla direttrice del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive, Paola Venuti, alla quale abbiamo fatto qualche domanda.

Professoressa Venuti, ci può spiegare che cos’è la didattica partecipativa?

Da alcuni anni si parla di didattica partecipativa, ossia di quel modello di gestione dell’attività didattica in cui si vuole che studenti e studentesse assumano un ruolo attivo e partecipativo durante la lezione. Si tratta quindi di un superamento della lezione frontale, in cui il ruolo attivo è del docente, che spiega, illustra e se vuole fa domande; il ruolo attivo è preso anche dagli studenti e delle studentesse che leggono, integrano, spiegano. I principali modelli di didattica partecipativa si ritrovano nel “cooperative learning” e nella “flipped classroom” (ossia la classe capovolta.)

 Com’è nata l’idea di introdurre un’aula di questo tipo e a chi è rivolto il progetto?

 Nel nostro Dipartimento da vari anni siamo attenti all’innovazione didattica: facendo formazione nelle scuole abbiamo supportato le insegnanti di tutti gli ordini di grado scolastico a coinvolgere i loro alunni. Inoltre, durante la formazione degli insegnanti di sostegno abbiamo capito come l’inclusione scolastica degli alunni con bisogni educativi speciali sia possibile sono utilizzando metodi di didattica partecipativa. Queste conclusioni ci hanno portato a riflettere sul modello di insegnamento nella stessa università. Ci siamo accorti della necessità di fare ricerca sulla qualità della didattica universitaria, per capire fino in fondo quali modelli conducono ad apprendimenti più efficaci, quali lezioni attivano di più la motivazione e le competenze di studenti e studentesse. Sulla base di queste riflessioni un gruppo di docenti ha modificato il proprio modo di insegnare accompagnando le lezioni frontali (ovviamente ridotte nel numero di ore) a momenti di presentazioni di gruppo gestite dagli studenti e dalle studentesse con attività di approfondimento in piccoli gruppi e di risoluzione di problemi pratici e teorici proposti dal docente. Lavorare in modo attivo e partecipativo ha permesso di mettere in discussione spazi e ambienti. Le aule con i banchi fissi o le aule tipo auditorium non sono certo i luoghi ideali per far nascere discussioni, dibattiti, partecipazione attiva, da ciò nasce l’idea di un’aula che faciliti la conversazione tra i partecipanti.

La scelta di utilizzare questo metodo è legata agli studi condotti nel vostro Dipartimento?

L’idea mi è venuta da una visita alla Nanyang Technological University (NTU) di Singapore in cui gli studenti erano in gruppo di 6-8, intorno a tavoli con uno schermo su cui era presentato il lavoro che facevano collettivamente. Con i fondi per i dipartimenti di eccellenza  abbiamo avuto l’opportunità  di costruire anche nel nostro Dipartimento un’aula di questo tipo, e presto ne sarà pronta una seconda, con 8 postazioni e 6 posti per postazione, per far lavorare insieme, discutere, fare una lezione con temi diversi per ciascun gruppo. L’aula è stata già utilizzata per alcuni corsi, con grande soddisfazione degli alunni e dei docenti.

Quali risultati pensate di ottenere con questo approccio partecipativo?

Noi speriamo che la presenza di aule appositamente studiate per rendere attivi studenti e studentesse e proporre un modello di lezione in cui ci sia stretta collaborazione tra docente e discente migliori lo stile di apprendimento dei nostri studenti rendendoli oltre che attivi, più critici e riflessivi.